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Da uomo del no a braccio destro del Ceo: così la finanza ha cambiato la figura del Cfo

INTERVISTA A GABRIELE GHINI (TRANSEARCH): La finanza mondiale e le nuove frontiere del credito hanno ridisegnato il ruolo dei chief financial officer – Che deve essere in grado di proteggere l’azienda dai rischi – Una figura sempre più sofisticata e proattiva – Ma non servono cifre folli per avere manager bravi.

Da uomo del no a braccio destro del Ceo: così la finanza ha cambiato la figura del Cfo

Un tempo era l’uomo del no. Colui che teneva il cordone della borsa e faceva girare i numeri del bilancio. Oggi il ruolo del chief financial officer si è evoluto fino a diventare una sorta di braccio destro del Ceo. “I manager sono preoccupati di questa finanza mondiale che ha impatti reali e sensibili sulle aziende e sono ormai necessarie figure sempre più sofisticate in grado di garantire la tranquillità finanziaria delle imprese”, spiega Gabriele Ghini, managing partner della multinazionale dell’executive search Transearch.

Come è cambiato il ruolo del Cfo negli ultimi anni?

Sono aumentati notevolmente i filoni di expertise e le competenze richieste. Il primo nuovo filone è costitutivo dalla finanza, che è andata a modificare le regole del gioco. Le faccio un esempio concreto per farle capire meglio. Un mio cliente, quando c’è stata la bufera sulle materie prime, doveva decidere se vendere o tenere il magazzino. Il che significava prendere scelte manageriali organizzative importanti come chiudere uno stabilimento. Questa situazione li ha colti all’improvviso, erano impreparati, perché il Cfo precedente non aveva mai dovuto affrontare problematiche del genere e ha dovuto imparare a leggere la finanza. In passato il Cfo era l’uomo del no, gli bastava conoscere il business dell’azienda e del settore. Ora il suo ruolo è molto più evoluto.

Quali sono gli altri filoni?

C’è il tema del credito, Il Cfo deve sapersi muovere tra le nuove forme di finanziamento alle imprese, dalle obbligazioni all’equity, che si affiancano ormai al tradizionale canale bancario che non è più in grado di soddisfare tutte le richieste. Deve contribuire a saper gestire e preservare la reputazione dell’azienda perché grazie a questa si può avere accesso a un credito migliore. Infine, deve saper maneggiare le regole di compliance e di risk management. Non è stato tolto nulla ma solo aggiunti ulteriori compiti alla sua sfera di competenza.

Che obiettivi vengono dati al Cfo?

Deve essere in grado di trovare soluzioni di finanza intelligente con alternative poco rischiose, l’azienda non vuole correre rischi. Deve curare la trasparenza delle informazioni e della comunicazione e garantire una comunicazione finanziaria ineccepibile. Infine, deve mantenere la capacità di saper dire no.

Cosa cambia rispetto al passato su questo fronte?

Deve essere più proattivo e strategico, non basta più che sia bravo a fare i bilanci, deve essere in grado di esplorare nuove idee e piani, studiare e proporre alternative migliori. E’ diventato una sorta di braccio destro del Ceo, che ha bisogno di una spalla molto più qualificata.

Quali sono le principali richieste che le arrivano oggi?

Le aziende chiedono persone sempre più preparate nel fare road show e nell’internazionalizzazione. I manager sono preoccupati di questa finanza mondiale che ha impatti reali e sensibili sulle aziende e sono ormai necessarie figure sempre più sofisticate in grado di garantire la tranquillità finanziaria delle imprese e se così possiamo dire anche in grado di stabilizzare gli impatti della finanza globale.

Ci sono differenze a seconda dei settori?

Devono avere competenza specifica per quel settore in cui devono lavorare e il passaggio da un settore all’altro non è poi così facile. Ormai le aziende vogliono manager plug&play, devono già sapere le caratteristiche di un determinato business. Vale anche qui il detto in voga nella Formula 1, che si vince per centesimi di secondo e le differenze tra il primo e il secondo sono veramente minime, ma sono differenze decisive.

Ci sono stati cambiamenti rilevanti sul fronte delle retribuzioni?

I vecchi schemi sono saltati. Non ci sono più parametri retributivi veramente validi, c’è una tale abbondanza di manager che stanno a spasso che chi prima prendeva 300mila euro l’anno ora può accettare anche 80mila + bonus che può essere alto quanto la retribuzione. Sulla variabile magari si riesce a trattare anche molto ma sul fisso è più difficile.

Pensa che il tetto agli stipendi voluto dal Governo, attorno ai 311 mila euro, sia un limite nell’attrarre i talenti migliori sul mercato e che farà andare via molti manager come ha sostenuto Mauro Moretti, ex ad delle Ferrovie ora a Finmeccanica?

Per quei soldi non ci sono problemi ad attrarre risorse ad altissimo livello. Moretti ha svolto in ferrovie un lavoro egregio, vincendo la scommessa dell’alta velocità. La polemica ha assunto toni esagerati perché lui si è confrontato con il suo collega tedesco e non quello francese, che guadagna in realtà assai meno. Si tratta di polemiche assurde. Sfatiamo il mito che sia il mercato che chiede cifre folli per avere manager bravi. 

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