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Confindustria, quattro domande al nuovo presidente Squinzi

Il nuovo presidente, che ha vinto con soli 11 voti di scarto rispetto a Bombassei, si trova di fronte a scelte impegnative: dovrà dire in che Paese gli industriali vogliono vivere e non chiedere solo ai politici e ai sindacati di cambiare; deve cambiare gli assetti interni di Confindustria, ormai inefficaci; deve chiarire il destino di Luiss e Sole 24 Ore

Confindustria, quattro domande al nuovo presidente Squinzi

Giorgio Squinzi sarà il nuovo presidente di Confindustria. Ha vinto con solo 11 voti di scarto rispetto ad Alberto Bombassei. Una Confindustria mai così spaccata. Ad essere benevoli una divisione così forte si può attribuire al fatto che entrambi i candidati hanno un profilo imprenditoriale simile, hanno portato le rispettive aziende al successo su scala mondiale, sono abbastanza anziani da far escludere che abbiamo voluto correre per la presidenza per avere un qualche tornaconto personale, e quindi la base degli associati non ha voluto esprimere una preferenza netta per l’uno o per l’altro. A pensar male, invece, si può ritenere che lo scontro sia stato tra due cordate che si contrappongono soprattutto per la conquista dei posti di potere nell’organizzazione confindustriale, un po’ come avviene, o meglio avveniva, nei partiti dove spesso le ambizioni personali fanno premio sulle proposte ed i progetti per il futuro. Il fatto che i candidati si siano procacciati dei voti promettendo posti nel comitato di presidenza o nelle società controllate dal sistema confindustriale, dimostra che questo tipo di competizione per la scelta di quelle che deve essere considerato non un capo degli industriali, come erroneamente si dice, ma un loro autorevole “portavoce”, ha qualche cosa di sbagliato che rischia di minare la stessa credibilità della Confindustria.

Ora comunque il nuovo presidente si trova di fronte a scelte molto impegnative e dovrà da subito dimostrare di non essere schiavo delle proprie tifoserie, proprio perchè è assurdo in una libera associazione di imprese ragionare in termini di maggioranza e minoranza. In primo luogo dovrà dire senza troppe ambiguità in che paese gli industriali vogliono vivere e poi non chiedere solo ai politici ed ai sindacati di cambiare, ma dimostrare con gli atti concreti, soprattutto nelle materie di più diretta competenza, cosa sono disposti a fare per favorire quel cambiamento. Si pensi ad esempio ad una politica più decisa contro i monopoli, ad una più forte azione nel campo delle infrastrutture per ripulire il settore dai sospetti (spesso più che fondati) di collusione con il mondo politico, ed ovviamente alle questioni del mercato del lavoro e del sistema contrattuale. Molti pensavano che il nuovo presidente non avrebbe dovuto cimentarsi con la questione dell’articolo 18 in quanto superata dalle decisioni del Governo Monti.

Invece a quanto sembra, il problema non è affatto risolto. Se ne dovranno occupare le aule parlamentari, mentre la Cgil minaccia scioperi e mobilitazioni ad oltranza. Confindustria può scegliere un atteggiamento defilato continuando a dire che i veri problemi sono ben altri, oppure impegnarsi a spiegare perchè la riforma del mercato del lavoro è un tassello fondamentale di un ridisegno del sistema produttivo italiano al fine di renderlo più competitivo. Il Governo Monti si sta impegnando per cambiare, attraverso le riforme, la cultura degli italiani, per ridare loro dinamismo e maggiore ottimismo verso il futuro. Squinzi gli starà al fianco o sceglierà il basso profilo di chi ritiene che si tratti solo di una questione di bandiera, senza una vera inflenza sul futuro del paese? Ed allora perchè negli anni ottanta gli industriali hanno fatto una battaglia sui famosi “decimali” della scala mobile che erano quisquiglie rispetto alla riforma del mercato del lavoro?

La seconda questione che si può porre al nuovo presidente riguarda proprio gli assetti interni della Confindustria la cui efficacia ed efficienza è ormai apertamente messa in dubbio da tanti associati. In quest’ambito spiccano due problemi: come si fa ad eliminare il fenomeno del dilagare dei professionisti dell’associazionismo,cioè dei tanti imprenditori che passano più tempo in associazione che nelle loro aziende e che vedono la scalata ai vertici come un mezzo di promozione sociale ed economica; e come ci si pone nei confronti della Fiat che è ancora la più grande azienda manifatturiera italiana e che è ormai fuori dal sistema associativo. E’ ancora rappresentativa una Confindustria senza la Fiat? Certo l’azienda torinese è da tempo invisa a tante imprese piccole e medie perchè accusata di arroganza. Ma non è forse vero che le svolte che hanno aperto delle fasi di recupero per tutta l’industria italiana, come quella dell’80, o come quella sui contratti aziendali di Marchionne, sono proprio partite dalla Fiat?

La terza domanda che si potrebbe rivolgere a Squinzi riguarda la Luiss. A cosa serve il mantenimento del controllo di questa Università alla Confindustria? Se è solo per assicurare una poltrona a qualche ex presidente in deficit di visibilità , non ne vale certo la pena. Allora bisogna capire quale politica culturale si vuole fare e se per questa serve veramente una Università, appure basta in merito di averla promossa ormai quasi quarant’anni fà, e non convenga a questo punto lasciarla nelle mani del mercato come peraltro sostengono autorevoli studiosi tra i quali Gustavo Visentini.

Infine la quarta domanda riguarda il Sole 24 Ore. Ormai il giornale viene sempre più considerato come uno strumento a disposizione della presidenza della Confindustria per partecipare al dibattito sulla politica economica del Paese. E’ l’effetto della svolta impressa al giornale dall’ex presidente D’Amato e dal suo direttore generale, Parisi, che abbandonò l’ispirazione di Agnelli e di Carli di offrire all’economia italiana un libero e qualificato organo d’infornazione al servizio del mercato, e cioè come guardiano della trasparenza e del rispetto delle regole, per trasformarlo invece in house organ al servizio delle istanze confindustriali e, com’è inevitabile, delle esigenze delle sue aziende maggiori. Se poi il Sole ha subito per un decennio un calo di copie questo forse è dovuto anche alla perdita di credibilità che la svolta D’Amato ha provocato. Ora cosa si vuol fare? Continuare con la stessa filosofia magari dando alla Marcegaglia la presidenza, oppure si vuole riprendere il sentiero intravisto con la quotazione in Borsa ma mai imboccato realmente, tanto che la quotazione, così come poi è stata fatta, si è rivelata un fiasco colossale? L’autorevolezza della Confindustria per molti anni si è basata sulla sua diversità rispetto all’andazzo politico corrente, diversità dimostrata anche dall’aver promosso con il Sole 24 Ore un giornale libero e diverso dagli organi dei partiti e dalla Rai. Si vuole recuperare quella ispirazione veramente liberale ed aperta al mercato, oppure si vuole avere un piccolo strumento di pressione (cosa peraltro che il più delle volte si dimostra una pura illusione) puntando a lottizzare i posti del suo pletorico Consiglio di amministrazione?

Ci sono tante altre questioni. Ma Squinzi, che è uomo d’azienda e quindi pragmatico, non tarderà ad accorgersi che con questi quattro nodi dovrà confrontarsi se vorrà davvero mettere la Confindustria alla testa di un profondo processo di cambiamento di cui la società italiana ha profondamente bisogno. Come si può, infatti, chiedere agli altri di cambiare, se prima non si dimostra di saper cambiare al proprio interno?

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