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Cina: la Via della seta spacca la Lega e la divide dal M5S

La possibile adesione dell’Italia alla Via della Seta promossa dal ministero dello Sviluppo economico mette in allarme Usa e Ue e spinge la Lega a intervenire – Salvini e Giorgetti frenano e provano anche a placare le intemperanze del sottosegretario leghista Geraci che non vuole rinunciare al progetto

Cina: la Via della seta spacca la Lega e la divide dal M5S

Si accumulano le tensioni all’interno del Governo. Tra i vari motivi di dissidio tra Lega e Movimento 5 Stelle è spuntata anche l’adesione italiana alla Via della Seta annunciata dal Premier Conte pochi giorni fa.

Dopo le preoccupazioni espresse da Stati Uniti e Unione europea sulla possibile apertura italiana, a frenare gli ardori pentastellati sono gli alleati leghisti che prendono le distanze utilizzando la consueta formula: prima di dire Sì o No, “vogliamo leggere le carte”. Anche se, paradossalmente, il principale promotore di questo Memorandum d’intesa è il sottosegretario in quota Lega allo Sviluppo Economico, Michele Geraci.

Il Carroccio si trova dunque a dover frenare su due fronti: uno interno, cercando di stemperare le posizioni di Geraci, e uno esterno, con Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti che cercano di capire le reali intenzioni del Movimento 5 Stelle, provando a tranquillizzare Ue e Usa.

LA CINA E LA VIA DELLA SETA: CHE COS’È E COME FUNZIONA

La cosiddetta Via della Seta si chiama in realtà Belt and Road (che tradotto letteralmente significa cintura e strada) ed è un piano di investimenti infrastrutturali a tutto campo riguardanti, porti, ferrovie, energia, strade, telecomunicazioni ecc. lanciato dalla Cina quasi 6 anni fa. Dal 2013 sono 67 i Pesi che hanno aderito al progetto attraverso la formula del Memorandum d’intesa, un documento che indica che le due parti hanno una linea d’azione comune, ma che non ha il potere di obbligare al rispetto di un vincolo contrattuale, come un vero e proprio accordo.

La via della Seta si estende su due “linee” da Est a Ovest. La prima è terrestre e attraversa l’Asia centrale. La seconda è marittima e passa per l’Oceano Indiano, fino all’Alfrica, puntando verso il Nord.

Facile capire come l’Italia rappresenti dunque una prosecuzione ideale per questa “linea immaginaria”, attraverso investimenti che in base alle indiscrezioni potrebbero coinvolgere due porti chiave per il nostro Paese come quelli di Genova e soprattutto Trieste.

VIA DELLA SETA: LE DIVERSE POSIZIONI ALL’INTERNO DEL GOVERNO

“Se si tratta di aiutare imprese italiane a investire all’estero, siamo disponibili a ragionare con chiunque. Se si tratta di colonizzare l’Italia e le sue imprese da parte di potenze straniere, no”. Con queste parole Matteo Salvini prova a perseguire un doppio scopo, da un lato tranquillizzare gli alleati europei e statunitensi, preoccupati per l’ennesima imprevedibile posizione presa dall’Italia in politica estera (ricordiamo gilet gialli e Venezuela), dall’altro avverte gli alleati pentastellati, invitandoli alla prudenza.

Se il suo intento andrà a buon fine lo scopriremo venerdì 22 marzo, quando il presidente Xi Jimping arriverà a Roma e verrà firmato il memorandum d’intesa sulla via della Seta.

Nel frattempo interviene anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, che in conferenza stampa non usa mezzi termini nell’agitare lo spettro della Golden share.

“L’accordo – ha detto Giorgetti – dovrà sicuramente contenere nobili intenti per migliorare relazioni economiche e commerciali tra Italia e Cina, ma non impegni che possano creare interferenze di ordine strategico per il consolidato posizionamento del Paese”. Anche perché, ricorda, il nostro Paese possiede “una normativa, la golden share, che potrà anche essere migliorata, per tutelare gli interessi strategici del Paese che vengono prima di tutti gli altri”. Dunque, l’accordo “dovrà servire a migliorare le relazioni economiche e commerciali ma non potrà andare oltre questo confine che è l’interesse strategico del Paese”.

Un messaggio immediatamente colto sia dal vicepremier, Luigi Di Maio, che dal sottosegretario Geraci. È lui, leghista, l’uomo che al Mise ha più lavorato a questo memorandum che il M5S si intesta ed è sempre lui che considera l’adesione dell’Italia alla via della Seta un’occasione irrinunciabile. In un’intervista rilasciata al Corriere, Geraci tranquillizza: “Il memorandum non contiene alcun obbligo da parte nostra e sui principi aderisce ai valori europei – dice -. È la Cina ad essersi avvicinata alle nostre posizioni, piuttosto che il contrario”.

Sulla questione prova a placare i toni Di Maio che cerca di rassicurare Washington, unico modo di tranquillizzare anche gli alleati di Governo: quello con la Cina “non è un accordo politico”, afferma il vicepremier, ma serve ad “aiutare le nostre aziende a portare il made in Italy, le nostre eccellenze, il nostro know how in un mercato che ce lo chiede in questo momento e verso il quale noi dobbiamo mai andare”. E aggiunge: “Ieri ho sentito dagli Stati Uniti lanciare un allarme su questo accordo, sulla Via della seta che l’Italia vuole firmare con la Cina. Noi siamo alleati degli Stati Uniti e rispettiamo tutte le preoccupazioni, ma sia chiaro: se stiamo guardando alla Via della seta verso la Cina per le nostre esportazioni, non è per fare accordi politici con la Cina”.

Palazzo Chigi invece tocca un altro argomento sensibile: “Nella collaborazione con la Cina, come con ogni altro Paese, poniamo massima attenzione alla difesa dei nostri interessi nazionali, alla protezione delle infrastrutture strategiche, incluse quelle delle telecomunicazioni, e quindi alla sicurezza cibernetica. Il testo del possibile Memorandum sulla Via della Seta “su richiesta italiana, imposta con grande chiarezza tale possibile collaborazione sui principi, cari a tutta l’Ue, di trasparenza, sostenibilità finanziaria ed ambientale”.

ACCORDO CINA E ITALIA: L’IRRITAZIONE DI USA E UE

La contrarietà degli Stati Uniti su una possibile intesa tra Italia e Cina è forte e il Consiglio di sicurezza Usa non ha lasciato spazio a fraintendimenti: “Sottoscrivere la Bri (Belt and road initiative, ndr.) presta legittimità all’approccio predatorio della Cina agli investimenti e non porterà benefici al popolo italiano”.

Preoccupazione anche da Bruxelles che sottolinea come la Cina rimane un concorrente e che dunque gli Stati Membri dell’Unione devono essere uniti e agire con responsabilità. Parole chiaramente dirette all’Italia, che però non viene citata esplicitamente, contenute nel documento della Commissione, articolato in dieci punti-chiave,  che sarà approvato martedì e il 21 marzo approderà al Consiglio europeo.

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