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Cafiero De Raho: “La pandemia accresce i rischi di infiltrazioni mafiose”

INTERVISTA A FEDERICO CAFIERO DE RAHO, Procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo – L’esperienza storica in Irpinia, in Sicilia e durante l’emergenza rifiuti avverte che, in momenti di difficoltà come questo, il pericolo di infiltrazioni mafiose sia nei confronti dei più deboli che delle imprese diventa “altissimo” – Però “non c’è bisogno di misure straordinarie e di nuove leggi”

Cafiero De Raho: “La pandemia accresce i rischi di infiltrazioni mafiose”

“Il rischio di inquinamento mafioso nella nostra economia è altissimo in questo momento di diffusa sofferenza sociale ed economica; guardando le vicende del passato, riterrei fondato il timore di repliche dell’evoluzione e infiltrazione delle mafie”. Comincia, così, dopo gli annunci del Governo italiano sui dettagli della cosiddetta Fase 2 della gestione della pandemia di coronavirus e alla vigilia della loro effettiva introduzione nel mese di maggio, la conversazione telefonica con Federico Cafiero de Raho. Magistrato di lungo corso (in servizio dal 1978), una vita spesa nel contrasto alla criminalità organizzata in Procure notoriamente “calde”, Napoli e Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho da quasi due anni e mezzo è al vertice della Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo. 

Alla domanda se dopo il rischio di contagio causato dal Covid ‘19 possa seguire anche quello dell’economia per le infiltrazioni della criminalità organizzata, il Procuratore non mostra il minimo dubbio e aggiunge: “La mia convinzione si basa su fatti storici. Basta citarne tre, che sono legati ad altrettanti episodi drammatici che hanno funestato il nostro Paese e il cui ricordo è sicuramente ben vivo ancora negli Italiani. Il primo, una vicenda che ho seguito personalmente, negli anni 80 a seguito del disastroso terremoto dell’Irpinia, che ebbe protagonisti della ricostruzione. Imprese e imprenditori legati ai clan della camorra di Cutolo come di Nuvoletta si infiltrarono nella ricostruzione; altri, legati ai Casalesi, acquisirono il controllo delle “grandi opere”, che realizzarono con proprie entità imprenditoriali, pronte ad intervenire dove ve ne fosse bisogno, anche nella forma del consorzio, che costituì il meccanismo di aggregare produttori di calcestruzzo e di inerti e titolari di cave”. 

“Altro evento – aggiunge Cafiero de Raho – ha riguardato la grande edificazione che caratterizzò alcune aree della Sicilia, sul finire degli anni ‘70 e poi nel decennio successivo e che vide impegnati in prima linea le imprese mafiose più potenti dell’isola. Una vicenda che condusse Giovanni Falcone a individuare gli imprenditori di cosa nostra. E, poi, per concludere questa rapida carrellata di ricordi del passato, come non citare l’esempio paradigmatico dell’emergenza rifiuti, che negli anni ’90 interessò molte regioni italiane e che registrò la presenza massiccia di imprese legate alla criminalità organizzata, pronte a fornire i propri servizi per l’individuazione dei siti di raccolta dei rifiuti, per il loro stoccaggio e per il loro trattamento?”.

In definitiva, si è, dunque, in presenza di un problema che riguarda esclusivamente il nostro territorio e che affonda le proprie radici in queste ed altre clamorose vicende del passato?  

“In realtà, mi sembra fortemente limitativo circoscrivere l’attività di queste organizzazioni criminali ai nostri confini. Faccio solo un esempio. In un’intercettazione telefonica molto significativa tra due persone, evidentemente appartenenti a organizzazioni criminali, alla domanda di uno dei due su che cosa si dovesse comprare in Germania all’indomani della caduta del muro di Berlino nel 1989, l’altro forniva una risposta agghiacciante nella sua semplicità: ‘bisogna comprare tutto’; a dimostrazione della pervasività e della forza economica di queste organizzazioni. Ma che l’infiltrazione delle organizzazioni criminali italiane non conosca confini e si avvalga di legislazioni, se non compiacenti, almeno più permissive della nostra non è certo una novità; basti pensare a quanto avvenuto negli scorsi decenni a Malta, ma anche, in un passato non lontanissimo, nella stessa Austria con molteplici insediamenti societari riconducibili ai clan malavitosi italiani”. 

Torniamo, allora, ai giorni nostri. Attualmente, sotto quali forme vede maggiormente il pericolo di un’infiltrazione della criminalità organizzata nell’economia italiana? 

“Il rischio di un’infiltrazione massiccia della criminalità organizzata a seguito degli effetti catastrofici sull’economia di questa pandemia si può prospettare su due livelli. Il primo livello è quello delle persone bisognose, che per vari motivi hanno perso il lavoro, o hanno visto aggravarsi la propria condizione economica, avendo precedentemente svolto lavori precari o ‘in nero’, non più possibili in questo periodo. Queste persone costituiscono il vivaio di reclutamento più ampio. Sono persone disponibili a svolgere compiti marginali affidati dalle mafie in cambio di modeste ricompense. Consegnare un pacco contenente droga, svolgere la funzione di sentinella in territori in cui normalmente si svolgono traffici illegali per essere tempestivamente allertati dell’arrivo delle forze dell’ordine, sono solo due degli esempi della destinazione del reclutamento di quella che si può considerare una manovalanza del crimine di basso livello, ma sicuramente preziosa per assicurare la continuità dei business illegali. Aggiungo in proposito che questo ‘modus operandi’, ammantato di una parvenza di solidarietà sociale, contribuisce ad accrescere non poco il consenso di cui queste organizzazioni godono, purtroppo, soprattutto in alcune aree del nostro Paese”. 

Quanto all’altro livello? 

“Altrettanto preoccupante, se non di più, è, poi, quanto le organizzazioni criminali possono mettere in campo sul fronte delle imprese. Qui le tecniche non prevedono necessariamente il rilevamento dell’impresa in difficoltà con l’estromissione del suo titolare. L’infiltrazione, infatti, avviene in modo ancor più subdolo, apparentemente lasciando intatta la governance e soddisfacendo, dunque, il naturale desiderio del titolare di continuare ad esercitare le proprie funzioni; anche se, in realtà egli è e sarà soggiogato dalle direttive e gli obiettivi del clan malavitoso che lo tiene in pugno, avendo provveduto inizialmente a fornirgli il danaro necessario alla prosecuzione dell’attività economica, da restituire a tassi usurari. Altro aspetto da non sottovalutare, è la presenza di imprese mafiose che operano nel settore della intermediazione di manodopera, fornendola a costi complessivi più convenienti, perché inferiori alla media di mercato, in quanto non vengono versati i contributi previdenziali né gli oneri tributari. Con quale ulteriore risultato? Queste società vengono fatte fallire e spariscono dopo pochi anni lasciando in essere debiti verso il Fisco e l’Inps con un danno anche verso la collettività. Ma non solo…”.

C’è ancora dell’altro su questo versante delle imprese? 

“Sicuramente sì! Da quanto finora ho detto si evince chiaramente che le emergenze costituiscono per le organizzazioni di criminalità economica opportunità particolarmente allettanti per accrescere i propri business e anche la propria attività di riciclaggio, considerata la quantità cospicua di danaro pubblico che in queste circostanze viene erogata. Basti pensare ai flussi indirizzati, in primis, ai settori degli appalti pubblici e della sanità. E, allora, osservando il momento attuale, individuo un motivo di grande preoccupazione nell’accesso al credito per le imprese. Infatti, le misure che sono state adottate per rivitalizzare il circuito economico ed evitare una catastrofe economico – sociale in grado di scuotere dalle fondamenta l’assetto del Paese, purtroppo, possono prestare il fianco a quelle devastanti infiltrazioni a cui facevo prima cenno. Quindi, in questo momento non posso che invitare fermamente tutte le Istituzioni e il sistema bancario, in particolare, a vigilare con la massima attenzione su questo aspetto dell’accesso al credito, segnalando, in una logica di controlli preventivi e concorrenti, eventuali anomalie oggettive e soggettive. Queste  sono finalizzate al riscontro con le banche dati, di cui sono dotate il Ministero dell’Interno e le autorità inquirenti e si rivelano, dunque, preziose per evitare e contrastare l’inquinamento irreversibile dei circuiti virtuosi della nostra economia”.

Ma in questo modo, in tutta franchezza, non si creano dei colli di bottiglia burocratici, pericolosi per l’efficacia e la tempestività di applicazione delle misure di sostegno economico varate dal Governo? 

“Su questo aspetto voglio essere molto chiaro. In Italia, l’ho già affermato più volte, abbiamo una legislazione di primo ordine che viene presa anche ad esempio in molti altri Paesi per il contrasto alla criminalità organizzata e ai fenomeni corruttivi. Una legislazione, che non solo ha tenuto conto dell’evoluzione delle patologie criminali nel tempo, ma che è anche il frutto di esperienze maturate via via sul campo. Sono convinto, pertanto, da un lato che non ci sia  bisogno di misure straordinarie o di ulteriore implementazione di questa legislazione; e che dall’altro occorra vigilare con continuità da parte di tutti per impedire la formazione di fenomeni patologici. Ad esempio, trovo quanto mai opportuno nell’attuale contesto la decisione di calmierare il prezzo delle mascherine, disposto dal Commissario per l’emergenza, Domenico Arcuri. Ciò premesso, ribadisco che servirsi degli strumenti informatici, con cui è possibile interrogare rapidamente ed efficacemente le banche dati cui prima accennavo, va visto, se effettuato con la piena collaborazione di tutti gli organismi interessati, come un passaggio obbligato, ma non necessariamente inibitorio dei flussi economici. Una condizione ineludibile, perché il nuovo auspicato miracolo economico italiano, in cui si ripongono le  speranze di un futuro prossimo migliore, possa rivelarsi un obiettivo non solo sfidante, ma realisticamente raggiungibile, in una prospettiva di crescita economico – sociale del Paese che sia sana e, per ciò stesso, solida e duratura”.

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