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Caffè: per Saeco e Gaggia la Cina è sempre più vicina

Per le supermacchine automatiche dell’espresso Made in Italy la cessione di Philips alla cinese Hillhouse Capital apre le porte dell’Asia. E in molti si chiedono quale sarà il destino della fabbrica italiana

Caffè: per Saeco e Gaggia la Cina è sempre più vicina

Ora che le Ferrari dell’espresso, Saeco e Gaggia, brand storici del made in Italy di alta qualità, sono diventate cinesi (le ha vendute di recente Philips, con tutto il settore dei piccoli elettrodomestici, al fondo sino-americano Hillhouse Capital) che fine farà la fabbrica di Gaggio Montano (Bologna) dove sono progettate e prodotte le superautomatiche dell’espresso?

Philips aveva deciso, alla fine del 2019, di disfarsi entro la prima metà del 2021 del comparto dei piccoli elettrodomestici (fatturato 2019 2,3 miliardi di euro) per concentrarsi nel redditizio settore delle attrezzature sanitarie. Il comparto ceduto, che comprende rasoi, apparecchi per la cucina e la cura della persona, riguarda in realtà un insieme di apparecchi che, con l’eccezione delle macchine superautomatiche Gaggia e Saeco, sono da anni prodotti in Cina. L’operazione non è costata 3,7 miliardi di euro, come qualcuno ha scritto, ma 4,4 miliardi, in quanto il fondo sino-americano ha dovuto sborsare 700 milioni di euro per utilizzare i brand della Philips per i prossimi 15 anni.

PHILIPS, UNA FEROCE CURA DIMAGRANTE

Questa cessione ripete la feroce cura dimagrante che il Ceo Philips degli anni 90, Jan Timmer, aveva avviato vendendo il gigante del bianco, la Ignis-Philips, alla Whirlpool, proprio quando già si stava profilando la crescita mondiale del settore grazie alla rivoluzione energetica e all’innesto della microelettronica. Poi il Timmer aveva venduto la licenza del marchio Philips per i tv alla taiwanese TVP, giusto prima del gigantesco balzo delle vendite e dei profitti più che decennali che i competitor hanno incassato grazie alla sostituzione dei tv a tubo catodico con i nuovi schermi piatti. Infine, l’ex Ceo aveva proseguito mettendo in vendita il settore dell’illuminazione, che, in mancanza di un compratore, era stato scisso e quotato, anche in questo caso proprio nel momento in cui cominciava la grande rivoluzione dell’etichettatura energetica con le nuove lampadine a Led.

Il vertice olandese, licenziando man mano migliaia e migliaia di dipendenti (ne aveva oltre 200mila ora ne ha poco più di 70mila), voleva tagliare i costi per concentrarsi sulla più fruttuosa attività della diagnostica medica. Settore in cui peraltro Philips è solo quinta al mondo, con 18,1 miliardi di fatturato nel 2019, e dove il futuro vedrà una competizione molto più dura e molto più costosa di quella degli elettrodomestici e delle tv, anche perché ai primi posti ci sono i giganti del clan Big Pharma.

CHI È IN REALTÀ LA HILLHOUSE CAPITAL?

La Hillhouse Capital viene fondata nel 2005 con un capitale d’avviamento di 20 milioni di dollari dalla Yale Enterprise del cinese Lei Zhang. L’azienda, che ha uffici a Pechino, Hong Kong e Singapore, effettua importanti investimenti in Cina, India, Giappone e Corea del Sud. Ed è una delle società di investimento più grandi e di maggior successo al mondo, una potenza finanziaria che ha raccolto miliardi di dollari da università, fondi pensione, fondazioni negli Stati Uniti e ha reinvestito questi fondi con rendimenti superiori alle medie del settore. Oggetto dei primi investimenti sono stati i giganti tecnologici cinesi Tencent Holdings e Baidu Inc. Due anni fa ha raccolto 10,6 miliardi di dollari per il più grande fondo di private equity dell’Asia, che investe nei settori della sanità, dei consumatori, della tecnologia e dei servizi a livello globale, con un focus sull’Asia. L’azienda ha vinto un’asta lo scorso anno per acquistare il 15% del più grande produttore cinese di condizionatori d’aria, Gree Electric Appliances Inc, per 7,5 miliardi di dollari. Inoltre, sta pesantemente investendo nel settore immobiliare.

IL FUTURO DELLA FABBRICA ITALIANA DI GAGGIO MONTANO

Prima della finanziaria sino-americana, a farsi avanti erano state diverse aziende, tra le quali le coreane LG e Samsung. Ma Philips, che aveva ed ha un’urgente necessità di risorse finanziarie per investire nella competizione durissima dell’elettromedicale, non aveva ceduto di un dollaro e così l’ennesimo straricco fondo d’investimento cinese ha vinto la gara. LG in particolare, avendo ormai dismesso il settore della telefonia mobile, era molto interessata al business dell’espresso, quello vero, dove avere un marchio italiano è fondamentale. Il comparto è in costante crescita: valeva più di 6 miliardi di dollari nel 2020 ed entro il 2025 dovrebbe aumentare ancora del 3,7-5%.

Il numero uno delle vendite di macchine espresso è, da anni, la De’ Longhi, con una quota di oltre il 34%, proprio perché ha investito nella qualità della fascia alta e nell’italianità delle macchine. Di recente il gruppo ha finalizzato il contratto stipulato con alcune società del fondo di investimento Center Lane Partners per la cessione di Capital Brands Holdings Inc. Cosa succederà per le superautomatiche Saeco (che compiono 40 anni proprio quest’anno) e per le Gaggia prodotte nella fabbrica italiana? Le prospettive sono incerte anche perché gran parte delle macchinette di bassa qualità e prezzo sono già prodotte con i due marchi italiani in Romania e Cina. Ma, come ci ha confermato uno dei fondatori della Saeco, Giovanni Zaccanti, attuale AD di Parmacotto, l’espresso italiano e le superautomatiche con marchi italiani avranno un grande exploit: “Da oltre 30 anni – dichiara – è qui che si trova il top delle tecnologie dell’espresso”.

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