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Bossi (Banca Ifis): “Rischio Italia, Borsa imprevedibile ma voglia di crescere”

INTERVISTA a GIOVANNI BOSSI, ad di BANCA IFIS – “Gli operatori internazionali stanno lasciando l’Italia e le banche sono le prime a soffrire in Borsa . I mercati non hanno ancora percepito la rivoluzione degli Npl ma noi abbiamo fatto tre acquisizioni nel 2018 e continueremo a crescere. La fidejussione al Milan? La rifarei perchè l’abbiamo concessa alla società e non alla proprietà”

Sui mercati cambia il vento: si riaffaccia il rischio Italia e i grandi investitori internazionali se ne vanno. La Borsa, i bond e i titoli di Stato ne stanno facendo le spese e quando arriva la tempesta non si salva nessuno. Lo sta sperimentando anche Banca Ifis, grande player sul mercato dei crediti deteriorati e fino all’anno scorso regina di Borsa ma oggi investita da un forte ribasso che colpisce in primo luogo le banche e ancor più  gli intermediari che operano sugli Npl che stanno, a loro volta, vivendo, una grossa trasformazione. Il paradosso – come spiega in questa intervista a FIRSTonline l’ad di Banca Ifis, Giovanni Bossi – è che, a dispetto della Borsa, la banca cresce, genera più utili, assume personale, alza l’asticella e colleziona acquisizioni: tre nei primi del 2018. E non finirà qui. Banca Ifis è una banca un po’ speciale ma è una finestra interessante per capire che cosa sta cambiando sui mercati, nel sistema bancario, nel campo degli Npl e un po’ anche nel Paese. Ecco l’intervista di Bossi.

Dottor Bossi, il mercato conosceva Banca Ifis come la regina della Borsa con un track record di oltre il 700% dalla quotazione del 2002 in poi e un rialzo record del 110% nel 2015 e di oltre il 60% l’anno scorso ma nel 2018 il vento è cambiato e anche il vostro titolo è in netto ribasso a Piazza Affari: che cosa sta succedendo e come si spiega la “sofferenza” di Banca Ifis in Borsa?

“La situazione non riguarda solo noi e il paradosso è che stiamo soffrendo in Borsa proprio mentre Banca Ifis, come ha documentato anche l’ultima trimestrale, genera profitti su profitti, fa acquisizioni, assume personale e ha davanti a sè un lungo orizzonte di crescita. Le ragioni della sofferenza del titolo in Borsa sono tutte esterne a noi, ma sono di palmare evidenza e sono almeno tre. In primo luogo paghiamo il fatto di essere una banca, e di essere una banca italiana nel momento in cui i grandi investitori internazionali decidono di alleggerirsi sull’Italia vendendo titoli di Stato, obbligazioni e azioni. Su questo non possiamo fare nulla, ma il nostro rammarico è di non essere sempre percepiti, complici anche altri fattori esogeni, come una banca molto particolare, diversa dalle altre, che si occupa di crediti deteriorati ma anche di finanza specializzata alle imprese, che è ben patrimonializzata e molto redditizia e che ha un business model snello, del tutto originale e diverso dalle banche tradizionali, tant’è che non abbiamo nemmeno uno sportello e abbiamo pochissimi titoli di Stato italiani in portafoglio. Ma, come si sa, quando arriva la tempesta, il mercato non distingue più e penalizza tutti”.

In Borsa non è certamente un momento felice per le banche italiane ma per Banca Ifis è evidente il disallineamento tra le eccellenti perfomance di business e quelle di Borsa: come mai?

“Dicevo prima che la prima ragione sta nell’essere banca in Italia. Oltre a questo, paghiamo il fatto che molti dei nostri investitori sono internazionali e quindi subiamo interamente il rischio di “ridenominazione” ( ovvero il rischio che l’Italia esca dall’euro, Ndr) che sta inducendo gli investitori esteri a dirigere i loro capitali altrove, ma soprattutto paghiamo il fatto di essere leader nel mercato NPL. Quel che sta succedendo a noi succede anche ai player internazionali attivi in questo mercato, che soffrono in Borsa ribassi anche molto pesanti. Il perchè sta nel fatto che in questo momento è in corso un re-rating degli operatori attivi nei crediti deteriorati, nel presupposto che i loro precedenti valori di Borsa fossero forse troppo alti e che i flussi di cassa che deriveranno dal recupero dei crediti deteriorati siano, per alcuni, dubbi. Ora come ora, al mercato interessano più i flussi di cassa che gli utili degli operatori di Npl e, malgrado i nostri dati su questi indici siano in continuo aumento e nel settore degli NPL (che contribuisce per il 46,7% al margine di intermediazione del Gruppo, pari a 139,4 milioni di euro, Ndr) delle nostre attività) il nostro margine dell’area di business sia aumentato nel primo trimestre 2018 del 113,3% (pari a 65,1 milioni di euro), il mercato non distingue e fa di tutte le erbe un fascio. Spesso succede che gli investitori prima vendono e poi ci ripensano. Confidiamo che succederà anche stavolta, come è emerso dall’apprezzamento che il modello e le perfomance industriali di Banca Ifis hanno raccolto nel recente tour che abbiamo effettuato in meno di un mese a Copenaghen, a Boston, a New York, a Toronto, a Chicago, a Londra, a Varsavia e a Parigi ma dove, per la verità, ci siamo sentiti rivolgere un’infinità di domande sulla situazione politica italiana e sulle incertezze che desta nel mondo”.

Il primo trimestre 2018 di Banca Ifis segnala un aumento dei volumi, dei clienti e degli investimenti tecnologici e un incremento del 16% dell’utile netto e del 35% del margine di intermediazione ma, in considerazione delle novità regolamentari e non solo che stanno investendo i crediti deteriorati, c’è chi si chiede se il vostro business model – del quale sono parte fondamentale l’acquisizione e sulla lavorazione degli NPL – sia ancora pienamente valido o non mostri il segno dei tempi.

“I conti, non solo dell’ultimo trimestre ma anche dell’anno scorso e degli esercizi passati, parlano da sè, ma ciò che sta accadendo nel settore degli NPL dimostra che il nostro business model, che è un unicum nel panorama finanziario italiano e che continua a differenziarci dagli altri operatori, non solo è pienamente valido oggi, ma lo sarà ancora di più nel prossimo futuro. Infatti per gli NPL è cominciata una nuova era che vede la trasformazione da mercato a vera e propria industria all’interno della quale chi, come noi, è partito prima ha più carte da giocare.. Ma il nostro business non è solo NPL: continua a giocare un ruolo centrale anche la finanza specializzata alle imprese, che ci vede concentrati nell’erogare credito alle piccole, micro e medie aziende del Paese. Anche su questo fronte continueremo ad impegnarci ad acquisire clienti e consolidare i rapporti con le imprese con le quali collaboriamo”.

In che senso gli NPL saranno un’industria e non più un mercato?

“Nel 2018 le banche, incalzate anche dai regolatori, hanno venduto molti NPL scaricandoli sui bilanci e hanno chiuso una fase di transizione del mercato che ha visto gli asset spostati dai conti bancari ai veicoli che li hanno rilevati. Ma, una volta venduti o acquistati, gli NPL vanno lavorati per poterli trasformare in bonis e qui, anche se i mercati non se ne sono ancora accorti, c’è un lavoro da fare enorme e potenzialità di guadagno molto rilevanti per chi sa fare questo mestiere. E’ un’attività che richiede competenze verticali e che non si improvvisa, ma che durerà almeno per i prossimi 15 anni, tanto rilevanti sono le masse di crediti deteriorati da lavorare. Per dare un ordine di grandezza, al primo trimestre 2018 il nostro portafoglio contava 1,5 milioni di posizioni per un controvalore nominale di 13 miliardi di euro. Un potenziale enorme. Ecco perchè un istituto come il nostro ha tutti i numeri per giocare un ruolo da protagonista, soprattutto se saprà trasformare sempre più velocemente gli asset class. Il che non vuol dire solo incassare crediti deteriorati, ma trasformare i debitori in pagatori e fidelizzarli, perchè il nostro è un business model di banca che, oltre ai margini, deve saper guardare alla sostenibilità sociale delle imprese e delle famiglie, coniugando i propri interessi con quelli sociali del Paese e dell’economia reale”.

Il mercato degli NPL sta cambiando e si fa industria ma cresce anche la concorrenza e scendono in campo veri e propri colossi internazionali: da questo punto di vista l’accordo tra Intesa Sanpaolo e gli svedesi di Intrum sembra un segnale molto chiaro. Il gioco si farà più duro anche negli NPL?

“Non credo. Oggi la tendenza degli operatori internazionali è quella di lasciare l’Italia e non di entrare in forze e, in secondo luogo, è quella di cercare prodotti più liquidi e più facilmente vendibili degli NPL. Penso perciò che, anzichè inasprirsi, la pressione competitiva nel campo degli NPL in Italia sia destinata ad allentarsi. In questo senso ci candidiamo – specialmente una volta che avremo completato l’acquisizione di FBS – ad essere il partner di operatori internazionali nel mercato italiano”.

Tuttavia le nuove regole bancarie europee (dai nuovi principi contabili all’Addendum sugli NPL) puntano a diventare sempre più stringenti per la concessione del credito fino ad adombrare, secondo il Governatore della Banca d’Italia, il rischio di un nuovo credit crunch: in futuro perciò ci saranno meno NPL nella pancia delle banche italiane?

“Le nuove regole bancarie europee comporteranno accantonamenti più rapidi delle banche e una minor concessione di crediti a rischio sia alle famiglie che alle piccole imprese. Si profila per gli istituti un cambio di paradigma: più prestiti alle grandi imprese e sempre meno alle Pmi, una dinamica che vediamo già da diversi mesi e nella quale, anche in questo caso, siamo una realtà controcorrente. Ma si profila anche il rischio, che la politica dovrà eventualmente saper correggere, che il sistema bancario e indirettamente quello industriale si uniformino a modelli che non incontrano le esigenze delle imprese e delle famiglie, dimenticando quale sia davvero il ruolo della finanza, ovvero sostenere l’economia reale Paese”.

In effetti il nuovo Governo parla di rivedere le recenti riforme delle banche popolari e delle Bcc e si interroga sull’opportunità di superare il modello di banca universale, separando gli istituti che fanno credito da quelli che si occupano di investimento: Lei che ne pensa?

“Distinguerei tra banche popolari e banche di credito cooperativo che hanno ambiti operativi e dimensioni diverse ma, prima di tornare indietro, ci penserei non una ma mille volte. Per un Paese come l’Italia manterrei anche la banca universale. Questo non vuol dire che il business model delle banche italiane non debba cambiare. Credo che dovranno ripensare soprattutto il loro modello commerciale e che la nuova regolamentazione le spinga a diventare sempre più sicure e capitalizzate ma meno redditizie. Fra una decina d’anni le banche diventeranno una specie di multi-utilities molto digitalizzate ma anche po’ “noiose” per chi si aspetta ritorni favolosi sul capitale”.

Torniamo a Banca Ifis: due anni fa avete fatto il colpo dell’acquisizione di Interbanca. A che punto è l’integrazione in Banca Ifis e che bilancio se ne può fare?

“Siamo molto soddisfatti. Il negoziato è stato faticosissimo ma l’operazione è stata un successo e con la fusione effettuata a maggio di Ifis Leasing, l’ultima delle società dell’ex Gruppo Interbanca, l’integrazione è completata. In Interbanca abbiamo trovato personale che aveva voglia di tornare in utile e non è un caso che, dopo 10 anni di perdite, Interbanca sia tornata in positivo dopo soli sei mesi dal closing. L’ incorporazione ci ha, inoltre, permesso di offrire nuovi servizi, di acquisire nuovi clienti e di completare l’offerta di soluzioni alle Pmi, segmento nel quale continuiamo a concentraci al massimo”.

Sembra di capire che per Banca Ifis non sarà l’ultima acquisizione: che cosa bolle in pentola?

“Le nuove acquisizioni sono già una realtà, con tre operazioni effettuate nel primo trimestre di quest’anno. A febbraio abbiamo completato l’acquisizione del 100% di Cap.Ital.Fin spa, una piccola società specializzata nella cessione del quinto che ci aiuterà a trasformare le famiglie con debiti, di cui abbiamo rilevato crediti non rimborsati, in potenziali nostri clienti stabili, riuscendo ad offrire loro soluzioni per rientrare nel sistema finanziario. Abbiamo poi perfezionato gli accordi per l’acquisizione del controllo di Credifarma, spa specializzata nell’erogazione del credito alle farmacie, che sarà perfezionata in estate e che prevede anche una partnership esclusiva con Federfarma (che ne manterrà il 30% mentre il 70% sarà di Banca Ifis, Ndr). Infine, abbiamo rilevato il 90% del servicer FBS, che ha in gestione 7 miliardi di crediti deteriorati e con cui daremo vita, dopo il closing di settembre, al primo operatore integrato per gli NPL italiani, con oltre 20 miliardi di crediti in gestione. E non è finita qui”.

Altre novità in vista?

“Non per quest’anno, ma guarderemo a tutte le opportunità che il mercato propone”.

Allargando le vostre attività, non correte il rischio di compiere qualche operazione spericolata? La fidejussione al Milan la rifareste?

“Certo che rifaremmo l’operazione con il Milan. Tra le molte competenze di Banca Ifis c’è anche la finanza “calcistica”: ne abbiamo fatto un centro di eccellenza, tanto che sono diversi i club italiani con cui collaboriamo. Con il Milan non corriamo nessun pericolo, in quanto la fidejussione l’abbiamo concessa alla società e non alla proprietà”

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