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Banche centrali e crisi: la Bce ha messo in campo un “Quantitative Easing” anche di parole

Una ricerca proveniente dalla Bce analizza scientificamente la differenza di comunicazione tra la Bce stessa e le altre istituzioni monetarie, evidenziando un forte sbilanciamento “normativo” dell’istituto di Francoforte.

Banche centrali e crisi: la Bce ha messo in campo un “Quantitative Easing” anche di parole

“No, per favore, meglio la Bce”, rispose Mario Monti a un giornalista che gli chiedeva se avrebbe preferito una Banca Centrale più vicina al modello Federal Reserve, quindi con un “mandato allargato” che gli consentisse di perseguire la piena occupazione e non solo la stabilità dei prezzi.

La risposta venne giustificata con motivazioni tecniche: se la Bce dovesse comprare buoni del tesoro, come fa la consorella americana, allo stato attuale dovrebbe scegliere quale Stato finanziare. Con conseguenze sulla stabilità politica dell’eurozona facilmente immaginabili.

Al di là della tecnica, però, si può immaginare che la preferenza espressa dal premier fosse fondata anche su inconfessabili considerazioni politiche. Nella fattispecie, la “moral suasion” adottata da Francoforte e le condizionalità poste ai governi europei hanno finora agito da “sostituto politico”, supplendo alla carenza di governance sovranazionale e degli esecutivi periferici.

Ma ciò che fino ad ora rimaneva nel limbo delle opinioni, viene adesso sancito da una recente ricerca della stessa Bce, che analizza comparativamente la comunicazione istituzionale della banca, portando alla luce le differenze principali tra la terminologia economica usata a Francoforte e quella adottata dalle principali istituzioni monetarie di altri paesi sviluppati.

Julien Allard, Marco Catenaro, Jean Pierre Vidal e Guido Wolswijk hanno scoperto che la Banca Centrale Europea utilizza un formulario la cui composizione è estremamente differenziata rispetto ad altre realtà (quali ad esempio la Federal Reserve americana, la Bank of Japan, la Bank of England), e si fonda su asserzioni di politica fiscale di stampo positivo ma, soprattutto, normativo.

Quanto all’aspetto “positivo”, spiegano gli economisti, nulla di strano: si tratta di comunicazioni che si fondano sull’analisi ex-post di decisioni di politica fiscale adottate dai singoli governi, considerate influenti dalla Banca Centrale e degne di menzione in sede ufficiale.

In sostanza, quando un Governo adotta misure standard o eccezionali di politica economica, la Bce può avvertire la necessità di parlarne in conferenza stampa o sui bollettini periodici, per descrivere il contesto economico in cui agisce e “giustificare” le proprie decisioni.

Sono le asserzioni di carattere “normativo” che differenziano l’opera della Bce e su cui si addensano le tensioni politiche e sociali nei singoli paesi: hanno luogo quando Francoforte “suggerisce” manovre finanziarie, piani di rientro dal deficit, riforme del welfare o in materia giuslavoristica. La famigerata lettera spedita dall’allora Governatore Jean-Claude Trichet al Governo Berlusconi, il 5 agosto 2011, è un caso esemplare di comunicazione normativa.

Tipicamente, le banche centrali fanno molta attenzione a non eccedere in quest’ultima tipologia, visto che per statuto devono rimanere neutrali rispetto al potere politico: Federal Reserve, Bank of Japan, Bank of England e la svedese Riksbank spendono mediamente dal 2 al 4% delle loro parole in materia fiscale. La Bce, invece, dedica al quest’ultima categoria il 12% delle sue comunicazioni, e di questa percentuale la parte normativa la fa da leone.

Che piaccia o no, è il contrappeso necessario alla debolezza politica delle istituzioni europee. E a sorpresa, emerge un dato significativo: il picco delle comunicazioni normative in ambito fiscale non è di questi giorni. Risale bensì agli anni 2003-2004, periodo in cui il patto di stabilità e crescita fu violato in primis dagli sforamenti ciclici di Germania e Francia. All’epoca, nel prontuario della Bce, ben il 30% delle sortite tentò di riportare sui binari del rigore la condotta dei due giganti continentali.

La polemica sulla condotta delle istituzioni monetarie, tuttavia, non è un fatto solamente europeo. Anche negli Stati Uniti vige un aspro dibattito sul comportamento espansivo del Governatore Fed, Ben Bernanke, che ha inondato di liquidità, a partire dal crack Lemahn Brothers, i mercati statunitensi. Un mare di dollari che ha destato le proteste di parte repubblicana, allorchè i conservatori contestano alla banca centrale di mettere in campo misure “para-fiscali“, camuffate come provvedimenti di politica monetaria.


Allegati: Bce-Communication.pdf

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