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Banca d’Italia, l’addio di Draghi spinge verso una successione interna

Le ultime Considerazioni finali di Mario Draghi all’assemblea della Banca centrale di stamattina aprono di fatto la strada al cambio al vertice. La valorizzazione della dirigenza di Via Nazionale effettuata dal governatore uscente spinge verso una soluzione interna che assicurerebbe indipendenza dalla politica e autorevolezza.

Banca d’Italia, l’addio di Draghi spinge verso una successione interna

Con mesi di anticipo rispetto al trasferimento di Mario Draghi alla presidenza della Bce si è aperto il dibattito sulla sua successione, che coinvolge l’opinione pubblica come in nessuna altra parte del mondo avviene per la nomina del Governatore della banca centrale. Questo non è un bel segno. Suona infatti a conferma della debolezza del governo e delle istituzioni del nostro Paese che si discuta a lungo sull’identikit più appropriato, sulle qualità, sui curricula e sugli appoggi goduti da vari concorrenti a una nomina che dovrebbe fare notizia principalmente il giorno in cui viene effettuata.

Neppure è un bel segno l’estrema importanza, anch’essa sconosciuta all’estero, che si è sempre attribuita – e si attribuisce tuttora nonostante la politica monetaria venga decisa a Francoforte – alla Banca d’Italia. Tuttavia questo è un fatto che rimanda alla vecchia, ma più che mai attuale, questione della nostra difficoltà di produrre una “classe dirigente adeguata”. Non c’è dubbio che nella nostra storia la Banca d’Italia si sia rapidamente affermata come punta avanzata dell’esiguo nucleo di dirigenza e ciò giustifica il gran rilievo che essa ancora riveste e anche la liturgia dell’annuale Assemblea del 31 maggio – anche se verrebbe da dire: beato lo Stato che ne può fare a meno.

Ma proprio questo dato di fatto dovrebbe ricevere la massima considerazione nella scelta del successore di Draghi e suggerire di privilegiare una soluzione interna, che certo non manca, rappresentativa della dirigenza che l’istituzione ha mostrato di saper continuare a formare per il Paese. Questa capacità è stata rafforzata dall’attuale Governatore che ha valorizzato le migliori personalità formatesi nella Banca.

D’altra parte, i non celati attriti di questi ultimi anni tra il ministro dell’Economia e la Banca d’Italia non costituiscono certo una buona premessa per un passaggio dalla direzione generale del primo al governatorato che, al di là di ogni buona intenzione delle persone, ne assicuri l’indipendenza. Nel senso che ebbe a precisare nel 1900 Bonaldo Stringher, già direttore generale del Tesoro e poi sottosegretario, all’atto del suo insediamento al vertice della Banca d’Italia: “Per me tra Banca e Stato non può esservi dissidio. Comune deve essere l’intento di migliorare le condizioni dell’attività nazionale e di rialzarne le sorti. Ma comunione di intenti non significa minimamente rinunzia all’autonomia nostra nell’esercizio del credito entro i confini segnati dalle leggi e dagli statuti”.

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