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Automobilismo e Paesi emergenti: anche la Formula 1 si sposta a Est tra audience tv e ricchi sponsor

Oggi tutti gli occhi sul Gran Premio d’Asia a Singapore – Dall’anno prossimo si moltiplicheranno le gare di Formula 1 in Medio Oriente e nel continente asiatico, per la gioia di Ecclestone che assapora il piacere di cascate di soldi – Anche se molti GP assomiglieranno a spettacoli di wrestling

La Formula 1 corre in questi giorni sulle strade di Singapore. Ciò avviene per la quarta volta, che è anche la quarta volta di un Gran Premio iridato (in oltre mezzo secolo di storia) disputato in luce artificiale: oltre 3 milioni di watt in riflettori di ultimissima generazione a rischiarare a giorno il circuito, che vedrà il via della gara all’ora di cena locale. Quando, cioè, in Europa sarà l’ora classica dei GP, le 2 del pomeriggio. E anche negli Stati Uniti sarà un’ora accettabile (almeno sulla costa Est) per seguire la corsa, per quei super-appassionati che la cercheranno su qualche sito web che la proponga in streaming, perché la TV a stelle e strisce per la F.1 non è che si spelli le mani.

Salvato questo compromesso più che accettabile per l’audience televisiva globale, il potere al timone della F.1 può essere quindi soddisfatto. Se i GP in Asia presentano una pecca, questa è solitamente legata all’orario. Una via all’ora canonica, cioè le 14, in Giappone oppure in Cina costringe infatti il pubblico europeo (non parliamo di quello americano)  a un’alzataccia. E questo va a detrimento del numero di spettatori e quindi dei fantastiliardi che la F.1 incassa con i diritti televisivi.

Porte aperte, quindi, alla Formula 1 in notturna. Con buona pace dei piloti che sulla visibilità – e quindi sulla sicurezza – in luce artificiale qualche perplessità l’avevano. E forse l’hanno ancora. Ma dato che la loro forza sindacale è inversamente proporzionale ai guadagni dei loro rappresentanti top, che sono peraltro gli unici a essere presi in considerazione, dei piloti chissenefrega. Del resto, a Singapore si corre a velocità medie di tutto riposo. Otto curve si affrontano a meno di 100 chilometri l’ora: dati da Montecarlo, alla quale – in quanto GP – tutto è concesso e perdonato per via del suo storico glamour. Ma Singapore è in Asia. E dell’Asia (e finalmente veniamo al punto) la Formula 1 ha enorme bisogno.

Con l’uscita della Turchia dal calendario a fine anno, la Formula 1 2012 conterà soltanto 8 Gran Premi in Europa. Proprio come nel 1958: peccato che quell’anno le gare in campionato fossero in tutto 11, e le uniche trasferte extra continente in Argentina, a Indianapolis e in Marocco. A sostituire il GP a Istanbul, affascinante ed esotico, ma penalizzato dal disinteresse complessivo dei turchi che insieme al caro-biglietti lasciava le tribune semi-vuote, saranno il rientrante Bahrein e la new-entry assoluta di Austin, in Texas, che riporterà la F.1 negli Stati Uniti 5 anni dopo il forfait di Indianapolis.

La geografia della F.1 si sposta quindi ineluttabilmente verso Est. Confermata l’Australia con il Gran Premio sulle strade di Melbourne, irrobustito il contingente di gare americane con Austin che finalmente riporta i GP negli Stati Uniti, affiancandosi a Canada e Brasile, la parte del leone in fatto di gare la farà quindi l’Asia.  Quella  vicina, con Bahrein e Abu Dhabi che sono ormai una sicurezza per il Mondiale grazie ai petrodollari. E quella estrema: dall’India alla Corea, da Singapore alla Malesia, alle trasferte lontanissime di Cina e Giappone. E nel frattempo, l’Europa da corsa perde i pezzi. La Francia non ha più un Gran Premio; Italia e Germania ne mantengono uno quando fino a qualche anno fa ne ospitavano due. Portogallo, Austria, Olanda: tutte reminescenze motoristiche lontane. La sola Spagna continua ad avere in calendario due GP, ma è soltanto questione di tempo. E questo con buona pace del nostro amato continente, che alla F.1 ha dato gli albori, e quindi la cultura. Per non parlare dei team, della stragrande maggioranza dei piloti. Dei miti, a iniziare da una certa Ferrari.

Che cosa ha scatenato questo rovesciamento del planisfero a 300 allora? I soldi, senza dubbio. I famosi paesi emergenti inseguono la F.1 come simbolo, di ricchezza e di successo internazionale. E sono disposti a pagarla a qualsiasi prezzo. Il Bahrein, che quest’anno ha dovuto cancellare la sua gara a seguito dei disordini sociali di primavera, pagherà comunque al deus dei GP  Bernie Ecclestone qualcosa come 40 milioni di dollari. Cifra da prendere con le molle, come del resto tutto ciò che attorno a Ecclestone ruota. Ma insomma: una somma simile per non avere la gara, significa esclusivamente che tutto l’emiro bahrenita vuole, eccetto uscire dal giro del Mondiale.

Detto questo, non tutto è oro ciò che luccica. Resta da vedere a quali risultati porterà il bilancio economico negativissimo di Gran Premi quali quello di Shanghai, in rosso da anni. Ma l’Asia è la zona del pianeta con il maggiore tasso di crescita: economica, industriale, sociale.  Il che, per i Gran Premi e soprattutto per Ecclestone, significa grandi audience TV e ricchi sponsor: valori che in Europa, purtroppo, conoscono da tempo un calo costante. Proprio in questa ottica, l’Asia garantisce poi al vecchio Bernie una certezza sul fronte degli sponsor del tabacco: sempre attenti alle corse ma ormai oscurati dalle leggi comunitarie europee.

Alla Formula 1 non resta quindi che rassegnarsi alla fuga verso Est. E dati i problemi di audience TV di cui sopra, via anche alla fantasia e alle gare alla luce dei riflettori tipo Singapore. Che sono anche affascinanti: ma più che le corse vere ricordano un po’ il wrestling, o certi vecchi show televisivi. Ma non si può avere tutto…

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