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Art City Bologna 2020, l’ultima performance al Teatro Comunale

Il Main program di ART CITY Bologna 2020 conclude il weekend dell’arte oggi, domenica 26 gennaio, con il progetto performativo di Valentina Vetturi dal titolo Orchestra. Studio #3, fruibile con accesso libero nello spazio del Foyer Respighi del Teatro Comunale di Largo Respighi dalle 11.00 alle 14.00.

Art City Bologna 2020, l’ultima performance al Teatro Comunale

Anteprima del prossimo ciclo di appuntamenti della rassegna Domenica al Comunale in programma dal 2 febbraio, l’evento curato da Lorenzo Balbi e promosso dal MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna | Istituzione Bologna Musei in collaborazione con la Fondazione Teatro Comunale di Bologna, viene presentato ad ART CITY Bologna dopo due precedenti rappresentazioni: nel 2012 a Roma, nella sede del museo MACRO Testaccio, e nel 2016 a Ginevra, sotto il mercato coperto di Saint Jean.

Valentina Vetturi invita sette direttori d’orchestra professionisti – Alessandro Carrer, Caterina Centofante, Alicia Galli, Bernardo Lo Sterzo, Fabio Sperandio, Simone Valeri, Alissia Venier – a dirigere la stessa partitura, il brano Introduction et allegro. Pour harpe, flûte, clarinette et quatuorcomposto nel 1905 da Maurice Ravel per sette strumenti (arpa, flauto, clarinetto e un quartetto d’archi).

La performance è continua e ha una durata complessiva di circa tre ore, durante le quali ogni direttore d’orchestra esegue il brano di Maurice Ravel lungo undici minuti. Nel corso dell’azione, l’opera viene quindi ripetuta più e più volte, con un pausa regolare tra ogni singola fine e ogni nuovo inizio, in una sorta di loop asincrono in cui ogni direttore d’orchestra interpreta il tempo a suo modo. Se il primo respiro è comune, nel successivo corso dell’azione, in questa orchestra di direttori, convivono sette differenti dimensioni temporali. 

Con questa performance, l’artista si pone in dialogo con la tradizione musicale del secondo ‘900, chiari infatti sono i riferimenti al John Cage di Two pieces (1946), parte di una serie di opere pianistiche con l’ausilio di preparazione che esplorano le risorse dello strumento mediante un gioco disarticolato di frammentazioni, pause e silenzi condotto con un rigoroso controllo delle dinamiche, di4’33” (1952), in cui un pianista apre il coperchio del piano e lo richiude dopo la classica durata di un singolo in vinile senza aver suonato una nota, e ancora di Thirty Pieces for Five Orchestras (1981), in cui cinque orchestre affrontano lo stesso programma di brevi brani musicali, proprio come i treni che corrono spesso in direzioni diverse alla Stazione Centrale di New York. Tuttavia Vetturi, con la sua orchestra estesa nel tempo, sposta di senso quei gesti in una dimensione completamente diversa dall’afasia, incentrando la performance sul corpo dei suoi interpreti e sul rapporto tra questo corpo e l’ambiente. 

Direttori d’orchestra: Alessandro Carrer, Caterina Centofante, Alicia Galli, Bernardo Lo Sterzo, Fabio Sperandio, Simone Valeri, Alissia Venier. 

La fruizione del pubblico è libera nel corso della performance, l’ingresso è gratuito fino a esaurimento posti disponibili. 

Valentina Vetturi (Reggio Calabria, 1979) è ricercatrice e artista visiva e performativa. La sua pratica artistica intreccia scrittura, performance e ricordo, al di là della dimensione privata e ricercando inattese possibilità visive. Vetturi guarda alla scrittura come una pratica estesa che comprende la parola e il suono in una dimensione scultorea. Le voci e i personaggi che popolano le sue performance e installazioni sono veicoli di frammenti di realtà in apparenza molto distanti tra loro. Hacker, ghostwriters, direttori d’orchestra (in mancanza di orchestra), i ricordi sonori di malati di Alzheimer, fino alla scomparsa di Ettore Majorana, messa in scena in una partita di scacchi, essi si muovono al confine tra presenza e assenza, interpreti invisibili del mondo che ci circonda. Lunghi processi di ricerca performativa sono all’origine delle sue opere, la cui forma finale, dalla scena teatrale alla performance quotidiana su un treno pendolare, dal racconto sonoro alla scrittura come segno, esclude qualsiasi cornice linguistica data. 

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