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Argentina, incubo default: crollano Borsa e moneta, tassi al 74%

La sconfitta del presidente Macri alle primarie e la vittoria dei peronisti riportano l’Argentina sull’orlo della bancarotta e la banca centrale alza il tasso d’interesse alla cifra record del 74%

Argentina, incubo default: crollano Borsa e moneta, tassi al 74%

L’Argentina è di nuovo sull’orlo della bancarotta. La sconfitta del presidente liberale Mauricio Macri alle primarie più larga del previsto e soprattutto la vittoria del peronista Alberto Fernandez, sostenuto dall’ex presidente Cristina Kirchner, hanno fatto rivivere ieri all’Argentina una giornata da incubo che ha riportato sulla scena tutti i fantasmi della crisi finanziaria.

La Borsa di Buenos Aires ha perso il 37% (ma -48% in dollari), colpendo soprattutto i gruppi pubblici, le banche e le società più esposte sul mercato interno che sono arrivate a perdere fino al 50%. Crollata anche la moneta locale – il peso – che ha lasciato sul campo il 19% rispetto al dollaro.

Di fronte a una giornata da incubo la Banca centrale ha creduto di poter correre ai ripari alzando il tasso di riferimento, che dal 63% del giorno precedente è arrivato alla cifra record del 74%, addirittura un punto sopra il primato del 2018.

Malgrado gli aiuti del Fondo Monetario Internazionale, che nell’ottobre scorso ha concesso all’Argentina prestiti per 56 miliardi di dollari, l’economia del Paese sudamericano (dove operano molti gruppi italiani: da Tenaris a Fca e da Pirelli a Enel) è al collasso con un’inflazione superiore al 50%, un Pil stagnante e un’indice di povertà del 35%.

Ora il presidente Macri invita la popolazione ad avere pazienza ma finora la sua ricetta liberista non ha avuto fortuna e in queste condizioni la demagogia peronista ha buon gioco a far dimenticare i disastri della Kirchner e a vendere sogni che non si realizzeranno mai.

Gli argentini del resto sono abituati a convivere con le crisi e sanno che dopo un certo numero di anni si riaffacciano sempre alla ribalta perché il risanamento del Paese, che richiederebbe grandi riforme, non c’è mai stato.

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