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Buyback: il Governo potrebbe tassarli nella manovra di bilancio. L’ipotesi sarebbe più redditizia dell’ennesimo congelamento delle dta

La tassazione sugli acquisti di azioni proprie è stata adottata già dagli Stati Uniti e, da pochi mesi, anche dalla Francia con una quota anche retroattiva delll’8%. Quest’anno i buyback in Italia hanno già raggiunto i 10 miliardi

Buyback: il Governo potrebbe tassarli nella manovra di bilancio. L’ipotesi sarebbe più redditizia dell’ennesimo congelamento delle dta

A Palazzo Chigi il grattacapo maggiore in questo momento è raccogliere soldi: l’imperativo è trovare risorse per finanziare la prossima manovra di bilancio. Nei giorni scorsi si era fatta strada l’ipotesi di bussare ancora alla porta delle banche, ma per Palazzo Chigi ancora più ricco potrebbe essere il bottino se si tassassero i buy back di tutte le imprese quotate, senza distinzioni. Il nuovo disegno sta prendendo forma sui tavoli dei tecnici, secondo alcune fonti, ma non pare essere stata ancora discussa a livello politico, anche se nessuno, nella maggioranza, sembra contrario in linea di principio.

Secondo gli analisti, il pozzo da cui Palazzo Chigi potrebbe attingere sarebbe anche ben più ampio rispetto all’atra ipotesi sul tavolo al momento, quella del congelamento per un altro anno (il terzo di fila) delle dta, le imposte differite attive convertibili in crediti fiscali: la misura è stata inserita nella scorsa manovra

Dal 2023 c’è stata una vera e propria esplosione delle operazioni di riacquisto, per un valore di una dozzina di miliardi di euro l’anno: per quest’anno i buyback azionari hanno già raggiunto quota 10 miliardi. Quindi, dipenderà dall’aliquota che verrebbe applicata, ma il gettito potrebbe essere comunque cospicuo.

Invece l’importo dei crediti fiscali ancora teoricamente rinviabili, secondo fonti bancarie, sarebbe pari ad appena 1,5 miliardi da qui al 2029, somma certamente non sufficiente per una nuova riduzione dell’Irpef e per le altre priorità della maggioranza, come la rottamazione delle cartelle. L’ipotesi per ora è comunque smentita dal Mef e definita “bizzarra” da fonti della maggioranza.

Il buyback interessa quasi tutte le più importanti società del listino milanese, da Eni a Enel, passando per Intesa, Unicredit, Mediobanca, Generali. Sono operazioni con le quali le grandi società remunerano indirettamente il capitale dei propri azionisti, evitando la penalizzazione fiscale dei dividendi, inoltre sostengono con gli acquisti il valore dei titoli e al tempo stesso si rendono meno contendibili, riducendo le azioni in circolazione. Con meno titoli in circolazione, ogni singola azione rappresenta una quota maggiore del capitale, il suo prezzo sale, come la sua quota del monte dividendi. Dal punto di vista fiscale l’operazione conviene anche a chi vende. Si paga il 26% solo sull’eventuale plusvalenza, mentre il 26% sui dividendi viene applicato anche se il valore dell’azione nel tempo è diminuito.

L’esempio di Stati Uniti e Francia

La tassazione dei buyback è già stata adottata da Usa e Francia. Negli Stati Uniti è catalogata tecnicamente come accisa all’1% ed è scattata nel 2022. In Francia è stata adottata da pochi mesi, con effetto anche retroattivo, e con un’aliquota di bel l’8%.

In Italia questa idea potrebbe non incontrare ostacoli politici nella maggioranza, dove invece fatica a farsi strada l’idea di chiedere un nuovo sacrificio alle banche tanto più che i possibili benefici per i conti pubblici a conti fatti non sarebbero così elevati. Ovviamente entrambi i provvedimenti peserebbero sui titoli di Piazza Affari, e tra i motivi del calo di questi ultimi giorni, per lo più attribuito alla crisi di governo francese, potrebbero starci anche queste ipotesi. Il settore più penalizzato è stato quello bancario.

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