Quando il presidente statunitense Donald Trump si erge a paladino della pace del mondo c’è da credergli fino ad un certo punto. Intanto perché la stessa tregua in Ucraina, di cui effettivamente si sta facendo promotore (ma più per interessi geopolitici e commerciali che altro) ancora non è detto che venga raggiunta, e poi perchè se da un lato una mano dà, dall’altro l’altra mano toglie. Il doppiogiochismo del tycoon si sta manifestando, per certi versi inaspettatamente, da tutt’altra parte del mondo rispetto a Kiev e Mosca: nel Venezuela del presidente, o dittatore che dir si voglia, Nicolas Maduro. I rapporti tra Washington e Caracas sono notoriamente tesissimi, ma adesso in Sudamerica sono convinti che gli Stati Uniti stiano preparando un vero e proprio attacco militare. Un primo segnale in questo senso era già arrivato lo scorso 7 agosto, quando la Casa Bianca aveva raddoppiato la ricompensa per la cattura di Maduro, alzandola a 50 milioni di dollari.
Washington manda l’esercito al largo di Caracas: già schierati tre cacciatorpedinieri e oltre 4.000 marines
Negli ultimi giorni tuttavia c’è stato un deciso upgrade: gli Usa hanno minacciosamente mandato navi militari a pattugliare il largo delle coste del Venezuela, ufficialmente – secondo quanto riportato da Reuters – per accerchiare e sradicare i cartelli del narcotraffico sudamericani, dei quali il presidente Maduro è accusato di essere fiancheggiatore. “Il presidente Donald Trump – ha chiaramente detto la portavoce del governo statunitense Karoline Leavitt, proprio nei giorni in cui il tycoon secondo qualcuno si starebbe meritando il Nobel per la Pace – è pronto a usare tutta la forza per impedire che la droga invada il nostro Paese e per assicurare alla giustizia i responsabili. Il regime di Maduro non è un governo legittimo: è un cartello narcoterroristico”. Parole forti che lasciano pochi dubbi: il Venezuela sta per diventare un nuovo fronte di conflitto, ed infatti gli analisti interpellati dalla stampa sudamericana lo confermano.
I marines schierati sarebbero già oltre 4.000 le tre navi cacciatorpediniere (la USS Gravely, la USS Jason Dunham e la USS Sampson) appartengono alla recente generazione della Marina americana, con 74 unità in servizio e un’ipotetica capacità di 288 missili per singolo attacco. Una potenza di fuoco decisamente superiore a quella del Venezuela e un dispiego di forze che non si vedeva dai tempi della Guerra del Golfo del 1991, se si considera anche l’utilizzo del sistema di difesa anti-missilistica Aegis, in grado di utilizzare 96 missili diversi, e del leggendario Tomahawk. “Difenderemo i nostri mari, i nostri cieli e le nostre terre. Nessun impero toccherà il sacro suolo del Venezuela, né dovrebbe toccare il sacro suolo del Sudamerica”, ha detto da parte sua Maduro, che per difendersi ha già mobilitato 4,5 milioni di miliziani in tutto il Paese. “Milizie già armate e pronte”, ha aggiunto.
Una fonte anonima a Reuters: “Il processo potrebbe durare mesi”
Tuttavia sembra che l’attacco non sarà imminente: un funzionario contattato da Reuters in condizione di anonimato ha spiegato che si tratta di un processo che dovrebbe durare diversi mesi. Secondo la fonte anonima, il piano di Washington prevede che l’esercito operi sia nello spazio aereo che nelle acque internazionali. L’operazione tecnicamente è anti-narcos e anti-terroristica, ma quando si tratta del Venezuela sullo sfondo c’è molto di più: Trump infatti aveva preso di mira e inserito nella “lista nera” pure i cartelli della droga messicani, ma si guarderebbe bene dal minacciare militarmente un Paese che, nonostante le tensioni, è un importante partner commerciale (e col quale tra l’altro co-ospiterà il Mondiale di calcio del prossimo anno). Con Caracas pare evidente che ci sia l’aspettativa di sbarazzarsi per sempre di un regime ostile, che flirta con i rivali Russia, Cina e Iran, e di accedere finalmente alle ricche risorse petrolifere che quella area del mondo offre.