Su quella panchina di Kananaskis, in Canada, raccontano che la premier italiana Giorgia Meloni sia riuscita a strappare al presidente americano Donald Trump, in un breve tête-à-tête a margine del vertice G7, l’impegno a firmare comunque il documento finale del summit. Firma che è arrivata, ma subito dopo il presidente Usa ha lasciato il vertice e si è imbarcato sull’Air Force One per fare ritorno a Washington per seguire la crisi in Medio Oriente.
Tutti elementi, questi, che rendono sempre più evidente le difficoltà con le quali da tempo la governance mondiale riesce ad affrontare le crisi in corso. La domanda sorge spontanea: il formato G7, nato a Rambouillet in Francia nel ’75 come foro di dialogo tra i “grandi” del mondo per tentare di dare risposte alle crisi globali (in quel momento si era nel mezzo della crisi petrolifera), ha ancora una sua validità ?
G7, colloquio con l’ambasciatore Sessa
Ma anche rispetto a quanto trapelato sulla stampa dei lavori preparatori sembrerebbe che il G7 canadese non abbia conseguito tutti i risultati che si riprometteva. C’è da chiedersi se abbia ancora una sua validità? Risponde l’ambasciatore Riccardo Sessa presidente del Sioi (Società italiana per l’Organizzazione internazionale) una lunga carriera alle spalle che lo ha portato anche alla guida delle Ambasciate italiane nella ex Jugoslavia, in Iran, Cina e alla Nato.
“Il G7 – spiega Sessa – è un foro certamente utile a fare incontrare i capi di Stato dei Paesi più industrializzati dell’Occidente per discutere sui principali temi dell’attualità internazionale, anche se oggi le occasioni di incontro a quel livello sono alquanto numerose. A vedere il comunicato finale di Kananaskis e quello di Borgo Egnazia dell’anno scorso qualche dubbio su come si siano svolti i lavori ci vengono. Non è mancato in Canada l’Outreach con molti altri Paesi coinvolti ma la sensazione è che effettivamente questi formati devono essere ripensati”.
G7, Sessa: ecco perché è in crisi
“In realtà – osserva Sessa – anche nel ’75 il primo G6 (al quale fu associata anche l’Italia per merito della nostra diplomazia e, in particolare, del segretario generale della Farnesina, l’ambasciatore Raimondo Manzini) rappresentava solo una parte del mondo. Ma c’era la guerra fredda con la Russia e la Cina non era ancora il colosso economico che conosciamo oggi. Del resto – aggiunge il presidente della Sioi – che il G7 non fosse più sufficiente alla governance globale lo si era capito da tempo. La diplomazia aveva cercato di sopperire alle carenze con il formato Outreach con inviti a oltre una decina di Paesi fuori dal G7. Nel ’99 a livello di ministri delle finanze nasce il G20 che dopo la grande crisi del 2008 diventa summit di capiti di Stato e di Governo. Ma poco dopo escono prepotentemente sulla scena internazionale di Brics (Cina, Russia, Brasile, India, Sudafrica, Indonesia ecc.) Paesi considerati ‘cattivi’ che vogliono contare di più e che tra di loro hanno già una fitta rete di contatti a tutti i livelli e in tutti i settori”.
Ma un G2 poggi avrebbe senso? E fra chi? Stati Uniti e Cina o Russia? “Da anni vado ripetendo – dice Sessa – che questi formati non hanno alcun senso non solo perché il mondo è profondamente cambiato ma perché sappiamo come la governance mondiale non funziona. Poi un tavolo con due gambe soltanto non si regge e noi italiani non possiamo non sostenere che ce ne vuole una terza di gamba, quella dell’Unione europea”.
G7 in crisi ma non solo, Sessa: la riforma mancata
Ma non è solo il G7 ad essere in crisi. È lo stesso sistema multilaterale che ha mostrato tutti i suoi limiti nell’attuale crisi in Medioriente, la guerra a Gaza e lo scontro tra Israele e Iran per non parlare dell’Ucraina. “In realtà – osserva Sessa – non è in crisi il modello delle Nazioni Unite, che soprattutto nella componente umanitaria funziona bene. Ciò che ha mostrato tutti i suoi limiti è la gestione delle crisi internazionali d parte delle Nazioni Unite. Rispetto al modello creato a San Francisco nel ’45 i Paesi Onu dell’Onu sono passati da 51 ad oltre 190 e soprattutto il Consiglio di sicurezza ha una composizione che è figlia della situazione creatasi alla fine della Seconda guerra mondiale con 15 membri di cui 5 permanenti di cui tre occidentali e due, Russia e Cina il cui veto può paralizzare ogni decisione. La diplomazia italiana, già alla metà degli anni ’90 con l’ambasciatore Francesco Paolo Fulci, cercò di creare le premesse per una riforma del Consiglio di sicurezza all’insegna di una maggiore democrazia e trasparenza ma finora senza successo”.
L’anno prossimo la presidenza francese toccherà ai francesi ma da qui alla fine dell’anno spetterà ai canadesi cercare di raccordare i sette grandi occidentali in uno dei momenti certamente più difficili sul piano internazionale.