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Green Deal Ue: crescita sì, ma va rivisto il 3%

L’agenzia di rating S&P afferma che il Green Deal può raggiungere gli obiettivi solo con un massiccio intervento fiscale da parte dell’Unione europea – Utile scorporare gli investimenti dal vincolo deficit/Pil

Green Deal Ue: crescita sì, ma va rivisto il 3%

Dopo aver esaminato il piano della Commissione Europea per il finanziamento del Green Deal, l’agenzia di rating S&P ha pubblicato un report secondo cui il Green Deal incrementerà le prospettive di crescita a lungo termine dell’Unione, riducendo la probabilità di shock climatici legati al Pil e migliorandone anche la resistenza.

L’obiettivo principale di questa nuova strategia, e probabilmente anche la più ambiziosa, è quello di ripristinare gli obiettivi climatici dell’Unione per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, riducendo in modo ancora più ambizioso le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 50% entro il 2030.

“Un Pil più basso può causare minori emissioni, ma non il contrario: emissioni più basse non determinano una minore crescita. La riduzione del 23% delle emissioni dell’Unione dal 1990 non ha indebolito le prestazioni economiche e non è dovuta a un settore dei servizi più ampio”, ha detto l’economista senior di S&P Global Ratings Marion Amiot.

“Tuttavia, il raggiungimento di una neutralità climatica nella riduzione delle emissioni di Co2 entro il 2050 richiederà all’Ue di fare molto di più”, ha aggiunto l’analista di credito di S&P Global Ratings, Anna Luibachvna. ” Solo Svezia, Portogallo e Grecia sembrano in grado di raggiungere gli obiettivi del 2030 per i settori che non fanno parte del sistema di scambio delle emissioni”, ha concluso l’analista.

“Le risorse fiscali dell’Ue sono troppo piccole, quindi un cambiamento si avrebbe solo con una revisione delle regole fiscali per escludere gli investimenti verdi dal limite del 3% del Pil del deficit di bilancio”, sostiene Amiot.

In alternativa, si potrebbe ricorrere alla determinazione del prezzo del carbonio. Sarebbe il modo più efficiente per affrontare il cambiamento climatico, ma è difficile da attuare a causa del suo impatto sociale. Invece, l’Unione Europea sembrerebbe favorevole a un budget verde di 1.000 miliardi di euro e a una tassonomia – una selezione gerarchica – per gli investimenti verdi. Nel 2017, la ricerca e sviluppo dell’Ue, in termini ambientali, ha registrato una media inferiore allo 0,005% del Pil, troppo poco per colmare l’enorme divario rispetto alle necessità.

D’altra parte la politica monetaria sembrerebbe più propensa a dare una mano, ma il problema è che questa può solamente incoraggiare il mercato a rivalutare il costo del carbonio. Inoltre, la sua natura anticiclica, non la rende efficace quanto la politica fiscale.

Ultimo ma non meno importante è che se l’Unione raggiungerà la neutralità del carbonio entro il 2050, rimarrà comunque un consumatore di Co2. Attualmente l’Unione Europea rappresenta il 9% delle emissioni globali, ma consuma anche un altro 2% attraverso le importazioni. Tenendo presente questa rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, l’Ue potrebbe prendere in considerazione una tassa per garantire che i consumatori e le imprese internalizzino il costo dell’importazione del carbonio.

Considerando però che i due maggiori partner commerciali dell’Ue, Stati Uniti e Cina, sono anche i due maggiori produttori di Co2, ciò potrebbe aumentare le tensioni commerciali e ridurre gli investimenti, in modo sicuramente dannoso per la crescita a breve termine.

Nel contesto delle tensioni commerciali globali, è più probabile che si adotti un approccio settoriale: tassare i settori più inquinanti, come l’acciaio e il cemento. un altro percorso sarebbe quello di rendere i suoi impegni ambientali parte degli accordi commerciali.

In prospettiva, è la conclusione cui arriva il rapporto di S&P, l’Ue dovrà introdurre politiche più “rispettose” verso l’ambiente, altrimenti non raggiungerà mai i suoi obiettivi per il 2050. Un prezzo del carbonio più elevato sarebbe più impegnativo per i settori inquinanti, ma allo stesso tempo, potrebbe essere necessario per spingere a una riclassificazione del costo del carbonio sul mercato.

E’ improbabile che la tassonomia per investimenti sostenibili o la politica monetaria siano sufficienti a raggiungere la neutralità del carbonio. per colmare l’enorme divario negli investimenti, inoltre, i Paesi dell’Unione Europea dovranno investire di più, il che suggerisce che senza un alleggerimento delle regole fiscali per gli investimenti verdi, ciò potrebbe dimostrarsi difficile.

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