Ho conosciuto Alfredo Recanatesi all’inizio degli anni ‘70. Ero entrato come giovane praticante nella redazione de Il Globo, glorioso quotidiano economico edito a Roma. Lui era già responsabile della sezione Borsa e Finanza. Il mio primo lavoro fu quello di ricopiare giorno dopo giorno il listino di Borsa su appositi fogli che poi venivano spediti in tipografia. Un lavoro manuale, oggi sostituito dalle macchine, ma che consentiva ai giovani di imparare a memoria i nomi delle società quotate e vedere le oscillazioni giornaliere delle loro quotazioni. Poi si faceva un po’ di tutto del lavoro redazionale. Titoli, riscrittura delle agenzie, notizie di varia dimensione. Soprattutto si incollavano le agenzie per fare pezzi della lunghezza desiderata. Non a caso, entrando in redazione, la dotazione assegnata ad un giovane aspirante giornalista consisteva in un paio di forbici ed un barattolo di colla, la famosa Coccoina.
I ritmi del giornalismo di allora erano diversi. A quell’epoca il direttore de Il Globo era Remigio Rispo un anziano signore napoletano sempre in doppiopetto, che verso le sei del pomeriggio tornava a casa passando dalla redazione a salutare e lasciare un perentorio avvertimento: “Ue’ guaglio’ faciteme ‘nu bello giornale”.
Dopo poco più di un anno Recanatesi venne chiamato a dirigere la redazione romana del Sole 24Ore, quotidiano più grande e già leader nazionale. Pochi mesi dopo mi chiamò offrendomi una posizione del settore Finanza, ma a Milano. Lì iniziammo, insieme al direttore Alberto Mucci, una grande avventura giornalistica che consisteva nella trasformazione del giornale che era poco più di un bollettino con quotazioni di Borsa e di Merci, in un vero giornale. Ci sentivamo tutti i giorni, e magari più volte al giorno per confrontare le nostre idee e per concordare le proposte da fare al direttore ed al resto della redazione.
Dovemmo vincere le forti resistenze dei tradizionalisti che non volevano abbandonare le vecchie strade battute da quasi cento anni. “Si è fatto sempre cosi” dicevano. Abbiamo battagliato per mettere titoli di merito ai pezzi. Ad esempio prima si usava mettere come titolo “L’assemblea Montedison” mentre noi riuscimmo a far sì che si mettesse un titolo di merito tipo “La Montedison perde tot” oppure “Cambia il Consiglio di amministrazione”. Una piccola questione che però inaugurò una nuova mentalità giornalistica. Come ci disse l’avv. Agnelli, allora presidente della Confindustria, non dovevamo fare un house organ della confederazione degli industriali, ma un grande giornale per l’intera economia italiana. Certo di ispirazione liberale e pro mercato. Ma libero di giudicare le singole operazioni o le politiche del governo sulla base di un giudizio tecnico ben motivato, sempre inquadrato nella ispirazione liberale di fondo.
Recanatesi scriveva prevalentemente di politica economica e monetaria, ma non disdegnava incursioni nella politica pura come quando rimproverò Ugo La Malfa per non aver avuto il coraggio di fare un governo che emarginasse la DC. E nel suo campo era il numero uno. Ma non essere legato a nessun carro non suscita molte simpatie. Quelli della tua parte non si fidano, mentre gli avversari moltiplicano gli attacchi.
Lungo la strada dell’indipendenza è fondamentale che un giornale che vuole essere letto da più persone, anche con opinioni politiche ed opzioni ideologiche diverse, acquisti credibilità ed affidabilità. Il pubblico deve sapere che dietro quello che si scrive c’è solo un accurato lavoro giornalistico. In questa direzione, ad un certo punto prememmo presso il direttore per pubblicare giornalmente una pagina dedicata ai problemi del lavoro e sindacali. Apriti cielo! Gli industriali più conservatori criticarono questa iniziativa di quello che ritenevano il “loro” giornale. La pagina fu mantenuta ma certo quell’episodio aumentò la diffidenza verso Recanatesi e lo stesso direttore. Del resto quasi vent’anni dopo, una delle motivazioni con le quali fui allontanato dalla direzione de Il Sole 24 Ore, (presidente di Confindustria era Antonio d’Amato) è stata proprio quella di aver pubblicato in prima pagina un articolo di Sergio Cofferati, allora segretario generale della Cgil, che rispondeva peraltro ad una nostra severa critica al sindacato che sapeva dire solo NO. Un po’ come avviene ancora oggi. Questo dimostra quanto è vero il detto “la madre degli stupidi è sempre incinta”.
Presto finì prima per me e poi anche per lui l’avventura de Il Sole 24 Ore. Io poi tornai come direttore e amministratore delegato. Lui divenne articolista de la Stampa e collaborò con varie istituzioni tra cui l’Abi. Alfredo Recanatesi è stato il testimone di cosa vuol dire fare il giornalista indipendente, non schierato a priori e non militante per un partito o per un gruppo di potere. Certo aveva le sue idee, ed erano vicine a quelle di una sinistra ragionevole e preparata. Una sinistra che purtroppo non c’è stata (con qualche eccezione) e non c’è. Il giornalismo non dovrebbe servire per fare lobby o influenzare gli elettori. I giornalisti non dovrebbero scrivere o andare in TV con la loro etichetta politica partecipando alla lottizzazione delle opinioni (per lo più disinformate) ma presentarsi sulla base delle loro competenze e della capacità di comunicare al lettore o all’ascoltatore qualcosa che è più vicino possibile alla realtà dei fatti.
Il cittadino deve avere fiducia sul fatto che il giornalista prima di comunicare una informazione, ha fatto con scrupolo le verifiche necessarie. La credibilità dell’informazione oggi è compromessa (a parte qualche rara eccezione) perché il giornalista appare come portavoce di una determinata posizione, invece che come “Guardiano del potere”. E questa magari è anche una ragione della decadenza delle nostre democrazie.
LEGGI ANCHE: il pensiero di Recanatesi sul giornalismo made in Italy