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Accadde Oggi – 25 luglio 1943: la lunga notte del fascismo, il Gran Consiglio sfiducia Mussolini e il regime crolla

Ottantadue anni fa, nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943, si consumava a Roma la fine del regime fascista. Il Gran Consiglio sfiduciava Benito Mussolini, che poche ore dopo sarebbe stato arrestato per ordine del re. Era il crollo di un potere che per vent’anni aveva dominato l’Italia con violenza, propaganda e menzogna

Accadde Oggi – 25 luglio 1943: la lunga notte del fascismo, il Gran Consiglio sfiducia Mussolini e il regime crolla

Roma, notte tra il 24 e il 25 luglio 1943. Nella Sala del Pappagallo di Palazzo Venezia, sede del governo fascista, ventotto uomini siedono attorno a un grande tavolo a U. Sono i vertici del regime, uomini che per anni hanno servito, temuto o ossequiato Benito Mussolini. Tra loro ci sono Dino Grandi, Emilio De Bono, Carlo Scorza, Luigi Federzoni, Galeazzo Ciano, Giuseppe Bottai e Roberto Farinacci.

L’Italia è allo sfascio. La guerra, iniziata con baldanzoso entusiasmo nel 1940, si è rivelata un disastro. Le sconfitte militari si accumulano, l’economia è in ginocchio, le città sotto i bombardamenti. Il 10 luglio gli Alleati sono sbarcati in Sicilia, e l’invasione appare inarrestabile. Il consenso verso il fascismo è ormai evaporato. Mussolini, malato e indebolito, è incapace di reagire.

Il re Vittorio Emanuele III, dopo vent’anni di complicità passiva, valuta finalmente una svolta. I vertici militari, guidati dal generale Ambrosio, iniziano a progettare un possibile distacco dalla Germania. La principessa Maria José, moglie dell’erede Umberto, intreccia contatti con ambienti antifascisti e vaticani.

L’ultima riunione del Gran Consiglio e il ruolo di Dino Grandi

In questo clima di disfacimento, Dino Grandi, tra i pochi gerarchi non del tutto asserviti al culto del Duce, elabora un piano per porre fine al regime salvando la monarchia. Inaspettatamente, Mussolini accetta di convocare il Gran Consiglio del Fascismo, organismo che non si riuniva dal 1939. Sarà il suo errore fatale.

L’atmosfera è carica di tensione. Temendo un epilogo violento, diversi membri portano con sé armi. Grandi ha addirittura due bombe a mano, una delle quali la affida al quadrumviro De Vecchi.

La seduta si apre con un lungo, stanco discorso di Mussolini sulla situazione militare. Due ore di parole confuse e prive di slancio. Il suo carisma, un tempo assoluto, è ormai evaporato.

Alle 21 prende la parola Grandi. Monarchico convinto, già ambasciatore a Londra, è persuaso che solo la fine del governo personale del Duce possa evitare il disastro totale. Presenta un ordine del giorno in tre punti: elogia il sacrificio dei soldati, invoca l’unità della nazione e, soprattutto, chiede il ripristino delle funzioni costituzionali, con la restituzione del comando supremo delle Forze Armate al Re, come previsto dallo Statuto Albertino. Il linguaggio è prudente, calibrato per raccogliere consensi trasversali, ma il significato politico è inequivocabile: Mussolini deve lasciare il potere.

Anche altri gerarchi intervengono. Farinacci e Scorza presentano testi alternativi, ma non vengono messi ai voti. Alle 2:30 del mattino arriva il verdetto: 19 voti a favore dell’ordine del giorno Grandi, 8 contrari, 1 astenuto. Mussolini è messo in minoranza. Il fascismo, almeno nella sua forma originaria, è crollato. Ma fuori da quelle mura, l’Italia ancora non sa che il Duce ha perso tutto.

L’incontro a Villa Savoia: il Re arresta il Duce

La mattina del 25 luglio, Mussolini si comporta come se nulla fosse accaduto. Si reca regolarmente a Palazzo Venezia, poi chiede di anticipare l’udienza settimanale con il Re. Vittorio Emanuele III lo riceve alle 17 a Villa Savoia.

Il colloquio dura appena venti minuti. Con tono freddo e deciso, il Re comunica la sua destituzione. Pietro Badoglio è il nuovo capo del governo. Mussolini tenta di opporsi, invocando il carattere consultivo del Gran Consiglio, ma il Re è irremovibile.

All’uscita, Mussolini viene fermato da cinque carabinieri in borghese e caricato su un’ambulanza. Il capitano Vigneri gli comunica che si tratta di una misura “di protezione dalla folla”. In realtà, è un arresto. Il Duce viene portato alla caserma Podgora, poi trasferito a Ponza. È la fine politica dell’uomo che aveva dominato l’Italia per vent’anni.

Alle 22:45 la radio annuncia ufficialmente il cambiamento al vertice. Roma esplode di gioia, le statue del Duce vengono abbattute, le insegne del regime divelte. Dopo vent’anni, la dittatura è caduta. Ma la guerra no.

Il governo Badoglio e una transizione nel sangue

Il nuovo governo, guidato dal maresciallo Badoglio, è composto da tecnici e militari. La linea è però, inizialmente ambigua. Si proclama che “la guerra continua”, per non allarmare i tedeschi e intanto, le manifestazioni popolari vengono represse con violenza.

Tra il 25 e il 30 luglio, l’esercito apre il fuoco sui manifestanti in diverse città, da Reggio Emilia a Bari. Il bilancio è tragico: 83 morti, oltre 300 feriti e 1.500 arresti. L’apparato repressivo resta in piedi, segno che il fascismo è caduto solo formalmente. Bisognerà attendere il 2 agosto perché vengano sciolti ufficialmente il Partito Nazionale Fascista, il Gran Consiglio e la Camera dei Fasci e delle Corporazioni.

Intanto, Mussolini viene trasferito prima sull’isola della Maddalena, poi a Campo Imperatore, sul Gran Sasso. Resterà prigioniero fino al clamoroso blitz delle forze speciali tedesche, il 12 settembre, che lo libererà per rimetterlo alla guida della Repubblica Sociale Italiana, lo stato fantoccio creato da Hitler nell’Italia occupata.

Il 25 luglio 1943 e il suo lascito

Quando la radio annunciò la caduta di Mussolini, molti italiani pensarono che la guerra fosse finita. Ma si sbagliavano. Il peggio doveva ancora arrivare. Il 3 settembre 1943, l’Italia firma in segreto l’armistizio con gli Alleati, reso pubblico solo cinque giorni dopo, l’8 settembre. Quel giorno segna l’inizio del caos con il Paese si spezza in due. Da una parte il Regno del Sud con gli angloamericani, dall’altra la RSI con l’occupazione nazista. Cominciava la guerra civile. Nasceva la Resistenza.

Il 25 luglio segna il crollo di un regime che per vent’anni aveva occupato ogni spazio della vita italiana. Come ha scritto Emilio Gentile nel suo libro 25 luglio 1943, il fascismo non fu soltanto un sistema di potere, ma una vera e propria religione politica, costruita attorno al culto del Duce e sostenuta da una macchina propagandistica pervasiva. Eppure, quel sistema non fu rovesciato da una rivoluzione popolare ma implose proprio sotto il peso della propria retorica, delle proprie bugie, delle proprie rovine.

Ottantadue anni dopo, quella notte resta un monito potente. Nessun regime è eterno, nemmeno il più solido o il più temuto. Il fascismo cadde dall’interno, tradito dai suoi stessi uomini. Ma le sue tossine non sono mai scomparse del tutto. Come ammoniva Umberto Eco, il fascismo eterno cambia volto, ma non muore. Le tentazioni autoritarie, l’intolleranza verso chi dissente, il disprezzo per la democrazia parlamentare, l’odio per le minoranze sono i segnali di un virus sempre pronto a riaffacciarsi.

Per questo il 25 luglio non è solo un anniversario ma un richiamo alla memori e alla coscienza critica. E serve, oggi come allora, il coraggio civile di non voltarsi dall’altra parte. Perché non c’è nulla di più prezioso che vivere in libertà.

Piero Calamandrei, nel suo discorso sulla Costituzione rivolto ai giovani, lo spiegò con parole semplici e profonde:

La libertà c’è. Si vive in regime di libertà, c’è altre cose da fare che interessarsi di politica. E lo so anch’io! Il mondo è cosi bello, ci sono tante belle cose da vedere, da godere, oltre che occuparsi di politica. La politica non è una piacevole cosa. Però la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai, e vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica.

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