15 agosto 2011. Piena estate. La Silicon Valley, già rovente per la guerra dei brevetti tra colossi, riceve una scossa inattesa: Google compra Motorola Mobility per 12,5 miliardi di dollari. Un’operazione lampo, approvata all’unanimità dai consigli di amministrazione, che catapulta il gigante della ricerca nel mondo dell’hardware.
Ma dietro la mossa c’era un piano preciso. Motorola portava in dote 17.000 brevetti registrati e altri 7.500 in attesa di approvazione: un arsenale legale per blindare Android, proprio mentre Apple, Microsoft e Oracle trascinavano tutti in tribunale. Larry Page, allora ceo di Google e cofondatore insieme a Sergey Brin, lo ammise senza giri di parole: “Vogliamo proteggere l’ecosistema Android”.
Motorola: un’icona sotto l’ala di Mountain View
Motorola non era un marchio qualsiasi. Aveva inventato il primo cellulare portatile e definito lo stile di un’epoca con il Razr V3, il flip phone che divenne simbolo di status a metà anni 2000. Nel 2011 aveva tentato il salto nei tablet con il Motorola Xoom, ma il successo commerciale non fu all’altezza del clamore mediatico.
Con l’arrivo sotto Google, il logo si rinnovò, le insegne si accesero vicino al campus di Mountain View e partì una stagione di rilanci. Ma già nel 2013 arrivò il primo segnale di ridimensionamento con la cessione della divisione Home ad Arris per 2,35 miliardi di dollari.
La parabola sotto Google: sogni e frizioni
Il matrimonio tra le due società non fu semplice. Google puntava su smartphone di fascia alta come il Moto X, ma furono i modelli economici, come il Moto G, a far breccia nei mercati emergenti e in Europa, dove nel Regno Unito Motorola passò dallo 0 al 6% in un solo trimestre.
Ci fu persino un esperimento patriottico: una fabbrica a Fort Worth, Texas, per assemblare Moto X personalizzati negli Usa. Un’idea ambiziosa, chiusa però in meno di due anni per costi elevati e domanda inferiore alle attese.
Intanto salivano in quel periodo le tensioni con Samsung. Il colosso coreano, primo produttore di Android al mondo, temeva che Google potesse dare un trattamento di favore a Motorola. Un’eventuale rottura sarebbe stata un disastro per Google: perdere Samsung avrebbe significato mettere a rischio l’intero ecosistema Android.
29 gennaio 2014 – L’uscita (quasi) in perdita
Alla fine Google fece un passo indietro. Motorola Mobility passò a Lenovo per 2,91 miliardi di dollari, ma con la condizione che gran parte dei brevetti restassero a Google. Le perdite effettive? Circa 2 miliardi, meno pesanti di quanto sembri, considerando che Google aveva già rivenduto parti dell’azienda e conservato il vero bottino: la proprietà intellettuale.
Il tempismo non fu casuale. Pochi giorni prima, Google e Samsung avevano firmato un accordo decennale di condivisione brevetti, un patto che garantiva stabilità all’ecosistema Android.
Lenovo e la rinascita di Motorola
Lenovo scelse di non stravolgere la filosofia Motorola: Android “quasi puro”, prezzi competitivi e attenzione ai mercati emergenti. Nel 2017 arrivò il grande ritorno del brand con lo slogan “Hello Moto”. E il revival non fu solo estetico:
- Nel 2019 tornò il Razr, stavolta con schermo pieghevole.
- Nel 2020, il Motorola Edge Plus segnò il ritorno nella fascia top.
- Nel 2022, il Moto X30 Pro portò la prima fotocamera da 200 megapixel al mondo.
Oggi Motorola è di nuovo in corsa: +7% di spedizioni globali nel Q1 2025, terzo posto in Australia e Nuova Zelanda, AI integrata nei nuovi Razr e resistenza estrema nella gamma Edge 2025.
Dal colpo Motorola al record Wiz
Per anni l’acquisizione Motorola rimase la più grande nella storia di Google. Fino al 18 marzo 2025, quando Alphabet, la casa madre, ha annunciato il colpo da 32 miliardi di dollari per la startup israeliana di cybersicurezza Wiz, più del doppio dell’operazione del 2011. Oggi, invece di giocarsi la partita nell’hardware, Google preferisce farlo dove è regina incontrastata: il cloud.