Con la cessione di un quota dell’Eni e del Monte dei Paschi, nel 2024 il Governo sembrava aver avviato una nuova stagione delle privatizzazioni, anche se sul tavolo non c’erano e non ci sono più bocconi grossi. Ma il 2025 rischia di chiudersi senza nuove dismissioni, anzi, vista la piega che ha preso la disfatta nazionale della siderurgia semi-pubblica, è più probabile che avvenga il contrario e cioè la nazionalizzazione – altro che privatizzazione !!! – dell’ex Ilva di Taranto, come ha ventilato nei giorni scorsi il vicepresidente leghista del Consiglio, Matteo Salvini, di fronte al fuggi fuggi degli industriali privati.
A metà del 2025 il sacco è vuoto e il bilancio delle privatizzazioni del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, è dunque desolante. Come testimonia l’invasione di campo che il ministro sta facendo in campo bancario, Giorgetti pare aver cambiato registro e, anziché rilanciare la politica delle dismissioni, sembra essersi innamorato dello Stato dirigista e interventista. Bisogna tuttavia dare atto che il quadro generale è cambiato e che il valore di Borsa delle Poste Italiane, che nel frattempo sono entrate in Tim con un ruolo guida e che hanno raggiunto la capitalizzazione di circa 25 miliardi, e quello di Monte dei Paschi, che ha addirittura lanciato un’Ops su Mediobanca, è notevolmente aumentato e che questo non è il momento più opportuno per privatizzare, almeno finché non si saranno concluse le operazioni societarie su Tim e su Mediobanca. Se è vero che il momento buono per privatizzare è alle spalle, però fare chiarezza sulla strategia del Governo in economia e stabilire se convenga davvero avere più Stato che mercato, è un compito che il ministro Giorgetti non può eludere.