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Nucleare italiano: si riparla del deposito per le scorie

Il ministro Calenda ha annunciato che il deposito per le scorie nucleari delle centrali dismesse dopo il referendum e che dovrà ospitare i rifiuti delle attività industriali e di medicina nucleari regolarmente attive in Italia dovrebbe essere realizzato entro il 2025 – Entro quest’anno la Carta delle aree idonee ad ospitare la struttura – Nel 2017 previsti 75 milioni di lavori di decommissioning

Nucleare italiano: si riparla del deposito per le scorie

Sempre che non resti un miraggio fisso in un orizzonte datato 1987, il deposito delle scorie nucleari italiane dovrebbe materializzarsi entro il 2025. A prendere in mano la situazione – consultazione istituzionale inclusa – stavolta è il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda. Prima di lui, erano stati quello dell’Ambiente Gianluca Galletti e prima ancora una lunga lista di esperti, manager della Sogin (Società che gestisce i siti dismessi) e scienziati a spiegarci la necessità di liberare le cinque vecchie centrali dalle scorie radioattive.

Il tema è aperto dal lontano 1987, anno del referendum popolare che ha sbarrato la porta all’energia nucleare. Entro quest’anno, dice Calenda, sarà pubblicata la Carta delle aree idonee ad ospitare il deposito (Cnapi). Il governo è impegnato anche nella valutazione di impatto ambientale, mentre la Sogin porta avanti iniziative di sensibilizzazione per abbassare i timori delle popolazioni che vivono a ridosso dei siti. A Latina, Garigliano, Caorso e Trino Vercellese le paure non sono mai state scongiurate del tutto. Il deposito, tuttavia, dovrà raccogliere i rifiuti nucleari isa dalla ex centrali dismesse o mai partite ma anche dalla produzione legata alle attività industriali in corso e alla medicina nucleare. La Sogin, nel corso degli anni, con le responsabilità affidatele qualche ritardo lo ha accumulato.

Il governo, ha spiegato Calenda in Parlamento, ha stimato quattro anni per arrivare all’autorizzazione per la costruzione del deposito. Tra le buone intenzioni anche un seminario (forse più di uno) per spiegare cosa si metterà in sicurezza e come. Sono modalità già in uso in altri Paesi, dove i siti sono stati realizzati e funzionano.

Sono passati 30 anni dalla consultazione referendaria. Sogin prevede una spesa di 75,7 milioni di euro per i lavori di decommissioning nel 2017 a fronte di un budget inizialmente previsto di 83,3 milioni. Lo scostamento di circa 10 milioni di euro è dovuto al ritardo di alcune autorizzazioni dell’Istituto per la Protezione ambientale (Ispra) e al ritardo nella ripartenza di alcuni cantieri per problemi contrattuali con i fornitori. Ulteriori rischi autorizzativi-operativi sono stati stimati da Sogin in 7 milioni tanto che, ha chiarito il ministro Calenda, nel caso dovessero materializzarsi il 2017 si chiuderebbe a 69 milioni di lavori, un valore comunque tra i più alti degli ultimi anni.

Poco a che vedere con l’esperienza di Soulaine, cittadina francese a pochi chilometri da Parigi, dove il deposito delle scorie nucleari convive con la produzione di champagne e coltivazioni di eccellenza. Da noi alla fine si chiamerà Parco tecnologico, sarà aperto a visite ed escursioni e già dal 2024 potrebbe accogliere il rientro dei rifiuti radioattivi ad alta attività processati all’estero. Sappiamo che Austria, Svizzera, Francia, Regno Unito e Germania hanno manifestato interesse a partecipare alla consultazione transfrontaliera sul futuro sito italiano.

Le loro attenzioni, però, avranno senso solo se il progetto non si fermerà di nuovo e in anni in cui l’Italia dovrà sostanziare una nuova strategia energetica. Il nucleare è escluso, ma se si dissolverà il miraggio del deposito per le scorie, si dissolverà anche con 700 nuovi posti di lavoro.

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