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INDAGINE MEDIOBANCA SU IMPRESE – Regge il Made in Italy ma vanno in crisi terziario e grandi imprese

INDAGINE MEDIOBANCA – Secondo l’ultima edizione di Dati cumulativi su 2050 società italiane, nel 2013 hanno retto bene la crisi solo le medie imprese e soprattutto il Made in Italy mentre segni di forti difficoltà mostrano il terziario e le grandi imprese – Bene i gruppi pubblici sostenuti dalla tariffe: ma hanno tagliato investimenti e occupazione

INDAGINE MEDIOBANCA SU IMPRESE – Regge il Made in Italy ma vanno in crisi terziario e grandi imprese

Le sole note positive vengono dalle medie imprese manifatturiere, dal made in Italy (meglio se a proprietà italiana) e dal settore pubblico, che però è sostenuto dai settori tariffati e ha tagliato investimenti ed occupazione. In crisi in terziario (molti debiti e pochi investimenti) e le imprese di grandi dimensioni che, per la parte che opera in Italia, distruggono ricchezza. A queste conclusioni arriva l’ultima edizione del rapporto Mediobanca “Dati comulativi su 2050 società italiane”, che fa riferimento al 2013. 

Le 2050 imprese hanno segnato nel 2013 una flessione del fatturato (-2,7% sul 2012), prima contrazione dopo tre anni di crescita a velocità calante: +7,9% nel 2010, +8,6% nel 2011 e +1,1% nel 2012. La riduzione ha riguardato sia le esportazioni (-1,5%) che il mercato domestico (-3,3%), che era già in contrazione nel 2012 (-0,7%).  

Le vendite restano del 2,4% sotto il 2008 (ante crisi). Le pubbliche sono sopra (+6,1%), grazie ai settori tariffati: EEG (+8,6%), servizi pubblici locali (+10,6%) e trasporti (+11,4%); le private sono sotto del 4,7% a causa della manifattura (-6%) e nonostante la tenuta del terziario (-1,5%). La manifattura ha tante “anime”: quella vincente delle medie imprese (+0,9% sul 2008), quella in difficoltà dei gruppi maggiori (-6,3%), quella bifronte del made in Italy che va meglio quando gestito da italiani (-0,8% le vendite sul 2008) che non da stranieri (-11,1%).

Note positive per le vendite solo dall’export: +12,6% sul 2008, con il pubblico (+46,1%) meglio del privato (+5,6%), ma per l’effetto del trading petrolifero ed energetico. La manifattura recupera il 3,2% sul 2008, ancora grazie alle medie imprese (+11,4%) assai meglio dei gruppi maggiori (+3,3%). Ancora meglio il made in Italy “italiano” (+5,5%) di quello “straniero” (-5,4%). Tra i settori manifatturieri più aggressivi fuori casa: l’alimentare (dolciario +53,4% sul 2008; caseario: +52,3%; bevande: +39,1%), la lavorazione di pelli e cuoio (+41,9%) ed il farmaceutico (+20,4%).  

Regrediscono le vendite in Italia:  -8,3% sul 2008, sempre un po’ meglio il pubblico (-5,6%, grazie alle tariffe) del privato (-9,2%), perché la manifattura soffre di più (-13,1%) anche nelle sue parti più dinamiche (medie imprese: -4,2%). Hanno migliorato le vendite italiane rispetto al pre-crisi solo alcune specialità dell’alimentare (conserviero: +7,6%; bevande: +4,8%; caseario: +1,8%) e ha tenuto il farmaceutico (+0,2%).

Il totale delle 2050 imprese ha chiuso il 2013 in sostanziale equilibrio, con marginale distruzione di ricchezza (-0,1% del capitale investito). Le pubbliche hanno chiuso in positivo (+0,3%) grazie a ricavi sostenuti dalle tariffe, al contributo rilevante della gestione finanziaria cha ha raddoppiato quella industriale, al minore costo del debito (4,4% nel 2013, contro 6,4% dei privati) e a una fiscalità in media favorevole (tax rate medio 2009-2013 al 25,2% contro il 31% delle private). Queste ultime hanno così distrutto ricchezza (-0,4% del capitale investito), tanto nella parte manifatturiera (-0,5%) quanto nel terziario (-1,1%). All’interno della manifattura si conferma la capacità del IV capitalismo di proporre un modello imprenditoriale “italiano” sostenibile e remunerativo: sono in sostanziale equilibrio le medie imprese (-0,2%) e le medio-grandi (-0,2%), mentre i gruppi maggiori, privati della loro componente estera, hanno bruciato ricchezza (-2,9%). Positivo il bilancio del made in Italy (+1%).  

Continua la caduta occupazionale nel 2013 (-0,4%) anche se ha dimezzato la sua intensità (-0,8% nel 2012). Dal 2008 la flessione delle 2050 società è del 5,1%, più nel pubblico (-9,2%, pesa il settore dei trasporti con il  -16%) che nel privato (-4,2%). Le medie imprese hanno limitato i tagli occupazionali (-2,1%) che non risparmiano neanche il made in Italy, ma molto di più quando è in mani straniere (-10,6% contro  -2,2%). La perdita di posti di lavoro dal 2008 ha toccato più duramente gli operai (-7,8%) che non i “colletti bianchi” (-1,3%) che anzi segnano assunzioni nelle imprese a controllo italiano (+1,6% nelle medie imprese; +4% nelle società dei gruppi maggiori), mentre sono espulsi dalla manifattura a controllo estero (-6,3%).

Creano occupazione sul 2008 le imprese di costruzione (+19,9%, grandi contractor di opere infrastrutturali, spesso all’estero) e le attività di lavorazione della pelle e cuoio (+8,8%). La quota di operai è in continuo calo: nella sola manifattura sono passati dal 56,2% del totale (2004) al 51,9% (2013): conseguenza delle esternalizzazioni e della concentrazione delle imprese nelle fasi a monte (progettazione e design) e a valle (marketing e post-vendita) rispetto alla fase centrale di trasformazione; la base operaia resta più ampia nelle medie imprese (63,1% del totale nel 2013).

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