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Big Tech contro il Fisco: Meta, X e LinkedIn contestano l’Iva sui dati personali

Meta, X e LinkedIn contestano l’Iva sui dati personali imposta dall’Agenzia delle Entrate. Una causa legale che potrebbe cambiare le regole fiscali per le piattaforme digitali e avere effetti globali. Ecco cosa può accadere

Big Tech contro il Fisco: Meta, X e LinkedIn contestano l’Iva sui dati personali

È guerra tra le Big Tech e il Fisco italiano. Tre giganti della tecnologia, Meta, X (ex Twitter) e LinkedIn, sono pronti a sfidare l’Agenzia delle Entrate in una battaglia legale che potrebbe rivoluzionare le regole fiscali del settore digitale. Al centro della contesa c’è l’imposta sul valore aggiunto (Iva), che l’AdE ritiene debba essere applicata sui servizi “gratuiti” offerti dalle piattaforme in cambio dei dati personali degli utenti.

Un ricorso che non solo coinvolge cifre astronomiche, ma che potrebbe anche mettere in discussione il cuore del modello di business delle Big Tech, trasformando radicalmente il panorama digitale globale.

Il cuore della contesa: l’Iva sui dati personali

Il contenzioso prende piede dalla decisione delle autorità fiscali italiane di contestare a Meta, X e LinkedIn il mancato pagamento dell’Iva su quelli che considerano scambi economici tra gli utenti e le piattaforme. Sebbene l’accesso a Facebook, Instagram, Twitter (ora X) e LinkedIn sia gratuito, l’Italia sostiene che si tratti comunque di operazioni imponibili, in quanto gli utenti, registrandosi sui social, “cedono” i propri dati personali in cambio dell’accesso ai servizi.

L’Agenzia delle Entrate ha calcolato che i tre giganti digitali abbiano evaso circa 1,14 miliardi di euro di Iva per gli anni dal 2015 al 2022. In particolare, Meta è chiamata a versare 887,6 milioni di euro, LinkedIn circa 140 milioni e X 12,5 milioni. La disputa riguarda solo le annualità non prescritte, con Meta e LinkedIn accusate per gli anni 2015-2016, e X per il 2016.

Le Big Tech non ci stanno e ricorrono alla Corte di Giustizia

A differenza di quanto accaduto in passato, quando le aziende tecnologiche preferivano negoziare per evitare il contenzioso, questa volta Meta, X e LinkedIn hanno deciso di non rispondere alle contestazioni fiscali e di ricorrere direttamente alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado. Una netta inversione di tendenza con le tre aziende pronte a difendere con forza il proprio modello di business.

“Abbiamo collaborato pienamente con le autorità rispetto ai nostri obblighi derivanti dalla legislazione europea e nazionale, e continueremo a farlo. Prendiamo sul serio i nostri obblighi fiscali e paghiamo tutte le imposte richieste in ciascuno dei Paesi in cui operiamo”, ha dichiarato un portavoce di Meta, intervistato dal Messaggero. “Siamo fortemente in disaccordo con l’idea che l’accesso da parte degli utenti alle piattaforme online debba essere soggetto al pagamento dell’Iva”.

LinkedIn ha scelto di non commentare, mentre X non ha risposto alle richieste di chiarimenti.

La posizione del Fisco italiano

La mossa dell’Agenzia delle Entrate non è solo una richiesta di denaro, ma potrebbe segnare un cambio di paradigma nel modo in cui le piattaforme digitali operano e sono tassate. L’interpretazione adottata dall’Italia è che la fornitura gratuita di un servizio online in cambio dei dati personali degli utenti sia assimilabile a una “permuta” di beni immateriali, quindi soggetta all’Iva. Un principio che, se accettato, potrebbe influenzare l’intero settore, portando a un’espansione della tassazione sui dati personali anche in altri settori che offrono servizi gratuiti in cambio di informazioni.

La posizione, se confermata, avrebbe implicazioni enormi non solo per i social network, ma anche per le aziende che operano nel commercio elettronico, nei media digitali, nei trasporti aerei e nei servizi basati sulla profilazione degli utenti. Inoltre, essendo l’Iva una tassa armonizzata a livello europeo, una decisione dell’Italia potrebbe avere effetti a catena su tutta l’Unione europea.

Il parere consultivo della Commissione Ue

L’Italia, pur nel pieno del contenzioso, ha deciso di chiedere anche un parere consultivo alla Commissione europea, in particolare al Comitato Iva, per cercare di ottenere un pronunciamento ufficiale a livello comunitario. La richiesta formale sarà inviata a Bruxelles dal Ministero dell’Economia entro l’autunno 2025, con l’obiettivo di ottenere una risposta definitiva nella primavera del 2026. Un passaggio che potrebbe rivelarsi decisivo, in quanto un parere contrario della Commissione potrebbe costringere l’Italia a rivedere la propria posizione e ad abbandonare l’inchiesta fiscale.

Il potenziale impatto della contesa

La disputa non riguarda solo l’Italia. Le implicazioni della decisione potrebbero estendersi ben oltre i confini nazionali, con l’eventuale adozione di una visione fiscale più stringente che potrebbe essere estesa a livello europeo. Il timore delle Big Tech è che la posizione italiana venga adottata in altri Paesi dell’Ue, creando una sorta di precedente che potrebbe modificare il funzionamento dell’intero mercato digitale.

Se, infatti, la cessione di dati personali venisse considerata una transazione economica tassabile, il business delle piattaforme social potrebbe essere costretto a rivedere completamente il suo modello economico.

La vicenda, oltre a coinvolgere i giganti della tecnologia, si inserisce in un contesto internazionale di crescente tensione fiscale tra gli Stati Uniti e l’Europa. Le richieste fiscali italiane vanno ad aggiungersi alle politiche fiscali adottate da altri Paesi europei nei confronti delle Big Tech, alimentando le critiche da parte degli Stati Uniti, che potrebbero vedere le web tax come una forma di protezionismo commerciale. La vicenda fiscale rischia dunque di inasprire ulteriormente i rapporti tra le due sponde dell’Atlantico, con l’amministrazione Trump pronto a reagire contro le imposizioni fiscali europee.

Quella che è iniziata come una disputa fiscale tra l’Italia e alcune delle più grandi aziende tecnologiche del mondo potrebbe presto trasformarsi in un punto di svolta per l’intero settore digitale. La Corte di Giustizia Tributaria sarà chiamata a stabilire se l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate sia corretta, mentre l’Europa dovrà decidere se accogliere o meno il nuovo paradigma fiscale proposto da Roma.

L’esito di questa causa potrebbe ridefinire le regole del gioco per tutte le aziende che operano nel digitale, con ripercussioni che potrebbero estendersi ben oltre i confini dell’Europa.

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