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Venezia, grandi navi imitano il Bucintoro: turismo senza più rispetto

In una Venezia che ha visto i grandi fasti, quella che si specchia malinconica nell’acqua, quella che piace essere complice silenziosa agli amanti, quella che ogni mattino risorge per incanto mentre la laguna le porge il fianco, ora vede vede protagonisti sono le grandi navi e piene di lillipuziani che vogliono solo partecipare attivamente al declino della più affascinante città del mondo.

Venezia, grandi navi imitano il Bucintoro: turismo senza più rispetto

Sono sempre di più i turisti frettolosi, definiti anche mordi e fuggi, che a Venezia passano giornate tanto frenetiche da passare da una calle all’altra, e da un campo all’altro, come visitassero un grande outlet: con la differenza che negli outlets si comportano in maniera più rispettosa.

Una città imbrattata da scritte come una abbandonata periferia, odore non di pesce ma di sporcizia lasciata da turisti sempre più irrispettosi verso la città, chiese prese d’assolto per ripararsi dal caldo afoso senza minimamente accorgersi delle presenza di grandi opere con dipinti raffiguranti personaggi sempre più spettatori che attori. Ma ciò che sconvolge sono le grandi navi piene – zeppe di lillipuziani – che implodono come mostri cosmici sul bacino di San Marco.

Come non ricordare l’amore della gente per le chiacchiere, argute ed interminabili, e il ritmo lento della vita, indotto dall’obbligo di andare a piedi o per acqua. Ma tornare a Venezia significa comunque scoprire nuove fonti di delizia. E poi sentire chi parla ancora il dialetto. Lo stesso dialetto è una scoperta, anche se dialetto non è la parola giusta perché Il veneziano è stata la lingua ufficiale della Serenissima fino alla sua conclusione, correva l’anno 1797.

Mentre ora le pasticcerie della città offrono enormi dolciumi come fossero dei premi. Ma come non ricordare “i baicoli”, quei sottili biscotti secchi che le prozie e le anziane cugine davano ai nipoti che arrivano alla domenica dalla terraferma. Alcune avevano l’abitudine di fermarsi il colletto di pizzo con un cammeo o meglio con una spilla di avventurina. L’avventurina è una specie di vetro lucido color cioccolato punteggiato d’oro. Secondo una leggenda di famiglia era stata inventata da Leone Bassano, che lavorava il vetro di Murano e per caso realizzò questo magia.

Da qualche tempo Venezia è cambiata, un turismo sempre più veloce e scortese sta sostituendo quello tranquillo, lento, che più si addice a questa città, una città che si svuota dai residenti storici, i quali più che scegliere di andarsene – fuggono. 

I veneziani di un tempo dovevano essere valenti soldati, oltre che abili mercanti e navigatori. Seppero conservare la loro indipendenza dal Sacro Romano Impero e dal potente Impero Bizantino. Per secoli disputarono all’Impero Ottomano le rotte marine dell’Oriente e tennero i turchi rinchiusi nel loro angolo di Mediterraneo. I veneziani erano anche abili politici e governatori e l’intera popolazione era fieramente consapevole della sua missione di difendere la Cristianità, la libertà, l’Italia e l’Occidente. 

Nel 1509, combattendo contro la Lega di Cambrai, l’alleanza fra Francia, l’Impero austriaco, la Spagna e il Papa invocarono non solo “San Marco”, l’antico grido di guerra lanciato contro i turchi, ma anche “libertà, libertà” e “Italia”, parole che erano ancora prive di senso. La difesa della libertà dipendeva dalla loro costituzione. Essa instaurava un’oligarchia simile a quella dell’antica Repubblica romana o monarchia inglese, un’oligarchia che aveva nel profondo i propri obblighi verso lo Stato e che era stata rigorosamente educata al proprio ruolo. 

I nobili veneziani eleggibili alle più alte cariche non avevano alcun titolo. Infatti, ciascuno di loro veniva chiamato “nobil’omo”. Gli stessi uomini sedevano in Senato, comandavano gli eserciti e le flotte, governavano le colonia, venivano inviati presso le corti estere come ambasciatori e costruivano i palazzi, le chiese e le ville palladiane in terra ferma. Mentre nobili uomini di cultura, poeti, artisti e letterati, erano mandati alla corte della Regina di Cipro alla quale era stata data come esilio, la città di Asolo. 

Fu l’aristocrarico Gasparo Contarini, a scrivere nel XVI secolo un libro fondamentale sul governo di Venezia e i segreti sulla longevità della Repubblica, un volume che fu letto in tutta Europa. Esso contribuì a consolidare l’ideale della libera, felice e indistruttibile Serenissima.

Oggi quella città famosa per la sua ospitalità, la sua cucina, i ricevimenti, i balli in maschera e soprattutto per la sua onnipresente bellezza, ci appare come investita da una frenetica e assurda presenza di persone che non vanno oltre all’osservazione dell’apparenza, mentre opere incantevoli sembrano ormai mute ed immobili nei loro luoghi di origine. Venezia ci appare quasi rassegnata – non è stata così nemmeno dopo la caduta della Serenissima – priva di difese mentre avanza un mondo che le sta togliendo non solo il respiro ma anche l’anima.

Corrono i ricordi ma sono ormai così lontani. E mentre vogliamo proprio “ricordare” le grandi opere di Tintoretto e di molti altri maestri, ma soprattutto cercare di salvare la bellezza eterna di una città che rischia di andare perduta per sempre, non possiamo che invocare le parole: “San Marco: libertà, libertà”.

In copertina: Francesco Guardi, partenza del bucintoro verso il lido nel giorno dell’ascensione, 1775-80 ca

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