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Tartufi, l’Italia primo produttore ed esportatore mondiale di varietà pregiate

Le prime notizie certe sul tartufo compaiono nella Naturalis Historia, di Plinio il Vecchio. 13 le specie che si possono raccogliere in Italia. La legge del 1985 a salvaguardia dell’ambiente vieta l’utilizzo di maiali per la ricerca. Anticamente si usavano anche i cinghiali.

Tartufi, l’Italia primo produttore ed esportatore mondiale di varietà pregiate

Le prime notizie certe sul tartufo compaiono nella Naturalis Historia, di Plinio il Vecchio. Nel I secolo d.C., grazie al filosofo greco Plutarco di Cheronea, si tramandò l’idea che il prezioso fungo nascesse dall’azione combinata dell’acqua, del calore e dei fulmini. Da qui trassero ispirazione vari poeti; uno di questi, Giovenale, spiegò che l’origine del prezioso fungo, a quell’epoca chiamato “tuber terrae”, si deve ad un fulmine scagliato da Giove in prossimità di una quercia (albero ritenuto sacro al padre degli dèi). Poiché Giove era anche famoso per la sua prodigiosa attività sessuale, al tartufo da sempre si sono attribuite qualità afrodisiache. Scriveva il medico Galeno: “il tartufo è molto nutriente e può disporre della voluttà”.

L’origine della parola tartufo è stata per molto tempo dibattuta dai linguisti, che dopo secoli di incertezze giunsero alla conclusione, ritenuta probabile ma non definitiva, che tartufo derivasse da territùfru, volgarizzazione del tardo latino terrae tufer (escrescenza della terra), dove tufer sarebbe usato al posto di tuber (vedi Dizionario Italiano Sabatini-Coletti, Giunti, Firenze 1999).

Per lo storico Giordano Berti, fondatore dell’Archivio Storico del Tartufo, il termine tartufo deriva più realisticamente da terra tufide tubera o anche da terra tufule tubera. Questo titolo appare in testa a un’illustrazione della raccolta del tartufo contenuta nel Tacuinum sanitatis, codice miniato a contenuto naturalistico risalente al XIV secolo, conosciuto in diverse versioni. Il termine tartufo deriverebbe quindi dalla somiglianza che si ravvisava tra questo fungo ipogeo e il tufo, pietra porosa tipica dell’Italia centrale. Il termine si contrasse poi in terra tufide e nei dialettali tartùfola, trìfula, tréffla, trìfola. Il termine tartufo cominciò a diffondersi in Italia nel Seicento, ma nel frattempo la dizione volgare era già emigrata in Europa assumendo varie dizioni: truffe in Francia, Trüffel in Germania, truffle in Inghilterra.

Tra gli autori rinascimentali degni di nota occorre citare almeno il medico umbro Alfonso Ceccarelli, il quale scrisse un libro sul tartufo, l’Opusculus de tuberis (1564), dove sono riassunte le opinioni di naturalisti greci e latini e vari aneddoti storici. Da questa lettura risulta che il tartufo è sempre stato cibo altamente apprezzato, soprattutto nelle mense di nobili ed alti prelati. Per alcuni, il suo aroma era una sorta di “quinta essenza” che provocava sull’essere umano un effetto estatico.

Una ricerca svolta da Raoul Molinari e Giordano Berti su cronache medievali e rinascimentali, testi corografici del Regno sabaudo, lettere di cronisti e viaggiatori sette e ottocenteschi, ha portato alla luce una straordinaria quantità di notizie che esaltano l’intero Monferrato (area che storicamente comprende il Casalese, l’Alessandrino occidentale, l’Acquese, l’Astigiano, le Langhe e il Roero) come luogo di produzione dei più eccellenti e profumati tartufi.

L’Italia è il primo produttore ed esportatore al mondo di tartufo bianco pregiato, il tuber magnatum bianco pregiato per quanto riguarda la qualità e quantità; nell’intera Penisola è possibile raccogliere tutte le specie di tartufo impiegate in gastronomia.

Tra i luoghi che fin dal Medioevo sono rinomati per la ricerca ed il commercio dei tartufi emergono in particolare due città: Casale Monferrato i cui tartufi, prima dell’annessione al Regno del Piemonte, erano destinati alla corte mantovana dei Gonzaga; Tortona, centro di rifornimento per i Visconti-Sforza di Milano.

Le più importanti zone di produzione di tartufo bianco, per via della loro conformazione geografica, sono il Piemonte (in particolare Alba, in provincia di Cuneo, la provincia di Asti, la Provincia di Alessandria in particolare le Valli Curone, Grue, Ossona e Borbera e una parte della provincia di Torino), la Lombardia sud-orientale (Carbonara di Po, in provincia di Mantova, nella protetta Isola Boscone),[8] l’Emilia-Romagna (tutta la fascia appenninica a partire da Piacenza, e in particolare i colli bolognesi e forlivesi), la Toscana (specialmente i comuni di San Miniato, in provincia di Pisa e San Giovanni d’Asso, in provincia di Siena), l’Umbria (Città di Castello, Umbertide, Gubbio e Norcia, in provincia di Perugia) le Marche (con in testa Acqualagna e Sant’Angelo in Vado, in provincia di Pesaro e Urbino; molto apprezzata anche la zona dei Monti Sibillini, in particolare della zona di Amandola), l’Abruzzo con il paese di Ateleta, in provincia dell’Aquila, Quadri (provincia di Chieti), e il Molise, le cui zone di maggior raccolta sono quelle ricadenti nei comuni di Larino e Spinete, in provincia di Campobasso, e Frosolone, San Pietro Avellana e Vastogirardi in provincia d’Isernia.

Molto più comune invece il tartufo nero, che vede in Umbria e in Molise alcune delle zone più vocate alla sua produzione, sia della varietà estiva (il cosiddetto scorzone), sia della più pregiata varietà invernale (Tuber melanosporum). Altre produzioni, di recente scoperta, si individuano in Campania (Sannio e Irpinia), Puglia (Roseto Valfortore), Basilicata, Calabria e Sicilia, dove i tartufi hanno iniziato a essere valorizzati solo in tempi recentissimi.

Il Delta del Po, in Veneto, è un’altra zona che bene si presta a ospitare la produzione dello scorzone, ma anche del Tuber albidum, detto marzolino o bianchetto.

In Italia è sempre possibile raccogliere tartufi, salvo durante il periodo di fine aprile. Tradizionalmente la raccolta era compiuta impiegando un maialino. Il problema di tale metodo è che il maiale è ghiotto di tartufi, ed occorre trattenerlo per impedirgli di mangiare il ritrovato. Inoltre, è vietato dalla legge poiché nella ricerca causa danni ambientali. Invece in alcune regioni della Francia, in particolare nel Lot e nel Périgord, si usa ancor oggi andare in cerca di tartufi con maiali perfettamente addestrati.

Al giorno d’oggi, in Italia si impiegano esclusivamente cani debitamente addestrati. Non si impiegano razze particolari (a parte il lagotto romagnolo), al contrario in genere si sceglie un meticcio di piccola taglia.

Nonostante l’associazione dell’immagine del cinghiale al tartufo, la raccolta con cinghiale non è stata mai utilizzata, a causa dell’evidente difficoltà di controllare un animale selvatico e non addomesticabile.

In Italia nel 1985, è stata varata una legge per contrastare l’incremento della raccolta e il diffondersi di pratiche non eco-compatibili nella raccolta di tartufi. La legge 16 dicembre 1985, n. 752, “Normativa quadro in materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo” (g.u. 21 dicembre 1985, n. 300) ha dato mandato alle Regioni di regolare la raccolta sul proprio territorio, stabilendo alcune regole comuni: è vietato commercializzare tartufi immaturi o non appartenenti alle 9 specie elencate di seguito; la raccolta dei tartufi è libera nei boschi e nei terreni non coltivati, compresi i pascoli; la raccolta nelle tartufaie “coltivate” ed in quelle “controllate” compete ai titolari della loro conduzione, se debitamente autorizzate, delimitate e segnalate; la raccolta tramite zappatura, sarchiatura e aratura è severamente punita in quanto uccide il fungo; è vietato l’utilizzo del maiale per la ricerca del tartufo, a causa dei danni ambientali provocati da questo animale nella ricerca.

Specie

Queste sono le specie la cui raccolta è consentita in Italia.

Tartufo bianco pregiato, Tuber magnatum Pico

Tartufo nero pregiato, Tuber melanosporum Vittad.

Tartufo moscato, Tuber brumale var. moschatum De Ferry

Tartufo nero estivo, Scorzone, Tuber aestivum Vittad.

Tartufo uncinato, Tuber uncinatum Chatin

Tartufo nero invernale, Tuber brumale Vittad.

Tartufo bianchetto o Marzolino, Tuber borchii Vittad. = Tuber albidum Pico

Tartufo nero liscio, Tuber macrosporum Vittad.

Tartufo nero ordinario o tartufo di Bagnoli, Tuber mesentericum Vittad.

Tuber excavatum Vittad.

Tuber puberulum Berk. & Broome

Tuber oligospermum Vitt.

Tartufo rossetto, Tuber rufum Pico

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