Condividi

Savona al Tesoro equivaleva a un’uscita dall’euro alla chetichella

INTERVISTA al professor Giovanni Ferri, economista e prorettore della Lumsa. “Il presidente Mattarella ha fatto benissimo a respingere questo tentativo, difendendo la democrazia e il risparmio degli italiani” – Né Lega né M5S “hanno mai posto chiaramente agli elettori la questione”- Ma un ritorno alla lira avrebbe svalutato del 40-50% la moneta, dimezzando il valore dei redditi e dei risparmi degli italiani

Savona al Tesoro equivaleva a un’uscita dall’euro alla chetichella

“La nomina del professor Savona alla guida del Ministero dell’Economia equivaleva all’uscita alla chetichella dell’Italia dall’euro senza che la maggioranza degli italiani l’avesse deciso e il Presidente Mattarella ha fatto benissimo a respingere tale ipotesi agendo nel pieno dei poteri che la Costuzione gli affida e difendendo la sostanza della democrazia e il risparmio degli italiani”. E’ chiarissimo il punto di vista dell’economista Giovanni Ferri, pro-rettore dell’Università Lumsa, sulla tranquilla domenica di paura che ha vissuto ieri l’Italia in un tornante cruciale della sua crisi politica, che ha visto il Capo dello Stato respingere la nomina di Savona all’Economia e la rinuncia all’incarico di premier di Giuseppe Conte. In questa intervista a FIRSTonline Ferri spiega con precisione quali sarebbero stati gli effetti sul risparmio degli italiani dell’uscita dall’euro, fortunatamente scampata.

Professor Ferri, che ne pensa dello scontro che si è appena consumato sulla nomina del professor  Savona al Ministero dell’Economia e sulla risolutezza del Presidente Mattarella nel rifiutare tale nomina?

«Il Presidente Mattarella ha agito nell’alveo dei compiti che la Costituzione gli affida. Quindi, chi parla di messa in stato d’accusa del Presidente, di impeachment, parla a sproposito. Pur apprezzando le qualità professionali e umane del professor Paolo Savona, non v’è dubbio che la sua nomina a responsabile del Ministero dell’Economia avrebbe comportato un messaggio di sfiducia nei confronti del permanere dell’Italia nell’euro. Infatti, di recente Savona si è più volte espresso in tal senso. Nel contesto di mercati già innervositi, come dimostrano la marcata risalita dello spread sui titoli di stato e il crollo delle azioni bancarie, se Mattarella avesse acconsentito alla nomina di Savona avrebbe assecondato una sorta di “uscita di fatto” dell’Italia dall’euro. Si sarebbe trattato di un’uscita alla chetichella, in quanto la maggioranza M5S-Lega che si è formata in Parlamento, peraltro frutto di trasformismo perché ai seggi di marzo le due forze erano contrapposte, non aveva mai posto chiaramente agli elettori la questione dell’uscita dall’euro. Anzi, Di Maio si era premurato di dire che l’uscita dall’euro non era più all’ordine del giorno. Dunque, il Presidente Mattarella ha agito nel pieno delle sue responsabilità formali che la Costituzione gli dà ed ha anche tutelato la sostanza della democrazia. Non è possibile fare scelte così impegnative alla chetichella: occorre un passaggio elettorale, com’è accaduto per la Brexit, che espliciti bene la questione ed, eventualmente, raccolga la maggioranza sull’uscita dell’Italia dall’euro, ma agli elettori va detto prima del voto, non dopo che hanno votato».

Però Savona ha detto ieri che lui voleva solo rafforzare l’Unione Europea, modificando i Trattati, e non vuole necessariamente condurre l’Italia fuori dall’euro …

«Rispondo in due punti. Primo, per tentare di modificare i Trattati europei, molto faticosamente costruiti in tanti anni, bisogna essere credibili. Occorre avere le carte in regola, serve tempo per costruire maggioranze (che al momento non esistono) con altri paesi membri dell’euro. È un compito ciclopico che richiede grande impegno e tempi lunghi. Se, invece, Savona si presentava al tavolo europeo senza aver fatto prima questo lavoro, il risultato era scontato: irrigidire gli altri membri e, inevitabilmente, precipitare l’uscita dell’Italia dall’euro. Se è lecito il confronto, alla fine della Seconda Guerra Mondiale Keynes, arcinoto economista inglese, portò al tavolo delle trattative per istituire il nuovo sistema monetario internazionale delle proposte che avrebbero di certo funzionato molto meglio delle proposte dell’americano White, le quali furono invece adottate. L’assai maggiore statura intellettuale di Keynes, che rappresentava il Regno Unito reso grande debitore dalle spese di guerra, non bastò allora a controbilanciare la forza di White, espresso dagli USA resi grande creditore dalle vicende belliche. Dubito che l’indubbia statura intellettuale di Savona, rappresentante del paese con il più elevato debito pubblico, gli consentirebbe oggi di convincere a cambiare idea il Ministro delle finanze tedesco, espressione del più grande paese creditore all’interno dell’area euro.
Secondo: andare al tavolo delle trattative, come propone Savona, avendo in una tasca il piano A, di modifica dei Trattati in senso favorevole all’Italia, e nell’altra tasca il piano B, di uscita dell’Italia dall’euro, è una strategia negoziale fallimentare. La presenza del piano B toglierebbe qualsiasi credibilità al piano A. E così facendo si riaprirebbe la ferita del “rischio di ridenominazione”, cioè il rischio che il debito italiano sia convertito da euro a lire. Nella crisi euro del 2011-2012 si comprese infatti che la componente di gran lunga più grande dello spread era dovuta proprio al rischio di ridenominazione. Le politiche della BCE a guida Draghi sono state efficaci a riassorbire tale rischio. Ma la posizione negoziale di Savona avrebbe con ogni probabilità riportato lo spread a livelli analoghi a quelli, insostenibili per l’Italia, dell’autunno del 2011. In ciò, quindi, Savona avrebbe innescato una profezia autorealizzantesi: siccome i negoziati sarebbero andati male per l’Italia, i mercati avrebbero ampliato a dismisura lo spread forzando l’Italia a ridenominare il proprio debito in lire, anche se inizialmente l’Italia non voleva farlo».

Ipotizziamo che ora si torni alle elezioni e che queste affidino alla nuova maggioranza il mandato di far uscire l’Italia dall’euro. Quali sarebbero le conseguenze economiche?

«In caso di ritorno alla lira, si può presumere una svalutazione di almeno il 40-50%. Distinguiamo tra un profilo interno all’Italia e uno a livello UE. Sul primo profilo, il ritorno alla lira (con conseguente svalutazione rispetto all’euro) determinerebbe un effetto di flusso e uno di stock. Sui flussi ci sarebbe un enorme aggravio per il costo delle importazioni: se oggi uno smartphone costa circa una mensilità dello stipendio iniziale di un lavoratore non qualificato, dopo la svalutazione ci vorrebbero due mensilità per fare lo stesso acquisto. Però, nel giro di poco tempo, la riacquisita competitività dell’export italiano nel mondo genererebbe un aumento delle esportazioni probabilmente ancor più significativo dell’incrementato costo delle importazioni. Perciò, nel giro di un anno potrebbe generarsi un apprezzabile surplus nei conti con l’estero. Ma va considerato che l’export italiano non potrebbe sbancare i mercati europei perché, dato il grande vantaggio competitivo acquisito dall’Italia con la svalutazione, gli altri paesi europei introdurrebbero forme di limitazione alle importazioni dall’Italia. Nel frattempo, il ritorno alla lira consentirebbe all’Italia di abbandonare i criteri di austerità fiscale imposti attualmente dalla partecipazione all’euro, ma gli interessi sull’enorme debito pubblico italiano crescerebbero di molto. E la conseguenza potrebbe essere il default dell’Italia sul proprio debito pubblico. Qualora il default non ci fosse, sia per il possibile aumento dell’export sia per l’espansione della spesa pubblica che diverrebbe nuovamente possibile, di lì a poco ripartirebbe la crescita del PIL italiano. Ma, dopo poco si manifesterebbero problemi per l’aumento dell’inflazione che, se non impedita, nel giro di qualche tempo potrebbe cancellare tutto il beneficio di competitività riacquisito. Sul fronte degli stock, però, le cose sarebbero dolenti. Tutti i patrimoni italiani sarebbero dimezzati in valore, se espressi in euro, e quindi l’Italia diverrebbe assai più povera. Tutto sommato, nella somma di benefici (incerti e probabilmente limitati) e costi (certi e assai ingenti) io penso che prevarrebbero di gran lunga i costi.
Quindi, il Presidente Mattarella ha fatto bene a impedire un’uscita alla chetichella dall’euro. Oltre ai problemi di sostanza della nostra democrazia che ciò avrebbe posto, anche gli effetti economici sui risparmi e il tenore di vita degli italiani sarebbero disastrosi».

Commenta