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Giovani e Mezzogiorno, cosa rivela l’indagine dell’Istituto Toniolo

Dai Millennials alla Generazione Z, ecco come la condizione occupazionale e il livello di istruzione dei giovani del Sud orientano la percezione del futuro

Giovani e Mezzogiorno, cosa rivela l’indagine dell’Istituto Toniolo

I giovani del Sud Italia meritano un’attenzione particolare: sia per la specificità della loro condizione sociale, sia per favorire una presa di coscienza delle particolari condizioni di difficoltà in cui devono realizzare i loro progetti di vita. Ragioni per cui l’Osservatorio Giovani dell’Istituto Giuseppe Toniolo, di anno in anno, studia la generazione dei Millennials, i giovani divenuti maggiorenni dal 2000 in poi, e volge il suo interesse anche verso la Generazione Z, ovvero tutti i nati nel nuovo millennio. Un’indagine longitudinale della condizione giovanile, che si focalizza su una lettura territoriale in maniera tale da consentire una comparazione tra i giovani del Sud, quelli del Centro e del Nord d’Italia.

Paola Bignardi, coordinatrice dell’Istituto, ritiene ancora insufficiente l’attenzione verso la questione giovanile da parte di quei soggetti soggetti sociali, economici, istituzionali che grande responsabilità hanno nei confronti delle nuove generazioni e del loro ingresso nella società da protagonisti. Il rischio che la generazione adulta si affidi a conoscenze superate dalla rapidità dei cambiamenti in corso fa sì che i giovani continuino a rimanere in una condizione di marginalità sociale penalizzante per loro e per tutta la società, mortificando quella spinta all’innovazione che soprattutto loro sono in grado di imprimere.

Le Note di Sintesi del Rapporto Svimez 2019 sull’economia e la società del Mezzogiorno mettono bene a fuoco, insieme al divario sempre più evidente tra le due Italie, una serie di criticità trasversali:

  • Crollo degli investimenti pubblici.
  • Allarmante crisi demografica.
  • Fuga dei giovani dalle regioni di origine.
  • Occupazione femminile a livelli significativamente inferiori a quella maschile.
  • Elevato tasso di abbandono scolastico.

Dati evidenziati anche dal Miur, che nel luglio 2019 pubblica un focus su La dispersione scolastica nell’anno 2016-2017 e nel passaggio all’anno scolastico 2017-2018. E a gennaio 2020, insieme alle Pari Opportunità, firma un Protocollo d’intesa per la lotta alla dispersione scolastica e la promozione delle pari opportunità e del diritto allo studio con l’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI).

Il Rapporto sul contrasto del fallimento formativo redatto dal Miur rileva l’aumento della dispersione scolastica in ogni zona – nel Nord, Centro e Sud – di concentrazione della povertà delle famiglie, soprattutto nelle periferie urbane e nelle aree di massiccia esclusione sociale e in quei territori dove sono rilevanti disoccupazione, povertà culturale, degrado urbano, mancanza di offerta formativa e culturale diffusa e mancanza di interventi educativi precoci.

Oltre a favorire la conoscenza specifica dei giovani, gli studi condotti dall’Osservatorio Giovani si prefiggono lo scopo, fuor di dubbio arduo, di far emergere le risorse, portare ad evidenza le potenzialità, dare visibilità a quelle esperienze che, magari sottotraccia, parlano della vitalità di un mondo giovanile creativo e carico di passione.

Il deficit delle regioni meridionali rispetto a quelle settentrionali trova riscontro anche in studi sul piano specifico del valore delle reti e dei legami sociali. Come le ricerche empiriche di Paola Bordandini e Roberto Cartocci, che riportano l’attenzione sulle differenze ancora attuali di civicness tra le regioni settentrionali e centrali, a un livello più elevato, e quelle meridionali.

Anche ricerche finalizzate a mappature territoriali di risorse di natura sociale, come il Rapporto nazionale sulle organizzazioni di volontariato di CSVnet, evidenziano che su indicatori quali la distribuzione di organizzazioni di volontariato per area geografica la percentuale di presenza al Nord pari al 47,2 per cento è doppia rispetto a quella del Sud e di quasi 20 punti percentuali superiore a quella del Centro.

Un’indagine sul complesso mondo giovanile infatti, ricordano gli autori, non può prescindere dal riflettere su un sistema di reti e alleanze tra le agenzie educative, in primis scuola e famiglia, e poi con tutte le altre agenzie di socializzazione, quali parrocchie e associazioni di ogni genere.

Infatti, una prolungata emarginazione di un giovane, nelle fasi della vita che, in condizioni normali, dovrebbero rappresentare l’inserimento nel mercato del lavoro, rischia di escluderlo definitivamente dal mondo produttivo. Riprendendo le definizioni di Becker e Coleman, a contraddistinguere lo status di Neet è anche il rischio di entrare in percorsi di marginalizzazione sociale.

I dati dell’indagine dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo ci dicono che essere Neet, pur nel rispetto della complessa articolazione di tale categoria sociale, non cambia la condizione di benessere, o meglio di malessere, alle varie latitudini, come a sottolineare che la condizione di estrema vulnerabilità renda i giovani più simili al di là del luogo di origine.

Per contro, una condizione di lavoro precario – al pari di quella di studente – rende i giovani del Sud meno soddisfatti, con molta probabilità perché la minaccia di subire un downgrade occupazionale verso la condizione di Neet è percepito come un pericolo reale.

Invece, il possesso di un lavoro stabile rende i giovani più felici al Sud rispetto al Nord. La condizione occupazionale è strettamente connessa alla percezione del futuro da parte del campione dei giovani intervistati, in modo ancor più emblematico rispetto al benessere soggettivo. Un sentimento di sfiducia e di perplessità verso il futuro appare così nelle classi più giovani, prima ancora che queste possano confrontarsi realmente con le difficoltà del mercato del lavoro.

Per gli autori non stupisce la maggiore fiducia dei lavoratori autonomi. Pur essendo una tipologia di impiego esposta al rischio di impresa o connessa a una attività professionale – e perciò più facilmente preda di congiunture economiche sfavorevoli -, si comprende come la scelta di lavorare in proprio metta in qualche modo “in conto” la possibilità di correre dei rischi.

Anche se in generale si percepisce una diminuzione del senso di benessere con l’avanzare dell’età, i dati dicono che l’aumento del livello di istruzione, ovvero dei titoli di studio conseguiti, è legato positivamente con un aumento del benessere percepito.

Così anche il livello di istruzione dei genitori ha un effetto significativo: i figli di genitori con titoli di studio intermedio o elevato mostrano un maggiore benessere atteso, a parità dei valori nelle altre variabili. Questo aspetto è, per gli autori, di assoluto rilievo, perché il titolo di studio dei genitori è una utile proxy del background economico della famiglia di origine.

In assoluto è lo status di lavoratore dipendente a tempo indeterminato a risultare associato a un maggiore livello di benessere. Per contro, la categoria più penalizzata sono ancora una volta i Neet.

Emiliano Sironi sottolinea come un tema di grande interesse per lo sviluppo non solo economico ma anche demografico del Paese sia dato dalla difficile transizione all’età adulta dei giovani italiani.

Fino agli anni Settanta del Novecento gli step di vita rappresentavano un percorso standard – completamento degli studi, ingresso nel mondo del lavoro, uscita dalla famiglia di origine, formazione di un’unione che quasi sempre coincideva con il matrimonio, nascita di uno o più figli – mentre ora hanno subito un progressivo sconvolgimento.

In base ai dati Istat 2018, il 62.1 per cento di giovani tra i 18 e i 34 anni, celibi o nubili, vive in famiglia con almeno un genitore. Tale percentuale è ancora più alta al Sud e nelle isole (68.1 e 65.5 per cento) rispetto al dato registrato al Nord (circa il 57 per cento), con il Centro che rappresenta una condizione intermedia, ma con una tendenziale convergenza verso il risultato del Sud.

Si evidenzia così un rischio di osservare una generazione condannata a una revisione al ribasso delle proprie aspirazioni lavorative e personali.

Un numero sempre crescente di giovani, soprattutto del Sud, prende in considerazione l’eventualità di lasciare la propria regione di origine o addirittura l’Italia al fine di migliorare la propria condizione occupazionale.

E così nell’anno 2021 le regioni meridionali continuano a essere quelle a maggior rischio di depauperamento delle risorse più giovani e qualificate per via del fenomeno migratorio.

I giovani di questo tempo vengono studiati, rammenta Stefania Leone, relativamente alla ridotta espressione di indipendenza, di autonomia e di presa di decisioni e per l’incapacità di progettare e costruirsi il proprio futuro. Ciò ha fatto in modo che, spesso, venissero appellati, con accezione negativa, con espressioni quali bamboccioni, choosy e simili, aprendo d’altra parte interrogativi profondi riguardo alle ragioni e alle reali misure di questi atteggiamenti e, contestualmente, alle corresponsabilità degli adulti.

Si è dentro una società ibrida e potremmo dire ambivalente: nell’era post-industriale, alle prese con una pesante crisi economica e socio-culturale, i giovani del Sud sono proiettati verso il futuro e si confrontano con una società non più contadina ma neanche diffusamente industriale, denotano uno slancio verso la ricerca e la tecnologia pur abitando, di fatto, in una società ancora dominata dalla burocrazia e culturalmente dalla dipendenza verso uno stato assistenzialista, trovandosi spesso a fronteggiare dinamiche clientelari mai scomparse.

Lo stesso Francesco Del Pizzo, ricordando i dati del Rapporto giovani 2017 dell’Istituto Toniolo, sottolinea l’insoddisfazione da parte dei giovani del Sud rispetto ai coetanei del Nord, ma anche la compresente dinamicità e disponibilità a mettersi in gioco per favorire un cambiamento positivo del proprio destino.

I giovani del Sud, come quelli del Nord, mostrano una visione del lavoro finalizzata alla sicurezza e alla costruzione di progetti famigliari. È tuttavia più viva nel meridione la consapevolezza che il lavoro contempli anche la dimensione della realizzazione del sé, del prestigio e del successo. L’idea che l’identità professionale sia un fattore importante per la definizione dell’identità personale.

I giovani meridionali, inoltre, si concentrano maggiormente sul presente e, in seconda battuta, sulla costruzione del proprio futuro. Per loro, la famiglia si presenta come luogo di fusione intima e di conflittualità ma resta, comunque, l’unità simbolica di riferimento all’interno del sistema sociale.

Persiste in loro la fiducia in quasi tutte le istituzioni basate sulla conoscenza: scuola, università, luoghi di ricerca.

Indici di gradimento ancora accettabili sono riferiti alle amministrazioni locali, quali Comuni e Regioni, mentre tutte le istituzioni più immediatamente riconducibili a una dimensione politica – partiti politici, Camera, Senato, Governo nazionale -, raccolgono ovunque i massimi livelli di sfiducia, unitamente a istituti bancari, giornali e social network.

Molto consistente è, inoltre, la fetta di giovani profondamente sfiduciati, rispetto a quelli che invece nutrono fiducia, nel prossimo.

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