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Euro-dollaro alla prova delle trimestrali Usa. A chi giova e a chi no il cambio alla pari

Giovedì inizia il nuovo round delle trimestrali Usa. L’impatto su guidance e risultati potrebbe frenare la corsa del dollaro? Tutte le incognite, le domande e le risposte

Euro-dollaro alla prova delle trimestrali Usa. A chi giova e a chi no il cambio alla pari

Giovedì prossimo, il 21 luglio, potrebbe segnare una svolta molto significativa per l’Europa e per il cambio euro-dollaro.

In quella giornata avverrà la congiunzione dell’astro Bce con la sua stretta monetaria, la prima dal 2011, con l’astro Gazprom che ci dirà se vorrà riaprire i rubinetti del gas oppure no. A girare attorno a questi astri, negli stessi giorni e a partire già da questa settimana, ci sono i satelliti delle trimestrali Usa che per la prima volta quest’anno daranno conto dell’impatto sulle società a stelle e strisce, della guerra Russo-Ucraina, ma soprattutto dell’impennata dei prezzi e dell’aumento dei tassi Fed.

Un periodo di cambiamenti epocali che martedì è stato certificato da un test simbolico: lo sforamento per un attimo della parità tra euro e dollaro, fatto che non accadeva dal 2002, a circa un anno dall’adozione della moneta unica.

Le incognite dell’euro debole

Come interpretare questo periodo? Chi ottiene benefici da un euro debole? E che cosa potrebbe accadere in quel 21 luglio, finora ricordato “solo” come il giorno in cui il piede Neil Armstrong si è posato per la prima volta sulla Luna (1969)?

Le congiunzioni astrali a volte sono particolarmente complicate e in questo periodo non è semplice sbrogliare la matassa e fare previsioni.

Quali sono i vantaggi di un euro alla pari contro il dollaro ?

Partiamo dal fatto del giorno: martedì mattina attorno alle ore 10 per la prima volta dal dicembre 2002 l’euro ha toccato la parità sul dollaro per poi risalire leggermente in giornata a 1,007 dollari. Stamane conferma la posizione attorno a 1.

In altri tempi una valuta debole poteva essere vista come una manna dal cielo. Quante volte in Italia (l’ultima nell’evento clou del 1992) si è utilizzato lo strumento della svalutazione della lira per esempio, indicato come toccasana per stimolare (o, meglio, drogare temporaneamente) il mercato interno potenziando l’export ? Ma il pannicello tiepido che potrebbero avere a disposizione alcuni, pochi, settori, ora viene bruciato da un’ infuocata inflazione importata: in altre parole con un euro debole pago molto di più tutto quello che importo, che nell’attuale frangente si chiama soprattutto energia, fattore di cui nessun settore può fare a meno.

Il settore che più potrebbe beneficiare se il potere d’acquisto del dollaro aumenta è quello del turismo: in effetti dai primi dati emerge che sempre più americani saranno disposti a passare le vacanze in Europa in generale e in Italia in particolare. Altre categorie di qua dell’Atlantico che potrebbero trarre qualche beneficio da un euro debole potrebbero essere quelle con forti propensioni verso l’estero, soprattutto in alcuni paesi all’interno dell’area che adotta l’euro come Italia, Francia e Germania che destinano tra il 41 e il 43% dei loro prodotti al di fuori dei confini Ue.

Per il Made in Italy sono indicate per esempio le Maison di alta moda, ma più in generale il settore tessile oltre a quello meccanico.

Il rovescio della medaglia di un dollaro forte

L’euro debole rispetto al dollaro “potrebbe essere anche considerato un vantaggio per l’economia europea perché incoraggia la nostra capacità di esportare”, ma “sarebbe un errore, dobbiamo anche pensare al versante negativo” ha detto lunedì il commissario europeo agli Affari economici Paolo Gentiloni in conferenza stampa al termine dell’eurogruppo. E il rovescio della medaglia indicata da Gentiloni è necessariamente la voce costi di produzione, a sua volta penalizzati dall’inflazione importata con le materie prime che si pagano in dollari: nel 2008, quando il petrolio superava i 130 dollari al barile, l’euro forte abbassava il prezzo finale in Europa di circa un terzo. Oggi no.

Ma non è solo un tema commerciale: “Nei prossimi mesi saranno le transazioni finanziarie e i movimenti di capitale a determinare i rapporti di forza, più che le partite commerciali correnti” dice Carlo Favero direttore Dipartimento Finanza della Bocconi. “L’Europa ha un compito molto più difficile degli Usa, bisogna ribadirlo, e l’incertezza sull’inflazione porterà comunque dei problemi di frammentazione in Europa. Non vedo una situazione politica ed economica in grado di vedere l’euro superiore al dollaro”

La moneta unica mette in evidenza la difficoltà della fase economica

Di carne al fuoco ce n’è molta: i timori di un blocco agli approvvigionamenti di gas russo verso il Vecchio Continente, un’inflazione schizzata all’8,6% e una revisione al ribasso delle stime di crescita 2022 da parte della Commissione Ue (+2,7% la previsione di maggio) sono alla base della flessione della moneta unica. E poi i differenziali dei tassi di interesse tra questa e l’altra sponda dell’Atlantico. I Fed Funds oscillano tra 1,5 e 1,75% con un nuovo rialzo di 75 punti atteso nella prossima riunione, mentre i tassi eurpei sono ancora a -0,50% dallo scorso 2011. Eppure gli Usa hanno un debito che ha sfondato i 30mila miliardi di dollari (il triplo circa dell’area euro) e un’inflazione attesa all’8,8 per cento.

L’arrivo delle trimestrali Usa impatterà sul dollaro?

Per quanto tempo il dollaro resterà alto? Che cosa potrebbe scalfire il trend? Questa settimana un report di Ubs inverte il pensiero: “Nel lungo termine – scrivono gli analisti – il potenziale rialzista del dollaro sarà frenato dal rallentamento della crescita economica”. Il mercato già inizia a prezzare un nuovo taglio dei tassi della Fed nel corso del 2023.

Rilevante sarà la pubblicazione delle prime trimestrali Usa nei prossimi giorni perché potrebbero segnalare un primo cambio di passo dell’economia Usa e quindi anche delle future mosse della Fed. Si inizia con i grandi gruppi bancari americani tra cui jp Morgan Morgan Stanley e goldman Sachs che da un lato dovrebbero beneficiare del rialzo dei tassi di interesse che permette loro di aumentare I rendimenti sui capitali a prestito, ma dall’altro potrebbe segnare un calo nelle divisioni dell’investment e merchant banking che potrebbero e impattare sugli utili aziendali. Si passerà poi ai grandi asset manager come Blackrock, State street e poi il settore Tech che risulta molto colpito appunto dall’attuale volatilità sui mercati, e vedremo Tesla, Apple, Microsoft che potrebbero essere penalizzate dal dollaro forte in merito alla valorizzazione dei profitti in valuta prodotti all’estero.

“Il focus è soprattutto sulle guidance più che sui risultati consuntivi per capire l’impatto dei venti recessivi in prospettiva e la dinamica dei consumi in un contesto di elevata inflazione e salari reali negativi da oltre un anno negli Usa, con quindi pressioni al ribasso sui consumi” osserva Antonio Cesarano Chief Global Strategist – Intermonte SIM SpA

Il dilemma delle banche centrali: inflazione o crescita?

Ed eccoci alla congiunzione astrale del 21 luglio prossimo. La Bce dovrà pronunciarsi sulla sua politica monetaria futura. E quel giorno stesso saprà che Gazprom deciderà di tenere ancora chiusi i rubinetti del gas (totalmente o parzialmente).

Il dilemma di Christine Madeleine Odette Lagarde è un macigno: accelerare il rialzo tassi per contenere le maggiori spinte inflattive indotte da un euro debole oppure rallentare il ritmo a causa dell’impatto negativo sulla crescita derivante dall’eventuale crisi energetica indotta dallo stop del gas russo. Francois Villeroy, membro del consiglio della Banca centrale ha rimarcato nei giorni scorsi che la Bce tiene in considerazione la dinamica dell’euro ai fini del monitoraggio della stabilità dei prezzi.

I tassi della Bce sono ancora negativi, a -0,50% e le attese sono di alzarli a -0,25% la settimana prossima, e poi portarli a zero in settembre.

Sull’altro fronte la Fed, per qualche mese sarà interamente focalizzata ad accelerare il ritorno di politica monetaria con rialzi rapidi di 75 punti base cui si aggiunge il quantitative easing, ossia il drenaggio di liquidità indotto dai minori reinvestimenti che a settembre raggiungerà la soglia di 95 miliardi di dollari mensili. Il tutto per ottenere al più presto effetti di contenimento dell’inflazione per poi avere spazio per dedicarsi alla crescita. Ma non subito.

“Se le trimestrali dovessero evidenziare danni sulle guidance delle aziende US a causa dell’elevata inflazione, per la Fed si tratterebbe di un ulteriore stimolo nel breve a fare presto nella lotta all’inflazione, malgrado i sintomi di rallentamento della crescita che già stanno emergendo” dice Antonio Cesarano, Chief Global Strategist di Intermonte SIM. Lo stesso se dovessero emergere danni dai profitti delle multinazionali Usa per i profitti prodotti all’estero a causa del dollaro forte: sarebbe un ulteriore stimolo a concentrare in poco tempo la lotta all’inflazione per evitare danni prolungati proprio alle aziende Usa. “Per la prima volta in oltre 15 anni, nel mondo occidentale ci troveremo di fronte per alcuni mesi a banche centrali focalizzate solamente sulla lotta all’inflazione ed intenzionate (soprattutto la Fed) a ridimensionare e sacrificare anche la crescita economica. Quest’ultima diventerà semmai un tema di cui occuparsi successivamente, verosimilmente non prima del prossimo anno: prima occorre spegnere l’incendio inflattivo. Solo alla fine le due campane crescita ed inflazione ritorneranno a suonare armonicamente insieme ma verosimilmente occorrerà prima passare per una recessione, in parte indotta dalle stesse banche centrali alle prese con la necessità di frenare prima possibile l’inflazione galoppante”.

Semmai, al di là delle singole aree, il mercato forse sta semplicemente iniziando a scontare una recessione globale e gli Stati Uniti, che hanno fama di essere più resilienti dal punto di vista economico, e la loro valuta vengono visti come rifugio, in attesa di tempi migliori.

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