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Don Chisciotte, il primo e più grande bestseller della storia

Cervantes, di cui ricorre il 400mo anniversario della morte, fu alle origini di una rivoluzione mediatica simile a quella di oggi e fu subito consapevole del suo pubblico di riferimento – Il suo Don Chisciotte fu un bestseller istanteo

Mezzo miliardo di copie

Nel 400mo anniversario della morte di Miguel de Cervantes, William Egginton, professore di scienze umanistiche e di lingue e letterature germaniche e romanze alla Johns Hopkins University di Baltimora, ha dato alle stampe un saggio molto importante: The Man Who Invented Fiction: How Cervantes Ushered in the Modern World (L’uomo che ha inventato il romanzo: come Cervantes ha inaugurato il mondo moderno), Bloomsbury, 2016.

Questo libro è importante non tanto perché si occupa di uno dei maggiori scrittori di tutti i tempi, ma anche perché esplora come nella poetica e nell’azione di Cervantes ci siano tutti i prodromi dello scrittore moderno e del suo rapporto con il pubblico di riferimento, i lettori. Cervantes è proprio allo spartiacque tra un’epoca e un’altra così come lo siamo oggi con l’ingresso della tecnologia nel mondo della produzione e diffusione della cultura e delle idee. Non è neppure secondario il fatto che, secondo alcuni fonti, il capolavoro di Cervantes è il più grande bestseller di tutti i tempi fatta esclusione dei testi sacri. Si calcola, molti dicono al ribasso, che abbia venduto oltre 500 milioni di copie. Un record che nessun scrittore moderno in una società ad alfabetizzazione totale è riuscito a eguagliare. Per questo il Don Chisciotte può essere veramente un caso di studio per una business school.

Egginton ha esposto in un articolo pubblicato supplemento del weekend del “Financial Times” i punti salienti del suo lavoro su Cervantes. Di seguito pubblichiamo l’articolo nella traduzione italiana di Ilaria Amurri.

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Don Chisciotte bestseller istantaneo

A quattro secoli dalla morte di Cervantes possiamo considerare il suo romanzo come risposta a una rivoluzione mediatica che rispecchia in parte quella attuale.

Nel gennaio del 1605, un veterano della guerra spagnola contro l’Impero Ottomano pubblicò un libro del tutto inconsueto. A differenza dei “bestseller” dell’epoca, non si trattava di un romanzo cavalleresco o picaresco, né di un dramma pastorale, ma raccontava la storia di un gentiluomo così ossessionato da questo genere di libri, soprattutto quelli che parlano di cavalieri erranti e delle loro avventure fantastiche, che perde la testa e comincia a pensare che quelle storie siano reali.

Fin dall’inizio, L’ingegnoso cittadino Don Chisciotte della Mancia fu un successo strepitoso. Il libro di Miguel de Cervantes era così richiesto che in pochi mesi era esaurito in tutta la penisola iberica e gli editori iniziarono subito a preparare la seconda edizione. Ne uscirono perfino alcune versioni pirata, due a Londra e due a Valencia e Zaragoza, nel frattempo pacchi interi di volumi erano caricati sui galeoni che salpavano per il nuovo mondo. Entro giugno i due protagonisti erano diventati vere e proprie icone, le loro effigie erano esibite in parate e festeggiamenti regali e popolari.

Don Chisciotte sarebbe diventato l’opera letteraria forse più pubblicata nella storia e la sua influenza sulla letteratura è stata impareggiabile. Quando nel 2002 l’istituto Nobel norvegese selezionò 100 autori per eleggere l’opera più significativa, la vittoria fu schiacciante, nessun altro libro era paragonabile a Don Chisciotte.

Un autore consapevole del pubblico di riferimento

Se da un lato Cervantes poteva essere sorpreso dal successo del romanzo, di sicuro era cosciente della carica innovativa del suo stile. Nella prefazione che compose per la collezione Novelle esemplari, che pubblicò otto anni dopo Don Chisciotte, difendeva con orgoglio la propria originalità, affermando che “le molte novelle che in questa lingua [castigliana] sono state pubblicate, sono tutte tradotte da lingue straniere, mentre queste son proprio mie, non imitate né rubate; le ha generate il mio ingegno, le ha partorite la mia penna e ora stanno crescendo nelle braccia della stampa”.

Qui possiamo osservare la rottura operata da Cervantes rispetto alle vecchie categorie aristoteliche di poesia e storia, in cui erano collocati tutti i testi letterari. Fantastiche, nel senso che erano frutto unicamente della sua immaginazione e dunque veicolo di verità universali e filosofiche, le sue storie volevano al contempo essere pertinenti alla vita dei lettori: aspiravano al firmamento dell’alta letteratura, ma rivendicavano un territorio ampiamente popolare.

“Ho dato loro il nome di ‘esemplari’”, scrive Cervantes a proposito delle 12 novelle, “e infatti, se guardi con attenzione, vedrai che non ve n’è neppure una dalla quale non si possa trarre un esempio utile”. Per comprendere tale esempio, per portare alla luce “il mistero che racchiudono e da cui sorgono” il pubblico sarebbe stato costretto ad avvicinarsi a queste storie in modo nuovo, non solo in quanto giudice esterno di un’immagine del mondo tanto gradevole quanto illusoria, ma come “lettore attento”, consapevole di come i suoi pregiudizi contribuiscano a creare quella stessa visione della realtà.

La risposta all’innovazione mediatica

Oggi, a 400 anni dalla sua morte, Cervantes è meritatamente celebrato come inventore del romanzo moderno. Tuttavia, è raramente apprezzato il fatto che le sue innovazioni abbiano rappresentato una risposta a una rivoluzione mediatica che in un certo senso rispecchia quella che stiamo vivendo oggi. Don Chisciotte è stato pubblicato in un periodo in cui la stampa era in piena espansione, l’alfabetizzazione era esplosa negli ultimi cento anni e ora si estendeva oltre il clero e la nobiltà, raggiungendo molti cittadini comuni, la borghesia cittadina, ma anche i mercanti e gli agricoltori.

Nel romanzo di Cervantes, la presenza e l’influenza della letteratura emergono fin dalle prime pagine: non solo è la causa apparente della follia di Don Chisciotte, ma ben presto diventa oggetto dei commenti della maggior parte dei personaggi, indipendentemente dalla loro situazione. Per esempio, mentre Don Chisciotte viene accompagnato a casa dopo la sua prima, sfortunata scorribanda, la governante dice: “Me sventurata! Mi par di capire, ed è tanto vero questo come che sono nata per morire, che questi maledetti libri di cose cavalleresche che ha e che è solito di leggere tanto usualmente gli han rivoltato il cervello”.

C’era poi il teatro, che nell’Europa rinascimentale esercitava una presa paragonabile a quella della televisione e del cinema ai giorni nostri. All’inizio del XVII secolo, nei centri urbani in rapida espansione di tutto il continente, fino al 90% della popolazione aveva vissuto l’esperienza di andare a teatro e si vendevano biglietti per tutte le fasce sociali.

I libri e le produzioni teatrali, controllati pesantemente e spesso finanziati dalla monarchia e dalla sua polizia intransigente, l’Inquisizione, tendevano a definire in modo estremamente preciso ciò che era giusto e auspicabile per un cittadino spagnolo.
L’onore poteva baciare tutti gli uomini, purché non gravasse la benché minima traccia di sospetto sulla purezza religiosa della loro stirpe o sulla castità delle loro donne, un’ideologia insidiosa che divorava l’intera società in maniera quasi inversamente proporzionale al controllo che la corona riusciva a esercitare sui suoi sudditi, sull’economia dello Stato e sui conflitti di politica estera.

La disillusione nei confronti della società del suo tempo

Cervantes era ossessionato da questa ideologia dominante, come emerge dalle sue storie. La sua intera produzione letteraria è volta a riflettere su un periodo storico in cui nuove forme di comunicazione permettevano a chiunque di avere accesso a rappresentazioni della realtà multiple e spesso contrastanti. Allo stesso tempo, però, era profondamente scettico riguardo alla realtà a cui i lettori e gli spettatori erano portati a credere, uno scetticismo provocato in gran parte dalle sue vicissitudini personali.

Nato a metà del XVI secolo in una città universitaria nel cuore di quello che al tempo era l’impero più potente del mondo, Cervantes era sempre in movimento: prima a causa di un padre itinerante, i cui tentativi di sostenere una famiglia sempre più numerosa lo portarono ad accumulare una mole sempre più pesante di debiti, poi come fuggiasco, soldato, prigioniero e infine esattore delle tasse. In fuga dalla Spagna, dopo aver ferito un altro uomo in duello, il giovane Cervantes partì per l’Italia, dove si unì alla flotta papale per combattere l’Impero Ottomano nella Battaglia di Lepanto, al largo delle coste greche. Gravemente ferito, si ritirò in Sicilia e poi a Napoli, prima di provare a tornare a casa per mare molti anni dopo, quando la sfortuna colpì un’altra volta e lui fu catturato dai corsari barbareschi.

Per cinque anni Cervantes soffrì nello squallore delle prigioni di Algeri, tentando la fuga non meno di quattro volte, ognuna delle quali fu un fallimento che avrebbe potuto condurlo alla morte. Finalmente riscattato e di ritorno in Spagna, l’ex prigioniero di guerra si sarebbe aspettato di essere accolto come un eroe, invece una monarchia in rovina respinse più volte i suoi tentativi di assicurarsi una pensione o un lavoro che premiassero i suoi sacrifici, così finì per abbassarsi a fare l’esattore per un governo altamente impopolare.

La novità dell’approccio narrativo del Don Chisciotte

Superati i cinquant’anni, quando pubblicò Don Chisciotte, Cervantes aveva perso ogni illusione riguardo agli ideali che la sua società propagandava senza poi esserne all’altezza, un fattore che determinò più di ogni altra cosa il successo e l’impatto innovativo di Don Chisciotte, perché con esso Cervantes creò non solo una rappresentazione del mondo, ma un’immagine di come il mondo sia rappresentato in modo sbagliato. Questo approccio narrativo permane ancora oggi e si estende ben oltre il romanzo: i personaggi teatrali, televisivi e cinematografici hanno tutti bisogno di essere costruiti in un modo che ci permetta di percepire i limiti del loro punto di vista e ciò li rende più “reali” ai nostri occhi. Di certo risentiamo noi stessi di questo sdoppiamento, dal momento che pretendiamo un realismo illusorio pur rimanendo perfettamente consci che ciò che stiamo leggendo o guardando è frutto dell’immaginazione.
Il punto è che l’innovazione apportata da Cervantes è stata una reazione, geniale e unica nel suo millennio, a un mondo in cui i mezzi di comunicazione avevano confuso il confine tra realtà e fantasia. Un’industria teatrale controllata dallo Stato, ma anche una censura e una storiografia ufficiale al servizio della monarchia tenevano sotto stretto controllo il contenuto degli spettacoli teatrali e dei libri, diffondendo attivamente un’immagine della Nazione tesa a sostenere la fragile alleanza tra monarchia e aristocrazia terriera, senza rinunciare a ingraziarsi la borghesia e la classe contadina con fantasticherie di onore e di purezza di sangue. A loro volta queste fantasie erano fomentate da una campagna mediatica estesa e ramificata, che demonizzava sia gli ebrei, che per la maggior parte erano stati esiliati o costretti a convertirsi alla fine del XV secolo, e i moriscos, cioè gli ex musulmani che ora vivevano da cristiani pur mantenendo alcune pratiche culturali moresche.

La dissonanza come oggetto della scrittura

Cervantes, chiaramente incapace di conciliare la sua esperienza con questa immagine del mondo, fece qualcosa di diverso: fece della dissonanza l’oggetto della sua scrittura. Per questo oggi così tante persone che decidono di tornare ai grandi classici si stupiscono di trovare Don Chisciotte così “moderno”: una prefazione in cui l’autore è presentato come un personaggio, una cornice narrativa palesemente fittizia che insiste sulla veridicità dei fatti narrati, i personaggi che parlano dell’autore come se fosse un personaggio del libro, per finire, nella seconda metà del romanzo, pubblicata a 10 anni di distanza, con Don Chisciotte e Sancho Panza che parlano della loro fama di personaggi letterari e del misero tentativo di un imitatore di rimpiazzarli tra la prima e la seconda pubblicazione delle loro avventure.

In una breve composizione teatrale pubblicata verso la fine della sua vita [El retablo de las maravillas], Cervantes racconta di una piccola città i cui capi accettato di assumere una compagnia di burattinai per inscenare uno spettacolo magico. L’impostore che li convince a investire nel suo raggiro promette che il pubblico assisterà a meraviglie che superano i sogni più incredibili, sul suo palco improvvisato, ma li avverte che la magia è negata a chiunque “abbia traccia dell’altra fede o non sia stato messo al mondo da genitori legati in legittimo matrimonio”.

Il potenziale truffaldino delle narrazioni

Naturalmente gli abitanti della città vanno su tutte le furie e protestano vigorosamente. Come dice l’anziano: “Posso assicurarvi che, da parte mia, mi sottopongo alla prova in tutta sicurezza, poiché mio padre era il sindaco di  città ed io ho vecchia, rancida carne cristiana spessa quattro centimetri su tutti e quattro i fianchi del mio lignaggio. Ditemi voi se posso mai avere qualche problema a vedere lo spettacolo!”. Infatti lo vedono, ma ci guadagno solo una truffa e le minacce di un un soldato, quando provano a utilizzare i loro vecchi privilegi cristiani per evitare di ospitare le truppe del re.

Quello che Cervantes aveva capito e che forse dovremmo ricordarci ancora oggi è che, proprio perché alcuni mezzi di comunicazione sono così coinvolgenti, sono capaci non solo di persuaderci, ma di portarci a confonderli con la realtà. Quando i media minacciano di superare questo limite il romanzo può acquisire un valore molto importante: dare una spintarella alla nostra consapevolezza, scuoterci dal nostro autocompiacimento e farci vedere che abbiamo abboccato.

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