Los Angeles è una città militarizzata. I cieli sono sorvolati da droni, le strade presidiate da blindati e da oltre 700 Marines schierati in supporto a migliaia di soldati della Guardia Nazionale. È la risposta del presidente Donald Trump alle proteste scoppiate dopo i massicci raid dell’Ice, l’agenzia federale per l’immigrazione, nei quartieri a maggioranza latinoamericana.
Il governatore democratico della California, Gavin Newsom, ha denunciato “un attacco militare contro civili disarmati, un atto da dittatore“, annunciando il ricorso alla Corte Suprema per violazione dei poteri statali. Ma la Casa Bianca non arretra: “Bisogna ristabilire l’ordine e far rispettare la legge federale, soprattutto dove le amministrazioni locali si rifiutano di collaborare”, è il messaggio secco arrivato da Washington.
La crisi non è più solo californiana: manifestazioni e scontri si registrano anche a Dallas, Seattle, New York, Chicago, Houston e San Francisco. Il rischio di un’escalation nazionale è ormai concreto.
Rivolta a Los Angeles, cosa è successo
Le proteste sono esplose il 6 giugno, dopo una serie di retate federali nei quartieri di Westlake, Paramount e Fashion District a Los Angeles. Secondo il Department of Homeland Security, almeno 121 migranti sono stati fermati, molti dei quali senza precedenti penali. Diversi video mostrano arresti condotti da agenti in borghese, con veicoli non identificabili, spesso senza mandato.
La reazione è stata immediata. Migliaia di persone sono scese in strada. A Paramount gli scontri con la polizia sono stati duri; a Compton la tensione è degenerata in guerriglia urbana. Il dispiegamento della Guardia Nazionale, arrivata l’8 giugno, non ha placato la protesta, ma ha acceso ulteriormente gli animi.
Tra gli arrestati figura anche David Huerta, leader sindacale della Seiu (Service Employees International Union), colpito con spray al peperoncino mentre cercava di fermare un mezzo federale. “È inaccettabile militarizzare i nostri quartieri per perseguitare persone che lavorano, pagano affitti e mandano i figli a scuola”, ha dichiarato dopo la scarcerazione.
Trump al contrattacco: “Stati anarchici, serve ordine”
Per il presidente Trump, la crisi è occasione per consolidare la propria linea dura. “Gli stati come la California non possono diventare rifugi per criminali del terzo mondo”, ha detto dal palco di un comizio in Texas. “Ripuliremo le città e ristabiliremo la legge”.
L’8 giugno Trump ha firmato un ordine esecutivo che autorizza l’uso delle forze armate in funzione di ordine pubblico in caso di “disobbedienza civile su larga scala” o di “ostruzionismo statale alle leggi federali”. Una misura definita “estremamente pericolosa” da numerosi giuristi, tra cui il costituzionalista di Harvard Laurence Tribe, che ne contesta la legittimità in tempo di pace.
L’Italia guarda con preoccupazione: “Massima attenzione per i connazionali”
Il caos negli Stati Uniti preoccupa anche Roma. “Seguiamo con la massima attenzione l’evolversi della situazione. L’Ambasciata italiana a Washington e i Consolati generali, in particolare a Los Angeles e New York, sono stati attivati per monitorare l’impatto sui connazionali, in particolare quelli in condizione di irregolarità o a rischio fermo amministrativo” ha dichiarato il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha dichiarato ieri in conferenza stampa.
Secondo le stime della Farnesina, negli Usa vivono circa 280.000 cittadini italiani ufficialmente registrati all’Aire, ma il numero effettivo, comprensivo di residenti non iscritti e overstayer, potrebbe superare le 400.000 unità. Tra questi, alcune migliaia potrebbero essere coinvolti nei controlli a tappeto ordinati dall’amministrazione Trump.
Non solo. A preoccupare il governo italiano è anche l’ipotesi, circolata negli ambienti della sicurezza americana, di utilizzare Guantánamo come centro di detenzione temporanea per migranti irregolari provenienti da Paesi che rifiutano il rimpatrio.
“Le prime informazioni che arrivano dal Dipartimento per la Sicurezza Nazionale indicano che Guantánamo potrebbe essere destinata ai clandestini di Stati che non accettano di riaccoglierli. Ma l’Italia ha già comunicato da tempo all’amministrazione americana la disponibilità a riprendere i propri cittadini, nel pieno rispetto dei loro diritti individuali. Per questo, non dovrebbero esserci possibilità che cittadini italiani vengano trasferiti lì”. Il titolare della Farnesina ha infine ribadito l’appello a Washington: “Chiediamo alle autorità statunitensi di rispettare i diritti delle persone e il principio di proporzionalità nell’uso della forza”.
Intanto, anche da Bruxelles il commissario europeo agli Affari Interni ha chiesto “chiarimenti urgenti” all’ambasciata statunitense presso l’Ue.
Stati Uniti divisi: la guerra civile è già cominciata?
Secondo lo storico russo-americano Peter Turchin, che da anni studia i cicli di instabilità nelle società complesse, gli Stati Uniti stanno attraversando una fase di “crisi sistemica”. I suoi modelli, già nel 2010, prevedevano un picco di disordini attorno al 2020-2025, causato da un mix esplosivo di disuguaglianza economica, polarizzazione politica e perdita di legittimità delle élite.
Non sorprende, quindi, che oggi alcuni parlino apertamente di “guerra civile a bassa intensità“: non una secessione armata su larga scala, ma una progressiva frammentazione del tessuto federale in aree con proprie regole, milizie, valori e confini ideologici.
Il governo federale, sempre più punitivo, e le città “santuario”, che difendono i migranti e rivendicano autonomia, sembrano ormai due Americhe diverse. E lo scontro appare sempre meno contenibile.
Quando la finzione anticipa la realtà: il caso “Civil War”
A rafforzare il senso di déjà-vu è Civil War, il film diretto da Alex Garland e uscito nel 2024. Ambientato in un’America lacerata da una guerra interna tra stati secessionisti e governo federale, la pellicola racconta l’implosione del Paese attraverso lo sguardo di una fotoreporter freelance che documenta le atrocità su entrambi i fronti.
Nella trama, California e Texas si ribellano a Washington, dando vita a un conflitto armato che travolge istituzioni, media e civili. “Non è un film di fantascienza – ha dichiarato Garland – ma un’anticipazione emotiva di qualcosa che può accadere domani”. E alla luce degli eventi attuali, molti spettatori potrebbe faticare a distinguerlo dalla cronaca.
Il film mette in scena la fine dell’unità federale americana, tra informazione manipolata, città militarizzate e istituzioni al collasso. Una distopia che, per molti, oggi appare come un inquietante specchio del presente.