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Strage di giornalisti di Al Jazeera a Gaza, Netanyahu rilancia l’offensiva: “Libereremo la Striscia da Hamas”

Sei operatori di Al Jazeera uccisi in un raid israeliano a Gaza. Secondo l’Imf uno era “capo di una cellula di Hamas”. L’Onu parla di “pericolosa escalation”, ma Netanyahu tira dritto sul piano militare mentre cresce la crisi umanitaria e la condanna internazionale

Strage di giornalisti di Al Jazeera a Gaza, Netanyahu rilancia l’offensiva: “Libereremo la Striscia da Hamas”

Sei operatori di Al Jazeera, tra reporter e cameraman, sono stati uccisi in un raid israeliano che ha colpito una tenda stampa vicino all’ospedale Al-Shifa a Gaza City. Le vittime sono Anas al-Sharif, Mohammed Qreiqeh (Karika), Ibrahim Zaher, Mohammed Noufal, Mosaab Al Sharif e Mohammed al-Khalidi, giornalisti e operatori che documentavano quotidianamente la guerra.

Anas al-Sharif, 28 anni, figura di spicco del giornalismo palestinese e noto corrispondente di Gaza, era da tempo nelle liste dei “most wanted” del governo israeliano. L’esercito israeliano lo ha accusato di essere “capo di una cellula di Hamas” e di aver partecipato all’attacco del 7 ottobre. Accuse che Al Jazeera respinge, parlando di “attacco mirato per zittire la stampa”.

“È la caduta dei principi universali – denuncia l’analista Marwan Bishara – giornalisti, medici, bambini: tutti lottano per la propria vita mentre Netanyahu agisce impunemente”.

Intanto, il piano di Netanhyau di occupare Gaza prosegue.

Netanyahu tira dritto

Nonostante le piazze in rivolta e le condanne internazionali, Benjamin Netanyahu rilancia. Due conferenze stampa in poche ore per ribadire il suo obiettivo: “Non voglio prolungare la guerra, voglio finirla. Distruggere Hamas, liberare Gaza”.

Il piano colpisce Gaza City, definita “capitale del terrore” – e la zona umanitaria di Mawasi. Niente occupazione permanente, assicura il premier, ma una “nuova amministrazione civile” che escluda sia Hamas che l’Autorità Nazionale Palestinese. Sul terreno, però, la realtà è fatta di bombardamenti incessanti e di una crisi umanitaria che l’Onu definisce “di dimensioni inimmaginabili”.

Onu in allarme, Israele all’attacco

A New York il Consiglio di Sicurezza parla di “ennesima escalation pericolosa“. Netanyahu però ribatte, “aprite gli occhi sulle menzogne di Hamas”. Rivendica la distribuzione di “2 milioni di tonnellate di aiuti” e accusa Onu e media internazionali di “propaganda alla cieca”.

Nel mirino anche il New York Times, colpevole di aver pubblicato la foto di un bambino palestinese malnutrito. “Gli unici che stanno deliberatamente morendo di fame sono i nostri ostaggi”, afferma Bibi. Intanto, a Gaza, l’accesso al cibo e all’acqua si riduce ogni giorno.

Israele è però un Paese spaccato. A Tel Aviv e Gerusalemme migliaia di manifestanti gridano “basta guerra”. Le famiglie degli ostaggi hanno proclamato uno sciopero generale. Dentro la coalizione, l’ultranazionalista Bezalel Smotrich spinge per annettere la Striscia, mentre la sinistra israeliana si oppone apertamente al piano. Netanyahu, stretto tra pressione interna e condanna esterna, sceglie la linea dura.

La condanna della Tunisia

La Tunisia parla senza mezzi termini di “genocidio” e definisce il piano israeliano di rioccupare Gaza “una flagrante violazione del diritto internazionale e dell’autodeterminazione del popolo palestinese”. Secondo Tunisi, lo sfollamento degli abitanti e il loro confinamento in aree ristrette rappresentano “un tentativo disperato di liquidare la causa palestinese”. L’appello alla comunità internazionale è un invito al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di intervenire per fermare l’offensiva e proteggere i civili.

Australia riconoscerà la Palestina

Sul fronte diplomatico, Canberra rompe gli equilibri. A settembre l’Australia riconoscerà lo Stato palestinese, chiedendo l’esclusione di Hamas dal governo, la demilitarizzazione di Gaza e nuove elezioni. “È un passo necessario verso la soluzione a due Stati”, afferma il premier Anthony Albanese.

Israele reagisce con rabbia. Per l’ambasciatore Amir Maimon, il riconoscimento “mina la sicurezza” e “premia il terrorismo”. Anche la Nuova Zelanda starebbe valutando un analogo riconoscimento.

Gaza tra bombe e fame

A Gaza la situazione resta insostenibile. Oltre 50mila tra morti e feriti. Centinaia di migliaia senza casa, senza famiglia, senza cibo. Dall’alba di oggi, altre dieci vittime sotto le macerie, tra cui un’intera famiglia a Gaza City. L’Unicef segnala 12mila bambini gravemente malnutriti.

Netanyahu sostiene che la sua offensiva sia “il modo più rapido per porre fine alla guerra”. Ma sul terreno la realtà è un’altra: raid continui, carestia, vite spezzate. Quanti altri civili, giornalisti e bambini dovranno morire prima che arrivi davvero la parola fine?

Ultimo aggiornamento: martedì 12 agosto 2025 alle ore 06:28

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