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Paradossi della crisi: la Gran Bretagna è il Paese più indebitato del mondo ma ha la tripla A

Lo sostiene l’ultimo Rapporto del McKinsey Global Institute sommando debiti pubblici e debiti privati – Come si spiega allora la bizzarra tripla A? In parte con la presenza in un’area monetaria diversa dall’euro e in parte con una banca centrale che fa il prestatore di ultima istanza – Ma se crolla l’euro sono dolori anche per la sterlina e per gli inglesi

Paradossi della crisi: la Gran Bretagna è il Paese più indebitato del mondo ma ha la tripla A

La Gran Bretagna è ancora il paese più indebitato al mondo testa a testa con il Giappone. Lo sostiene l’ultimo rapporto, fresco di stampa, del McKinsey Global Institute (www.mckinsey.com) dedicato al faticoso, lento (troppo lento) risveglio dalla sbornia del debito (deleveraging in gergo tecnico). Sì, proprio, la perfida Albione non la gaudente Italia. Eppure il Regno Unito è l’unico, insieme alla Germania, a godere della tripla A concessa da Standard & Poor’s. La Repubblica italiana è ben sette gradini più in basso. Due pesi e due misure, pregiudizio politico, ignoranza socio-economica? Lasciamo che i magistrati facciano il loro lavoro e scoprano se l’agenzia di rating americana ha falsato o addirittura manipolato Piazza Affari, diffondendo notizie a borse aperte. Certo, bisogna chiedersi come fanno i calcoli quei benedetti ragazzi.

Non solo, la Gran Bretagna sta entrando in recessione, ha una inflazione doppia rispetto a quella italiana, la disoccupazione (all’8,4%) sale, il deficit pubblico è al 9%, il peggiore d’Europa, il sistema bancario è ancora instabile nonostante l’intervento pubblico, la City licenzia, negli ultimi dieci anni ha perso quote sul mercato mondiale, molto più dell’Italia. Ma Londra resta un paradiso sicuro per i capitali che affluiscono copiosi e i bond pubblici non hanno problemi ad essere venduto al 2%. Ha senso tutto questo?

Intanto, cominciamo dall’indebitamento. McKinsey calcola il debito totale interno di un paese, mettendo insieme governo, famiglie, imprese finanziarie e non. Così, mentre il Sol Levante raggiunge il 512 per cento del prodotto lordo ed è tornato a salire di 39 punti dopo il 2008, il Regno Unito è a quota 507, cresciuta di 20 punti negli ultimi tre anni. Il debito dello stato è all’81%, quindi più o meno come la Germania, ma le istituzioni finanziarie raggiungono quota 219, la più alta al mondo, addirittura doppia rispetto al Giappone e tripla in rapporto all’Italia. Anche industria e servizi britannici sono aggravati molto più di quelli italiani (109 contro 82), non parliamo delle famiglie (98 contro 45). Se queste cifre sono corrette, l’insieme dell’economia e della società italiana mostra una capacità ben maggiore di far fronte alla propria esposizione debitoria globale, rispetto a quella britannica. Eppure, noi abbiamo tre B e loro tre A.

Colpa dell’instabilità politica e istituzionale? Il governo tecnico è una parentesi: che accadrà dopo? La Lega batte di nuovo il tamburo della secessione: il paese si dividerà? Preoccupazioni legittime che non riguardano solo l’Italia, pensiamo al Belgio o alla stessa Gran Bretagna. I nazionalisti scozzesi vogliono andarsene, ci sarà un referendum, forse il Regno sarà dis-unito, con la perdita di un’area vitale, dinamica che provoca grandi problemi sociali, non solo organizzativi.

Tutto ciò sembra non contare granché per i tecnici di S&P. Non importa che la crisi bancaria sia scoppiata nel 2007 non negli Stati Uniti come tutti credono (e nonostante i subprime), ma in Inghilterra con l’assalto agli sportelli della Northern Rock poi nazionalizzata dal governo laburista. I più pericolosi focolai d’infezione non stanno nelle sonnolente banche italiche (che pure hanno le loro preoccupanti debolezze), bensì nel dinamico e competitivo sistema inglese, là dove la finanza è la principale industria del paese.

Si potrebbe continuare all’infinito. Basta prendere le ultime analisi del Fondo monetario internazionale o consultare il ricco Guardian online per riempirsi gli occhi di grafici e tabelle sulle debolezze strutturali e congiunturali della Britannia infelix. E, tuttavia, le agenzie danno tutte un rating eccellente e non esistono, oggi come oggi, problemi di finanziamento dell’immenso debito.

Una spiegazione sta nel fatto che la Gran Bretagna è fuori dalla zona euro. La sterlina ha mantenuto il suo status di moneta internazionale (come valuta di riserva e mezzo di pagamento degli scambi mondiali) ed è protetta da una banca centrale che stampa moneta senza limiti quando è necessario.

Sul sito chiarissimo e gradevole della Old Lady (www.bankofengland.co.uk) c’è una dimostrazione animata comprensibile a tutti, di come funziona il quantitative easing, quali sono i suoi effetti sulla economia reale e i suoi rischi, per esempio l’inflazione. Dunque, la consapevolezza che la Banca d’Inghilterra svolgerà fino in fondo la sua funzione di prestatrice di ultima istanza per le banche e per il governo, rassicura gli investitori i quali comprano i titoli inglesi e snobbano i Btp.
Eppure anche questa è una illusione, perché se salta l’euro non si salva nessuno. Del resto, nel 1992 il collasso dello Sme (sistema monetario europeo) portò a far crollare la sterlina prima della lira, e la Banca d’Inghilterra mollò il cambio prima della Banca d’Italia. Forse fece bene, fu cinica e realista, ma chi aveva sterline ci rimise l’osso del collo (con l’eccezione di Gorge Soros che guidava l’attacco).

S&P nel comunicato con il quale annuncia il downgrading della Francia, dell’Italia e di mezza Europa, spiega che il vero allarme viene da una gestione della crisi sbagliata basata su un’analisi altrettanto errata delle sue cause: esse non risiedono nei peccati di gola dei paesi periferici, ma negli squilibri crescenti di competitività che allontanano la Germania, l’Olanda e pochi altri da tutto il resto del continente. Una considerazione fondata che porta a conclusioni altrettanto corrette: il rigore senza crescita crea un circolo vizioso che condanna a una lunga stagnazione. Bene, applausi. Ma allora come la mettiamo con quella tripla A alla Gran Bretagna i cui fondamentali sono peggiori rispetto ai paesi dell’euro, e alla Germania la cui politica mercantilista con un attivo di bilancia dei pagamenti stile cinese, condanna tutti gli altri alla questua? C’è una logica in questa follia?

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