La lunga campagna elettorale per le presidenziali del 2026 in Colombia è già iniziata, ed è iniziata in un clima a dir poco da guerra civile. I candidati a sfidare l’attuale presidente, il socialista Gustavo Petro, si stanno già facendo avanti ma uno di loro, il 39 enne senatore Miguel Uribe, è stato vittima di un attentato sabato 7 giugno. Durante un comizio a Bogotà Uribe è stato raggiunto da tre colpi di pistola, di cui due alla testa: è tuttora ricoverato in condizioni critiche, ma non è in pericolo di vita. Il senatore è il leader del Centro Democratico, uno dei partiti di opposizione, ma ancora non è chiaro se l’attentatore, che al momento sembra essere un 14 enne arrestato dalla polizia, abbia agito per moventi politici o per altri motivi, magari legati alla criminalità organizzata e al narcotraffico. Resta il fatto che il clima da qualche tempo in Colombia è pesantissimo, tanto che la stampa sudamericana lo sta paragonando a quello brutale a cavallo tra anni 80 e 90, cioè l’epoca di Pablo Escobar.
L’attentato a Miguel Uribe, oppositore del presidente Petro
Il Centro Democratico è un partito fondato dall’ex presidente Alvaro Uribe, in carica dal 2002 al 2010 e le cui campagne elettorali sono state finanziate dal famoso cartello di Medellìn. Pur essendo avvocato di professione e dunque uomo di legge, il liberale fu grande alleato dello stesso Pablo Escobar e la sua esperienza politica è stata perciò più che controversa. Oggi il suo partito è tra i grandi oppositori di Petro, e molti imputano proprio all’attuale presidente, in carica dal 2022, il clima di tensione: Petro infatti ha condannato l’attentato di sabato scorso ma volutamente non ha citato la vittima, Miguel Uribe, sostenendo però che “curiosamente la protezione del senatore quel giorno è stata ridotta da 7 a 3 bodyguard”. Il presidente starebbe incentivando la polarizzazione del dibattito pubblico, aizzando i propri sostenitori e secondo alcuni soffocando il dissenso, tanto che il suo indice di popolarità è bassissimo. Tuttavia gli va riconosciuta invece una grande spinta riformista, soprattutto su temi progressisti come la giustizia, la salute, il lavoro, l’ambiente e la previdenza sociale. Molte di queste riforme però sono ancora ferme, tanto che l’anno scorso il presidente si è trovato di fatto costretto, per sbloccare la situazione, a proporre una Assemblea Costituente, ma anche questo progetto sta incontrando parecchie resistenze.
L’indice di povertà e l’impatto sul Pil della crisi dei migranti
Ecco perché la violenza di questa fase (il 10 giugno altri scontri armati hanno provocato 7 morti e 28 feriti) sembra piuttosto da attribuire ad una oligarchia reazionaria che vuole mantenere lo status quo in un Paese dove il tasso di povertà è secondo in Sudamerica solo a quelli di Venezuela e Argentina, oscillando tra il 30 e il 40%, con la povertà estrema che riguarda il 10-12% della popolazione. Il Paese ora deve anche affrontare le dure politiche anti-immigrazione di Trump: negli Usa vivono 200.000 colombiani e sono praticamente tutti irregolari, ma i soldi che spediscono a casa rappresentano quasi il 3% del Pil colombiano, un valore che ora è a rischio a causa degli arresti e dei rimpatri ordinati dalla Casa Bianca. Petro però ha reagito prima rispondendo a muso duro a Trump, e poi tentando nuove strade per salvaguardare un’economia da sempre troppo legata agli Stati Uniti e al dollaro. L’alternativa oggi si chiama Via della Seta e dunque Cina, diventato ormai il partner di riferimento di tanti Paesi sudamericani, ad incominciare dal Brasile. All’appello della Belt and Road Initiative mancava praticamente solo Bogotà, che però poche settimane fa ha finalmente aderito formalmente, irritando non poco lo storico – ma oggi ostile – partner nordamericano.
Il nuovo asse con la Cina
Il Sudamerica ha incassato dal presidente cinese Xi Jinping la promessa di 10 miliardi di investimenti per lo sviluppo dell’America Latina e dei Caraibi, e Washington non l’ha presa bene: “Gli Stati Uniti si opporranno energicamente ai recenti progetti e ai prossimi esborsi da parte della Banca Interamericana di Sviluppo e di altre istituzioni finanziarie internazionali a favore delle società statali e controllate dal governo cinese in Colombia”, ha scritto la Casa Bianca su X. Insomma Gustavo Petro, nonostante le sue più che condivisibili intenzioni riformistiche, si trova tra due fuochi: il braccio di ferro internazionale con Trump e le crescenti tensioni interne, dovute ad una guerra col narcotraffico che ancora non si è effettivamente chiusa.