Un marchio leggendario del lusso torna sotto bandiera russa. Gemfields Group ha ceduto Fabergé, icona mondiale della gioielleria e creatrice delle celebri uova imperiali, a Smg Capital, fondo di venture capital dell’imprenditore tech Sergei Mosunov, per 50 milioni di dollari.
La cessione, che sarà completata entro fine mese, prevede 45 milioni subito e 5 milioni in royalty trimestrali. Per Gemfields, società mineraria britannica specializzata in smeraldi e rubini, l’operazione segna la chiusura di un capitolo strategico aperto nel 2012 con l’acquisizione della maison per valorizzare le proprie gemme. “Segna la fine di un’epoca per l’azienda – ha dichiarato il ceo Sean Gilbertson –. Gemfields si presenta ora come un gruppo più snello e focalizzato”.
La crisi che ha spinto alla vendita
Il passo indietro di Gemfields non è arrivato per caso. Negli ultimi dodici mesi le azioni del gruppo sono crollate di quasi il 50%, colpite da due fattori: il rallentamento globale del mercato del lusso e i disordini in Mozambico, che hanno compromesso l’estrazione di rubini.
Nel 2024 i ricavi sono scesi del 19%, a 213 milioni di dollari, con perdite per 100,4 milioni. La vendita di Fabergé è quindi parte di una strategia di “cura dimagrante” per concentrare risorse sulle miniere in Mozambico e Zambia.
Le uova Fabergé tornano russe: un ritorno alle radici
Mosunov, 42 anni, è tutt’altro che un acquirente qualsiasi. Residente da anni nel Regno Unito, è partner del fondo The Garage Syndicate e ha investito in aziende come Klarna, oltre a progetti all’incrocio tra genetica e intelligenza artificiale. Ora, con Smg Capital, porta Fabergé di nuovo in orbita russa. “È un grande onore diventare custode di un marchio così eccezionale e riconosciuto a livello globale”, ha commentato l’imprenditore.
L’operazione non è soltanto un passaggio di proprietà, ma un potenziale cambio di visione. Mosunov, con il suo background nel tech e nei venture capital, potrebbe cercare di fondere l’eredità storica di Fabergé con strategie digitali e nuovi mercati. Ma il rischio è che un’icona dell’arte orafa diventi solo un brand da sfruttare commercialmente. L’opportunità è invece quella di riportare le uova Fabergé, simbolo di un lusso irripetibile, al centro della scena internazionale.
Come recita un vecchio detto tra collezionisti: “L’Europa ha il Rinascimento, la Russia ha Fabergé”. Ora la palla – o meglio, l’uovo – è nelle mani di un moderno tecno-zar.
La storia di Fabergé: dalla corte degli zar alla rivoluzione
Fondata a San Pietroburgo nel 1842 da Gustav Fabergé, la maison raggiunse la fama mondiale con il figlio Peter Carl Fabergé, che tra il 1885 e il 1916 creò circa 50 uova imperiali per gli zar Alessandro III e Nicola II. Il primo, commissionato da Alessandro III per la zarina Marija, conteneva un tuorlo d’oro con all’interno una gallina smaltata. Il successo fu tale che la tradizione proseguì ogni anno, con Nicola II che arrivò a commissionare due uova a Pasqua: uno per la madre e uno per la moglie Aleksandra.
In oro, platino e pietre preziose, queste opere d’arte sono sopravvissute in oltre 40 esemplari, custoditi in musei e collezioni private, con una decina al Cremlino.
Dopo la Rivoluzione d’Ottobre del 1917, i laboratori Fabergé furono confiscati dai bolscevichi, e la famiglia fuggì all’estero. Il marchio conobbe varie proprietà: nel 1989 fu acquistato da Unilever per 1,5 miliardi di dollari, poi tornò a discendenti della famiglia e, nel 2009, venne rilanciato con nuove collezioni di gioielli e orologi.
Gemfields lo rilevò nel 2012, ma l’integrazione con il core business minerario non portò i risultati attesi. Ora, la missione di Mosunov sarà rilanciare un brand che, pur universalmente noto, rischia di restare confinato nella storia.