Mancano due giorni al faccia a faccia più atteso del 2025. Donald Trump e Vladimir Putin si vedranno il 15 agosto alla base militare di Elmendorf-Richardson, a meno di dieci chilometri da Anchorage, Alaska. Una location scelta per ragioni di sicurezza, anche se la Casa Bianca avrebbe preferito evitare l’immagine di un presidente russo accolto in un presidio militare americano.
Per Trump, spiegano i suoi portavoce, sarà un “esercizio di ascolto”. Per Kiev, è già una “vittoria personale” del Cremlino.
Zelensky è categorico: “Non cedo il Donbass”
Per Volodymyr Zelensky il vertice in Alaska non è un’opportunità, ma un campanello d’allarme. “Un dialogo bilaterale Usa-Russia può essere importante, ma nulla sull’Ucraina può essere deciso senza di noi“, avverte, mettendo in chiaro che qualunque compromesso che escluda Kiev sarebbe inaccettabile. Il presidente ucraino respinge con fermezza ogni ipotesi di ritiro dal Donbass: “Cedere territori senza garanzie di sicurezza aprirebbe la strada a nuove aggressioni e persino a una terza guerra”.
Sul tavolo, secondo indiscrezioni diplomatiche, ci sarebbe un’offerta che Donald Trump potrebbe presentare: l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea in cambio della rinuncia ad alcune aree sotto controllo russo. Ma l’idea si scontra con due ostacoli interni all’Ue, il veto del premier ungherese Viktor Orbán e del leader slovacco Robert Fico, e con la realtà militare sul terreno.
Proprio mentre si parla di pace, il Donbass brucia. Mosca stringe la morsa intorno a Pokrovsk, snodo logistico cruciale, con oltre 110.000 soldati schierati. Le forze russe hanno guadagnato dieci chilometri verso la strada Dobropillia-Kramatorsk, arteria vitale fino a poche settimane fa. “Il nemico avanza verso Kramatorsk e Druzhkivka”, denuncia l’ex comandante del battaglione Azov Bogdan Krotevyc.
Zelensky, nel suo discorso serale, avverte che l’esercito si prepara a un’offensiva russa simultanea in tre direzioni: Zaporizhia, Pokrovsk e Novopavlivka. Un quadro che rende ancora più fragile la posizione negoziale di Kiev e alimenta il timore che un accordo siglato sopra la sua testa possa trasformarsi in una resa mascherata.
Oggi telefonata Trump-Zelensky
Oggi Trump partecipa a una videoconferenza con Zelensky e i leader europei, tra cui Emmanuel Macron, Friedrich Merz, Keir Starmer e Giorgia Meloni, per ribadire che “il destino dell’Ucraina si decide solo con l’Ucraina”. Marco Rubio, Segretario di Stato americano, minimizza i timori: “non è una vittoria per il Cremlino. Trump vuole guardare Putin negli occhi e valutare la situazione”.
La Casa Bianca, intanto, evita di commentare l’ipotesi di un “scambio di territori”, ma non smentisce che il tema possa emergere.
Dietro le dichiarazioni pubbliche di fermezza, circolano indiscrezioni su una possibile apertura di Zelensky nell’accettare un’intesa che lasci sotto controllo russo i territori già occupati (Crimea, Lugansk, Donetsk, Zaporizhzhia, Kherson) in cambio di solide garanzie di sicurezza e di un piano europeo di ricostruzione. Una mossa che, secondo Kiev, eviterebbe accordi separati tra Trump e Putin.
Secondo gli analisti, il leader del Cremlino arriva al summit in vantaggio sapendo che Trump punta a un accordo e può sfruttare la leva economica per attrarre il tycoon, come già nel 2018 a Helsinki. John Bolton, ex consigliere di Trump, avverte, “Putin proverà a sedurlo con proposte economiche e un ritorno a relazioni più distese”.
Il timore, in Europa, è che un incontro a porte chiuse – solo con interpreti – possa replicare lo scenario di sette anni fa, quando il bilancio del vertice finì per favorire il Cremlino.
Dall’Europa, la voce di Orbán: “La Russia ha già vinto la guerra2
Non tutti nel Vecchio Continente marceranno uniti alla vigilia del vertice in Alaska. Viktor Orbán, premier ungherese e storico alleato di Vladimir Putin, rompe apertamente il fronte europeo: “Gli ucraini hanno perso la guerra. La Russia ha vinto” ha dichiarato in un’intervista al canale YouTube Patriot, rilanciata dalla Reuters.
Orbán, che ha mantenuto legami stretti con Mosca anche dopo l’invasione del 2022, è stato l’unico capo di governo dell’Ue a non firmare la dichiarazione comune che riaffermava il diritto di Kiev a decidere il proprio futuro. “Parliamo come se fossimo ancora in guerra aperta, ma non è così. L’unica domanda è quando e in quali circostanze l’Occidente ammetterà che ciò è successo e quali saranno le conseguenze”, ha aggiunto, suggerendo che per l’Ucraina il tempo per ribaltare l’esito del conflitto sia ormai scaduto.
Parole che pesano alla vigilia di un vertice che potrebbe ridefinire gli equilibri geopolitici e lasciare Kiev più sola che mai.