Archiviata la stretta di mano in Alaska, è partita la raffica di reazioni. Subito dopo il summit con Vladimir Putin, Donald Trump ha impugnato il telefono e informato Volodymyr Zelensky e i leader europei. Una call durata un’ora e mezza, alla quale hanno partecipato, oltre alla premier Giorgia Meloni, Emmanuel Macron, Friedrich Merz, Keir Starmer, Alexander Stubb, Karol Nawrocki, Ursula von der Leyen e il segretario generale della Nato, Mark Rutte.
Da Mosca, il consigliere di Putin Yuri Ushakov ha raffreddato gli entusiasmi: “Trump discuterà con gli alleati, poi decideremo cosa fare”. Nessuna data fissata, nessun impegno vincolante. Intanto Putin, nel giorno del vertice, ha firmato un decreto che potrebbe consentire a Exxon Mobil di rientrare nel progetto Sakhalin-1: un segnale non casuale, che intreccia diplomazia e affari.
La reazione politica tra prudenza e scetticismo
Le cancellerie restano caute. A Oslo il ministro degli Esteri norvegese Espen Barth Eide ha ribadito che “la pressione sulla Russia va aumentata, non ridotta”. All’Onu António Guterres ha rinnovato l’appello a un cessate il fuoco “immediato, completo e incondizionato”. In Italia, la premier Meloni mantiene il profilo istituzionale, mentre Matteo Salvini si è spinto a parlare di “passo in avanti verso la pace”, accogliendo lo spirito distensivo del faccia a faccia. Più prudente Antonio Tajani: “C’è ancora molto da lavorare, ma l’Italia è pronta a collaborare a un vertice trilaterale”.
Il presidente francese Emmanuel Macron ha ricordato come “da trent’anni la Russia non onora i suoi impegni”, mentre il premier britannico Keir Starmer ha definito “positiva” l’apertura Usa a garanzie di sicurezza, ma ha avvertito: “Il percorso verso la pace non può essere deciso senza Zelensky”
Più tagliente l’analisi di John Bolton, ex consigliere per la sicurezza nazionale di Trump: “Il presidente americano non ha perso, ma Putin ha chiaramente vinto. Ha ottenuto legittimazione, niente sanzioni nuove, nessun cessate il fuoco. Trump è uscito stanco, senza nulla di concreto in mano”.
L’Europa si compatta: sostegno a Kiev e no ai veti di Mosca
La prima risposta al vertice di Anchorage è arrivata dall’Europa. In una dichiarazione congiunta, Ursula von der Leyen, Emmanuel Macron, Giorgia Meloni, Friedrich Merz, Keir Starmer, Alexander Stubb, Donald Tusk e Antonio Costa hanno accolto “con favore gli sforzi del presidente Trump per fermare le uccisioni in Ucraina, porre fine alla guerra di aggressione della Russia e raggiungere una pace giusta e duratura”.
Il documento sottolinea che 2il passo successivo deve ora essere un ulteriore dialogo con il presidente Zelensky“, con l’impegno a lavorare per un vertice trilaterale sotto l’ombrello europeo. Viene ribadita la necessità di garanzie di sicurezza “ferree” per Kiev, senza alcun veto russo sul cammino verso Ue e Nato, e la volontà di mantenere le sanzioni fino a quando non sarà raggiunta “una pace giusta e duratura”.
Toni durissimi dall’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas: “La realtà è che la Russia non ha alcuna intenzione di porre fine a questa guerra. Anche mentre si teneva il vertice, Mosca lanciava nuovi attacchi. Putin continua a trascinare i negoziati sperando di farla franca. La vera causa della guerra è la sua politica estera imperialista”.
A rincarare la dose ci ha pensato il ministro degli Esteri estone Margus Tsahkna: “Putin non accetta ancora il collasso dell’Unione Sovietica. I suoi obiettivi restano invariati: serve più pressione e più sostegno a Kiev”. Dalla Lituania, il presidente Gitanas Nauseda ha appoggiato la linea Trump sulle garanzie di sicurezza ma avvertito: “Poiché la Russia non sembra disposta a fermarsi, bisogna aumentare la pressione e fermare l’uccisione di civili innocenti prima di parlare di pace”.
I media: dal Nobel mancato al “regalo a Putin”
Se sul piano politico i commenti oscillano tra prudenza e cautela, sul fronte mediatico la bocciatura è quasi unanime. Il New York Times ironizza: “Così si allontana il Nobel per la pace”. La CNN parla di summit “senza un accordo concreto”, mentre il Washington Post lo definisce “un regalo a Putin”, utile al Cremlino per presentarsi come vittima delle minacce ucraine.
Il Financial Times riconosce “progressi”, ma nulla di più. In Europa il Guardian sottolinea l’assenza di dettagli: “Trump, che di solito non resiste a parlare a lungo, ha lasciato più domande che risposte”. La BBC lo descrive “meno sorridente del solito, non felice per non aver ottenuto il cessate il fuoco”. In Francia, Le Monde concede un’apertura: “Uno stato di progresso, ma niente accordo”.
Durissimo invece il Kyiv Independent: “Summit disgustoso, vergognoso, inutile. Putin trattato da re, Zelensky umiliato. Trump non capisce che l’Ucraina non è per Putin un affare, ma una missione”.
Sui social ironia e delusione
Sui social il verdetto è stato spietato. Aaron Rupar, giornalista politico seguito da quasi un milione di utenti su X, ha liquidato l’incontro con una battuta diventata virale: “Sarebbe bastata una email”. Gli utenti hanno rincarato: “O un’emoji”, “O un messaggio su Signal”. La rete fotografa così la sensazione dominante: tanto rumore per nulla.
Ultimo aggiornamento ore 15,05