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Le fave, pericolo per alcuni, miniera di salute per i più: la ricetta delle orecchiette dello chef Pietro Zito, come Natura comanda

FIRSTonline

Se per 400 mila italiani sono un vero e proprio incubo per la loro salute a causa del malfunzionamento di un enzima  che può comportare una anemia acuta non immune, ovvero la distruzione improvvisa dei globuli rossi, fenomeno noto come favismo, per milioni di persone  in Europea meridionale e settentrionale, dell’Asia orientale, dell’America Latina e del Nord Africa le fave rappresentano storicamente  un alimento principe dell’alimentazione umana e animale, e in agricoltura una pratica fondamentale per arricchire di azoto il terreno delle piantagioni. Nonché utilizzate in erboristeria dove le foglie essiccate della pianta sono utilizzate come rimedio naturale per stimolare la diuresi.

Una miniera salutare: ferro, potassio, magnesio, rame, selenio vitamine A, B, C

Ricche di ferro, potassio, magnesio, rame, selenio e moltissime vitamine, soprattutto acido ascorbico, le fave rivelano in verità qualità inaspettate per il benessere del nostro organismo, fatta eccezione ovviamente per la popolazione sofferente di favismo.

Sul sito dell’Humanitas le proprietà delle fave vengono esaltate in tutta la loro funzionalità alimentare e nutraceutica: “Le fave si legge – aiutano a favorire il buon funzionamento dell’intestino apportando una buona quantità di fibre, che possono inoltre aiutare a contrastare malattie cardiovascolari e diabete controllando l’assorbimento intestinale di colesterolo e zuccheri, aiutando così a ridurre colesterolemia e glicemia. Le vitamine del gruppo B favoriscono il buon funzionamento del metabolismo, mentre la vitamina A e la vitamina C forniscono una protezione antiossidante. La vitamina C aiuta inoltre a rispondere efficacemente alle infezioni. Fra i minerali, fosforo e calcio sono alleati della salute di ossa e denti, mentre il ferro è importante per la produzione dei globuli rossi. Gli isoflavoni potrebbero aiutare a ridurre il rischio di cancro al seno, mentre i fitosteroli aiutano ad abbassare i livelli di colesterolo”

Soprattutto in questi ultimi anni, a far aumentare l’interesse dei consumatori per le fave è la notizia di una recente scoperta: le fave sono una fonte di levodopa, farmaco d’elezione nella lotta contro il morbo di Parkinson.

Per essere più specifici 100 g di fave secche, sgusciate e crude contengono: 11,3 g di acqua, 27,2 g di proteine, 4,9 g di zuccheri solubili, 3 g di lipidi, 7 g di fibre, 4 mg di vitamina C, 2,6 mg di niacina, 0,5 mg di tiamina, 0,28 mg di riboflavina, 14,4 µg di vitamina A (retinolo equivalente), 420 mg di fosforo, 90 mg di calcio, 5 mg di ferro.

In un confronto con i fagioli, altro alimento fondamentale storico dell’umanità le fave qualitativamente vincono in termini proteici (anche se quantitativamente inferiori): contenendo il 5% di proteine, il 5% di fibre, il 4,5% di carboidrati e pochissimi grassi (0,4%) mentre il restante 84 % è costituito da acqua.

La loro è una lunga storia: originarie dell’Africa e della Persia le fave vennero introdotte nel mediterraneo dalle vie commerciali. Loro diffusione fu pressoché immediata prima da parte dei greci e poi da parte dei romani. Anche a quei tempi i pareri erano discordi: inizialmente i Greci sarebbero arrivati addirittura a proibirne il consumo. In un’epigrafe del V secolo a. C., rinvenuta in un santuario di Rodi, si ordinava ai fedeli di astenersi “dagli afrodisiaci, dalle fave, dai cuori [degli animali]” per mantenere uno stato di purezza.

Una lunga storia, dai Greci che le ritenevano un contatto con il mondo dei morti ai romani che le consideravano di buon auspicio

Decisione influenzata con tutta probabilità dalla scuola Pitagorica. Pitagora, infatti, se ne teneva ben lontano convinto che le fave intorpidissero la mente e provocassero visioni e sogni inquieti contrastando quel percorso filosofica di purezza che raccomandava ai suoi allievi. Sempre in Grecia si riteneva che la pianta della fava, con i suoi fiori rigati di nero mettesse in comunicazione l’Ade con il mondo dei vivi e per questo veniva utilizzata nei rituali del culto dei morti.

Per i romani invece era tutt’altra storia: le fave, in determinate occasioni, erano segno di buon auspicio, come durante le celebrazioni delle calende di luglio in cui venivano offerte agli Dei e venivano usate per rendere omaggio a due divinità che incarnavano l’allegria e la liceità, Bacco il dio del vino e dei misteri, simbolo dell’ebbrezza, della sensualità e del vitalismo più sfrenato, e Mercurio, protettore del commercio, dei viaggiatori, dei ladri, dell’eloquenza, dell’atletica, delle trasformazioni di ogni tipo, della destrezza. E durante le celebrazioni delle calende di luglio venivano offerte agli Dei.

Ma il vero e proprio sviluppo delle fave nell’alimentazione umana si ebbe nel medioevo secolo sconvolto da grandi calamità ed epidemie che recarono un duro colpo alla agricoltura. Per questo si sviluppò quella che è stata definita una agricoltura di autosufficienza: i contadini avviarono una intensa coltivazione di fave che divennero la loro principale fonte di sopravvivenza al punto che la farina di veniva miscelata con quella ben più cara e preziosa di grano per realizzare il pane

Rivalutate nei tempi moderni nelle cucine vegetariane e vegane, protagoniste del mondo dei Poke

In tempi moderni le umili fave hanno conosciuto un nuovo rinascimento nella cucina vegetariana e soprattutto vegana. Una ricerca, a livello mondiale di Barry Callebaut attesta che i Millennial e la Generazione Z (individui tra i 18 e i 44 anni) adottano sempre più diete a base vegetale rispetto ai “figli del boom demografico” nati negli anni fra il Dopoguerra e i Settanta. La ricerca conferma che il 40% dei consumatori mondiali nel 2021 ha inserito nelle proprie abitudini più prodotti a base vegetale e quasi la metà prevede di aumentarli in futuro. E nella moderna ristorazione Poké non può mai mancare un piatto di fave.

E allora perché non approfittare della stagione corrente per fare un carico di benessere in cucina cucinando un piatto di fave?

In Puglia c’è un ristorante il cui nome è tutto un programma: “Antichi sapori” in provincia di Andria, la città dell’olio extravergine di oliva con la sua tipica “Coratina”, del vino rosso di uva Nero di Troia e del vino rosato di uva Bombino Nero, della famosa burrata, inventata nei primi anni del 1900 da Lorenzo Bianchino Chieppa.

Gli Antichi sapori di Pietro Zito, il tempio dei sapori del territorio e delle vecchie tradizioni

Ai fornelli regna dal 1992 Pietro Zito, un ex perito agrario, orgogliosamente figlio di contadini, che è riuscito a trasformare il suo locale nella piccola borgata di Montegrosso, lontana dalle rotte tradizionali del turismo, in un tempio gourmet delle radici e dell’identità del territorio, ma in questo caso varrebbe bene dire del terreno, perché qui regna quello che viene “solo calpestato”. E da qui è partita la riscoperta delle erbe selvatiche valorizzando vecchie tradizioni: con semplicità ma anche con grande sapienza culinaria.  “Montegrosso, dove io sono nato – dice – è una frazione di Andria dove vivono solo i contadini. Nessuno credeva nella mia avventura. Qui non si passa per caso, non c’è nessuna grande attrazione da visitare: ad Antichi Sapori si viene solo perché si decide di farlo. Si fanno un bel po’ di chilometri per vivere un’emozione. Rievocando il primo giorno di apertura Zito ricorda: “A tavola il mio primo cliente è stato il conte Onofrio Spagnoletti Zeuli. Dopo aver elencato tutti i primi piatti disponibili ecco che mi chiede se c’era qualcos’altro. Ero in grande difficoltà e così mi invento il più banale dei primi piatti: orecchiette con rucola selvatica! Un piatto che, in quegli anni, nel menu di qualunque ristorante della zona avrebbe fatto ridere, invece, loro sceglie proprio quello. A quel punto mio padre va di corsa nei campi a cercare la rucola selvatica, mia madre si mette ad impastare le orecchiette, è fatta. Da allora non abbiamo mai smesso di andare in quella direzione”. Orecchiette – è il caso di dire – come natura comanda.

La ricetta delle orecchiette alle erbe selvatiche

Ingredienti

400 g di Orecchiette

– 500 g di fave secche senza buccia

– 200 g di olive “Cultivar Coratina”

– Olio extra vergine d’oliva

– Sale, pepe bianco

– 1 carota

– 1 patata

– 4 pomodorini al filo

– 1 costa di sedano

– 50 g di ricotta di pecora stagionata

Preparazione

Per il purè: tenere una notte intera a bagno le fave secche, quindi, sciacquarle e farle bollire in acqua salata per due ore con la patata, il sedano, la carota, i pomodorini, olio extra vergine di oliva e una presa di pepe bianco.

Fare raffreddare il tutto e poi passarlo al setaccio.

Portare a bollore una pentola con abbondante acqua, salare e lessare le orecchiette per 15 minuti.

Intanto, abbrustolire le olive nere da olio, private del nocciolo.

Quando le orecchiette saranno cotte e ancora al dente, scolarle, unirle al purè di fave e saltarle in padella.

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Inpiattamento

Servire aggiungendo qualche oliva denocciolata arrostita alla brace, scaglie di ricotta di pecora stagionata, un filo di olio extra vergine di oliva crudo.

Antichi Sapori
Piazza Sant’Isidoro, 10, 76123
Montegrosso (BT)

+39 0883569529

info@antichisapori.biz

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