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Nuovo digitale terrestre: la tv è da rottamare? Per la Rai nuove grane

FIRSTonline

Nei giorni scorsi ha sollevato un improvviso clamore mediatico la notizia che nella Legge di Bilancio attualmente in discussione in Parlamento si parla della possibilità di dover rottamare i televisori che non rispondono ai criteri definiti da tempo dalle disposizioni comunitarie in materia di redistribuzione delle frequenze radiotelevisive. Cerchiamo di capire cosa si cela dietro questo apparente stupore.

In economia raramente si realizza il gioco a somma zero, dove i partecipanti ci rimettono o guadagnano in parti uguali e il risultato è equivalente. In questa Legge, come è sempre avvenuto, ci sono soggetti che intravvedono opportunità ed altri che, al contrario, leggono minacce. E ancora, come spesso avviene, legittime attività di rappresentazione degli interessi intervengono in modo pesante cercando di portare acqua al loro mulino.

Ci occupiamo ora di quella parte della Legge apparentemente rivolta ad un solo comparto del sistema produttivo nazionale, il sistema delle telecomunicazioni, ma sostanzialmente interessata a tutti i settori dell’economia e della cultura nazionale. Ci riferiamo, in particolare l’art. 89, laddove si scrive dell’uso efficiente dello spettro e della transizione al 5G e dove si mettono in campo impegni di spesa considerevoli: 2500 milioni di euro derivanti dalla vendita delle frequenze ed utilizzabili entro il 2022.

Di questo argomento First online si è occupato in un momento non sospetto: e proprio in quella occasione era stata chiaramente indicata la road map che sarebbe guidato la transizione dell’attuale sistema digitale terrestre, DTT, ad un nuovo modello dove si prevede l’utilizzo di diverse frequenze, il cosiddetto DVb-T2 il digitale terrestre di seconda generazione, una tecnologia considerata “salvaspazio’. che utilizza il codec HEVC. Le disposizioni comunitarie che hanno dato luogo a questo direttiva, che impegna tutti gli stati membri, sono sorte in relazione alla necessità di liberare risorse, le frequenze, a favore della diffusione di nuove tecnologie utili allo sviluppo produttivo, in particolare il 5G, ormai visto e percepito come la panacea per tutti i problemi.

TELEVISORI GIA’ IN VENDITA CON IL NUOVO STANDARD

Ora succede che, all’improvviso, nonostante che tutto fosse noto da tempo a tutti, sembra quasi una sorpresa dover leggere che buona parte dell’intere filiera di distribuzione e di ricezione dei segnali radiotelevisivi, in un tempo e con calendario determinato, dovrà essere sostituito o aggiornato. Il piano prevede anche la riforma completa della numerazione, il cosiddetto Lcn che è tuttora oggetto di contenzioso, che indica la posizione sul telecomando delle varie reti. La sostanza è che più del 90% dei televisori attualmente nelle case degli italiani – secondo alcune stime – non saranno in grado di ricevere le nuove trasmissioni e richiederanno un decoder aggiuntivo o la sostituzione dell’intero apparecchio.

Il Mise, nel pomeriggio dello scorso mercoledì, si è dovuto affrettare a chiarire, per quanto interessa prevalentemente i consumatori, che la sostituzione dei televisori o l’integrazione con un nuovo decoder dei televisori avverrà in tempi determinati: “Lo switch off con la liberazione della banda 700Mhz avverrà con una transizione di due anni, dal 2020 al 2022, anche se il governo ha iniziato il percorso già lo scorso anno quando ha previsto che dal primo gennaio del 2017 fosse obbligatoria la commercializzazione esclusivamente di televisori con tecnologia T2-HEVC al fine di avviare con largo anticipo il naturale ricambio degli apparecchi.”

In questo modo si è voluto tranquillizzare quanti già intravvedevano la necessità di dover comprare un nuovo Tv, magari dopo appena qualche anno dall’acquisto del precedente. In effetti, il periodo medio di obsolescenza – stimato in cinque anni – di un apparato di ricezione dovrebbe coprire bene il raggio di applicazione delle disposizioni di Bruxelles e quindi i consumatori (con le loro associazioni già sul piede di guerra) possono stare tranquilli. Con buona pace per ognuno, per questo aspetto, apparentemente, il gioco è a somma zero: ci guadagnano tutti. Rimane dunque alquanto misterioso perché è stata letta con molta sorpresa, in buona parte immotivata, una mutazione in corso ben nota a tutti, broadcaster e operatori Tlc.

NUOVI PROBLEMI PER LA RAI

Invece, a ben leggere quanto scritto nell’art. 89, si intravvedono aree di conflitti non facilmente sanabili per gli interessi dei diversi soggetti in campo che meritano una certa attenzione. Anzitutto il primo tra questi: la Rai. Proprio in questi giorni è via di definizione il nuovo contratto di servizio (attualmente in visione in Vigilanza) ed uno dei punti cruciali della sua efficacia è il rapporto tra costi e prestazioni che si richiedono al Servizio pubblico radiotelevisivo (nuovi canali, maggiore impulso al digitale etc) laddove i primi sono elevati e le risorse cui attingere scarse. Nel merito della nuova Legge, appare evidente che in capo alla Rai verranno riversati oneri di ammodernamento e aggiornamento degli impianti a fronte di disponibilità di investimento assai limitate. Per tornare alle note leggi della fisica, laddove si suppone che il vuoto non esiste, quando uno spazio viene lasciato libero, altri ne usufruiscono. Attenzione: non si tratta solo di potenza degli impianti, di altezza delle torri, di redistribuzione dei trasmettitori sul territorio al fine di garantire la copertura al 100% del territorio, quanto invece di ruolo, di essenza, di natura primordiale del Servizio pubblico radiotelevisivo.

Quest’ultimo, notoriamente, rappresenta in modo prevalente ed evidente quella modalità di fruizione della televisione comunemente definita “lineare” mentre nel panorama dell’offerta audiovisiva si afferma progressivamente quella definita “non lineare”, cioè quella dove i contenuti possono essere usufruiti in tempi e modalità personalizzata e, eventualmente, a pagamento.

SUL CAMPO DI BATTAGLIA ANCHE I GIGANTI DEL WEB

All’orizzonte di questa rivoluzione dell’etere dunque appare questo il vero campo di battaglia dove i contendenti sono da un lato i broadcaster tradizionali come Rai, Mediaset e La7; dall’altro, gli operatori Tlc vedono, anche attraverso l’utilizzo delle nuove frequenze lasciate libere con la nuova ripartizione, una maggiore capacità e migliore qualità di offerta di prodotti audiovisivi. Ma anche per Vodafone, Tim, Wind3 o Fastweb si aprono nuovi scenari. “Il nemico è alle porte, i vari Amazon, Netflix o Apple TV sono dietro l’angolo” sostengono coloro che temono l’avvento della nuova tecnologia di trasmissione. L’interrogativo lecito da porre dunque non è tanto se e come agli utenti verrà imposto un acquisto di un nuovo Tv, presto o tardi, quanto invece se lo sviluppo del 5G avvantaggia o meno quali modelli di uso della televisione.

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