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Referendum, quattro buone ragioni per votare SI’

C’è chi dice che il referendum sulla riforma costituzionale del 4 dicembre abbia per l’Italia la stessa valenza politica del referendum del ‘46 su monarchia o repubblica. Per chi non ha vissuto direttamente quella campagna referendaria, altrettanto infuocata come l’attuale, converrà lasciare il giudizio agli storici.

Anche stavolta i colpi bassi e le cadute di stile non sono mancati, ma bisogna riconoscere che la campagna referendaria è stata un’occasione di alta intensità emotiva e di grande partecipazione democratica, che ha avuto il pregio di portare allo scoperto due diverse visioni dell’Italia: quella di chi prova a rinnovare il Paese nei fatti e quella di chi ha paura e trova sempre una scusa per non cambiare mai.

Due cose però sono fin da ora certe. La prima è che il referendum del 4 dicembre è realmente un crocevia decisivo per la vita del Paese che, in un caso o nell’altro, lascerà a lungo traccia di sé. La seconda è che, di fronte ad avvenimenti di questa portata, non si può nascondere la testa sotto la sabbia e un giornale, di carta o online che sia, o ha un’anima o non è. Ma se ce l’ha, deve avere il coraggio di svelarla.

La finta neutralità, l’ipocrisia del cerchiobottismo e la maschera di un’impossibile obiettività, che sono tutt’altra cosa rispetto alle ferree regole dell’affidabilità e della correttezza professionale, non sono nel Dna di FIRSTonline. La nostra identità è tutt’altra e si fonda sull’indipendenza di giudizio, sull’anticonformismo della ragione e sulla passione per la modernizzazione dell’Italia, nella ricerca quotidiana dell‘eccellenza e della qualità dell’informazione al servizio dei lettori.

Ecco perché non possiamo restare indifferenti di fronte al referendum ed ecco perché segnalare almeno quattro ragioni che consigliano di votare SI’ è per noi una testimonianza di limpido impegno civile e di doverosa trasparenza editoriale.  

1) SI’ A UNA BUONA RIFORMA CONTRO IL PERFETTISMO INCONCLUDENTE

La prima ragione che spinge a scegliere il SI’ poggia sui contenuti stessi della riforma costituzionale, che sono il cuore del referendum. Sarà anche vero che la riforma poteva essere scritta meglio, ma è sulla sostanza e non  sullo stile del testo che si vota e sulla sostanza non si possono eludere un paio di punti cruciali, che, andando all’osso, sono questi:  A) è meglio l’attuale bicameralismo paritario con l’inutile duplicazione delle funzioni delle due Camere o è meglio il suo superamento con la trasformazione del Senato e lo sveltimento del processo decisionale del Parlamento come propone la riforma?   B) su questioni di interesse nazionale (come l’energia, le infrastrutture o le regole del pubblico impiego: pensiamo alle norme contro i furbetti del cartellino) è giusto che torni lo Stato a decidere o bisogna lasciare il diritto di veto alle Regioni come prevede l’attuale Titolo V che la riforma vuole superare?

Certo, in un Parlamento meno bizzarro dell’attuale, si poteva fare meglio (e lo si potrà forse fare nella futura legislatura), ma togliamoci dalla testa una volta per tutte la falsa idea che esista una riforma costituzionale perfetta, che invece  non c’è e non ci sarà mai, perché ognuno ha una sua idea di riforma perfetta che è diversa da quella degli altri. Guardiamoci, dunque, dal perfettismo costituzionale, che è parente stretto dell’inconcludenza che per trent’anni ci ha fatto discutere di profonde riforme senza realizzarne mai una prima di adesso.

2) SI’ ALLA  MADRE DI TUTTE LE RIFORME PER NON ARRESTARE IL TRENO DEL CAMBIAMENTO 

Votare SI’ al referendum non vuol dire solo approvare una riforma costituzionale che va nella giusta direzione, ma approvare la madre di tutte le riforme che ancora mancano per modernizzare il Paese e per rispondere al malessere sociale che nasce dalla scarsa crescita economica e dalla ingiusta distribuzione dei redditi e delle opportunità  tra le classi sociali e soprattutto tra le diverse generazioni. Confermare la riforma con il voto popolare significa segnalare che gli italiani vogliono realmente il cambiamento e significa rafforzare tutta la strategia delle riforme, sia istituzionali che economiche, contro le rendite di posizione e contro i privilegi che ingessano il Paese. Ecco la controprova: se vincesse il NO, quali forze politiche potrebbero realisticamente riproporre riforme istituzionali che il popolo ha dimostrato di non gradire? Il treno del cambiamento passa adesso o chissà fra quanti decenni.

3) SI’ ALL A STABILITA’ DI GOVERNO CONTRO I GOVERNICCHI DEL PASSATO

Il quesito referendario di domenica riguarda i contenuti della riforma costituzionale ed è su questi che si vota, ma non si può essere così sprovveduti da ignorare gli effetti politici generali della riforma. Il SI’ dà indiscutibilmente stabilità al Governo (il che non esclude il cambio di qualche ministro rivelatosi inadeguato), il NO porta ineluttabilmente alle dimissioni del Presidente del Consiglio e del suo Governo. E’ andata così anche in Gran Bretagna dopo Brexit e non potrebbe essere diversamente. Non per la bizzarria di Matteo Renzi ma perché, di fronte alla bocciatura della madre delle sue riforme, il premier non potrebbe che tirarne le conclusioni, perché altrimenti dimostrerebbe di voler restare attaccato alla sua poltrona a dispetto del pronunciamento popolare: improponibile. Ma se Renzi e il Pd restassero fuori dal Governo, è del tutto illusorio credere che possa nascere una solida maggioranza alternativa, perché il fronte del NO, che è unito solo dall’ossessivo desiderio di rivincita contro Renzi, è diviso su tutto. Nascerebbe perciò un governicchio come in passato o, in extrema ratio e su invito del Capo dello Stato, un nuovo Governo Renzi ma enormemente indebolito, con tanti saluti alle riforme e con inevitabili effetti avversi sui mercati. Ognuno può naturalmente avere le idee che crede, ma è di questo che ha bisogno l’Italia in una fase economica internazionale così difficile?

4) SI’ ALLA STABILITA’ ECONOMICA CONTRO LE SIRENE DEL POPULISMO IN ITALIA E NEL MONDO

Se è vero che, partendo dai contenuti della riforma costituzionale, non si possono chiudere gli occhi di fronte agli effetti politici generali del referendum, ancor meno si può ignorare il contesto internazionale in cui si colloca la consultazione italiana. E non è un bel contesto. Da Brexit alla vittoria di Trump negli Usa fino alle elezioni in Austria, Olanda, Francia e Germania, le paure della globalizzazione, dell’immigrazione e della crisi economica stanno gonfiando le vele della protesta, che per comodità chiameremo populista e che, con accenti talvolta razzisti e xenofobi ma sempre anti-europeisti e demagogici come quella che in Italia unisce Salvini e Beppe Grillo, propone soluzioni semplicistiche e spesso insostenibili a problemi epocali molto complessi. 

Far vincere il SI’ non significa solo dimostrare che, nei momenti di massima difficoltà, l’Italia sa respingere il sonno della ragione che gonfia la montante protesta qualunquistica dell’intero Occidente  ma che il nostro Paese sa andare al cuore del malessere sociale spingendo l’acceleratore sulle vere riforme. Riforme che spesso dividono e che forse non distribuiscono un dividendo immediato a chi le fa, ma che sono l’unica strada per rimettere in moto la crescita economica, la cui debolezza è la fonte principale della protesta ma anche degli assalti della speculazione più selvaggia che, in caso di incertezza e instabilità politica, non mancheranno di prendere di mira la Borsa, le banche, i titoli di Stato e lo spread del nostro Paese. 

Se vincesse il No non arriverebbe l’Apocalisse, ma il conto da pagare sarebbe salato, salatissimo. Non si può far finta di non saperlo. Ma i guai si possono ancora evitare. Basta votare con la testa.

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