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Lo stop dell’export porta all’Eurostagnazione

Al di là dei decimali, del meno zero virgola due piuttosto che del più zero virgola uno, quello che il dato del Pil nel secondo trimestre ci dice è che l’economia italiana è in stagnazione. Ma  in stagnazione è sostanzialmente anche l’intera economia dell’area euro. Già il Belgio ha segnato un modesto +0,1% di variazione nel trimestre e risultati non eclatanti si attendono per gli altri grandi Paesi dai comunicati che saranno diffusi alla vigilia di ferragosto. 

Dietro l’indebolimento della congiuntura, in Italia come nel resto dell’eurozona, c’è un dato comune: la decelerazione delle esportazioni. All’interno del fermo dell’export c’è un doppio ordine di problemi.

Da un lato, c’è il rallentamento del commercio mondiale, anche di quello extra-europeo. Nel 2014 il ritmo di sviluppo del commercio mondiale cresce quanto il Pil del mondo. Prima della crisi il commercio mondiale aumentava ogni anno il doppio della crescita mondiale. Non è solo colpa dei nuovi focolai di tensioni geopolitiche, peraltro così vicini al nostro mare Mediterraneo.

E’, credo, soprattutto, il riflesso di una globalizzazione delle economie che è entrata in una nuova fase: una fase di maturità, dove le distanze tornano a contare e il “re-shoring”, il reimpatrio delle produzioni comincia ad assumere dimensioni significative per i Paesi che sanno stimolarlo, gli Usa in primis.

Dall’altro lato, il rallentamento del commercio estero è soprattutto un fatto intra-europeo. Se si aprono i database di Eurostat si scopre che nei dodici mesi terminanti a aprile 2014 le esportazioni verso i paesi partner dell’area euro sono, in miliardi euro, esattamente le stesse di un anno prima. Questo accade per l’Italia come pure per la Germania. Le esportazioni interne all’area della moneta unica sono ferme. E’ un dato preoccupante, specie se letto insieme alla pericolosa discesa dell’inflazione verso lo zero.

Le esportazioni vanno rilanciate, nel segmento extra-Ue, ma anche verso i più vicini mercati europei. Non è solo un problema italiano. E, accanto all’export, occorre che l’Europa attivi fonti interne di sviluppo, cominciando da piani di investimenti in infrastrutture. Il modello dell’export-led non basta più, neppure alla Germania. Tempo è di ragionare su una propulsione ibrida dell’economia del Vecchio Continente: insieme all’export-led ci serve un traino Europe-led.

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