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Mercati tra guerre, riarmo e rischi di nuova inflazione. Cosa fare? I suggerimenti dello strategist Fugnoli (Kairos)

Imagoeconomica

Dall’Ucraina al Medio Oriente, le tensioni geopolitiche hanno raggiunto uno dei livelli più alti dalla fine della seconda guerra mondiale. E mentre i venti di guerra soffiano sui mercati e sull’economia, è già cominciata una corsa globale al riarmo che proseguirà per molti anni a venire e che sui mercati si traduce in un aumento della volatilità. È di questi scenari che parla l’ultima puntata del podcast “Al 4° Piano” con Alessandro Fugnoli. Lo strategist di Kairos Partners SGR spiega infatti che tensioni geopolitiche, inflazione e banche centrali, influenzeranno profondamente gli investimenti, favorendo i bond brevi e settori azionari come quello minerario, energetico, militare, aerospaziale e tecnologico, che dovrebbero guadagnare peso nei portafogli. 

I mercati in tempo di guerra: cosa accadde durante la Seconda Guerra Mondiale

Come si comportano i mercati in tempo di guerra? Per spiegarlo Fugnoli parte da lontano, vale a dire dall’invasione della Polonia da parte della Germania a cui la borsa di New York reagì con tre giorni di forte rialzo. “La sola ipotesi di un ingresso in guerra degli Stati Uniti, in quel momento ancora remota, stimolò un’ondata di acquisti concentrata sui titoli industriali, in particolare quelli della meccanica e della siderurgia”, spiega lo strategist.

All’opposto, la borsa di Berlino toccò il suo massimo storico e iniziò a scendere nell’estate del 1941, quando con l’operazione Barbarossa la Germania attaccò l’Unione Sovietica. “Sembrava a molti, in quel momento, che l’offensiva tedesca in Europa fosse inarrestabile, ma la borsa intuì che la Germania aveva iniziato la sua parabola discendente. La borsa e le obbligazioni del Reich continuarono a scendere fino alla fine della guerra, riflettendo la distruzione del capitale umano e industriale del paese. Il Reichsmark perse il 90 per cento del suo valore contro dollaro fino a quando non fu sostituito dal Deutsche Mark nel 1948”, continua Fugnoli.

 Riassumendo gli effetti delle guerre, in una prima fase la corsa al riarmo e la mobilitazione generano crescita economica e riassorbono la disoccupazione. Nella seconda fase i costi della guerra si fanno sentire e diventano molto alti per lo schieramento perdente. Per i vincitori il costo è più contenuto, ma è comunque pagato con una fiammata inflazionistica che si manifesta o sul finale del conflitto o poco dopo.

I mercati oggi 

Le tensioni geopolitiche hanno raggiunto nell’ultimo periodo uno dei livelli più alti dalla fine della seconda guerra mondiale. Si parla sempre più spesso di guerra e anche l’uso delle armi nucleari, fino a ieri tabù, viene discusso apertamente.

In questo contesto è iniziata una corsa globale al riarmo che proseguirà per molti anni a venire. “Questa corsa verrà finanziata con un aumento del disavanzo pubblico e si aggiungerà ai costi della transizione energetica e alle politiche di spesa in deficit che sono state sdoganate dalla pandemia. Gli sforzi delle banche centrali per contenere l’inflazione proseguiranno, ma dovranno confrontarsi con questa nuova realtà. Difficilmente, quindi, l’inflazione ritornerà stabilmente al 2 per cento. In compenso una recessione diventerà meno probabile e la crescita si manterrà vicina o superiore al livello potenziale”, afferma Fugnoli, secondo cui “la tradizionale diversificazione tra azionario e obbligazionario assorbirà meno la volatilità dei portafogli perché la correlazione tra azioni e bond tenderà a essere positiva. Per limitare la volatilità sarà quindi opportuno evitare i bond troppo lunghi e restare su scadenze non superiori ai 5 anni. In borsa andrà dato più peso ai settori minerario, energetico, militare, aerospaziale e tecnologico”. 

“Le preoccupazioni geopolitiche e la ripresa dell’inflazione, per ora fortunatamente contenuta, hanno indotto nei mercati un atteggiamento meno euforico e più riflessivo. La correzione è per molti aspetti salutare e riporta le quotazioni su livelli più equilibrati e sostenibili. In conclusione, gli ottimi rendimenti monetari e obbligazionari e le basse probabilità di una recessione per il prossimo periodo ci inducono a confermare il nostro orientamento costruttivo per i prossimi mesi”, conclude Fugnoli.

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