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La ricetta dello chef Luca Miuccio per il menù di capodanno: l’umile Irmana riscoperta sull’Etna, diventa un fine dining

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Irmana ma anche Jermanella, Immanu, Immana, Irmanu tanti nomi per quanto è lunga la storia di questa varietà di Segale coltivata alle pendici dell’Etna, anche se sconosciuta ai più al punto che stava scompartendo. Eppure, questo cereale impiegato come alimento fin dall’età del bronzo ha radici antichissime vanta moltissime proprietà benefiche. Uno studio della facoltà di Agraria dell’Università di Catania attesta che l’indice glicemico del pane a base di segale, grazie alla straordinaria ricchezza in fibre alimentari, è inferiore a quello di altri pani, svolgendo un ruolo favorevole nella prevenzione di malattie cardiovascolari, obesità e tumori. Così come si rivela prezioso per il controllo e la riduzione del colesterolo ematico oltre ad essere ricco di sali minerali e vitamine.

Ad introdurre la coltivazione dell’Irmana in Sicilia furono, nel XII° secolo, i monaci benedettini bretoni fondatori del monastero di San Nicola l’Arena in quel di Catania. Questa segale si è bene acclimatata nell’areale etneo diffondendosi principalmente sulle pendici meridionali dell’Etna per la sua capacità di resistere al freddo estremo e di saper sopravvivere, anche in terreni acidi, sabbiosi o magri. Una vera e propria provvidenza per gli strati più indigenti della popolazione che la usavano per preparare un tipico pane scuro detto “pane nero di Immanu”, che costituiva la base della loro alimentazione soprattutto durante i periodi di carestia. Per arrivare poi a tempi più recenti è bene ricordare che il pane di segale è stato una fonte primaria di sostentamento durante l’ultimo conflitto mondiale quando scarseggiava il grano. Nonostante la sua nobile storia però lentamente la povera Irmana ha finito per essere abbandonata.

Fortunatamente è stata recentemente riscattata da alcuni agricoltori del luogo, soprattutto dalla famiglia Serafica, che sono tornati a coltivarla sull’Etna, recuperando così una tradizione davvero preziosa e soprattutto una importante testimonianza di biodiversità in un’area, quella etnea che è un vero e proprio laboratorio agroalimentare.

Si fa un gran parlare di biodiversità di questi tempi, forse perché ci siamo accorti che dall’inizio del XX secolo è scomparso circa il 70% della variabilità genetica delle colture agrarie che si erano conservate per secoli nelle nostre campagne non essendo ritenute più rispondenti alle esigenze della moderna agricoltura intensiva. Le conseguenze di questa cultura del profitto stanno però pesantemente venendo alla luce. Recuperare ciò che è ancora recuperabile risponde oggi non solo a un’esigenza ambientale, salutare, ed economica, nel senso di creare nuovi valori di mercato su cui impegnare le giovani generazioni e bloccare l’esodo dalle campagne, equivale soprattutto a garantire un’identità storico gastronomica del territorio e risaltandone la valenza e l’originalità della sua biodiversità che in prospettiva può dare molti frutti.

Bisogna dunque guardare con nuovi occhi questi prodotti dimenticati per conferire loro un nuovo futuro. Da questo punto di vista non c’è che esprimere gratitudine verso imprenditori e chef illuminati che si sono messi su questa scia. Uno di questo è sicuramente Luca Miuccio, classe 1987 Executive chef del Grand Hotel San Pietro cinque stelle lusso “Preferredd Hotel” di Taormina.

Miuccio uno dei 10 Ambasciatori del gusto siciliani, è partito dall’istituto professionale alberghiero di Giarre per approdare cucine importanti, tra cui Ristoranti stellati e strutture con il brand Relais & Château per poi perfezionare la sua formazione con varie esperienze all’estero in Inghilterra e in e Svizzera per dare alla sua cucina un respiro internazionale. Ma pur lavorando in sofisticati ambienti italiani e internazionali è sempre rimasto molto ancorato ai colori, profumi e ai sapori dei prodotti della terra in cui è nato e cresciuto, ai sapori della sua infanzia siciliana con i suoi luoghi meravigliosi e i suoi tesori agroalimentari.

“Il mio obiettivo – afferma – è sempre stato quello di creare uno stile di cucina che, pur nascendo dal ricordo, dal mantenimento delle peculiarità delle materie prime e dal rispetto per la tradizione, desse vita a realizzazioni e accostamenti nuovi, ricchi di contrasti e consistenze”.

Il piatto proposto per feste natalizie e di fine d’anno dallo chef siciliano è la più convinta affermazione di questa filosofia culinaria. Con il recupero dell’Irmana che da cibo povero e quasi abbandonato viene rilanciato in una cucina fine dining di livello per un pubblico internazionale, dimostrando le sue potenzialità gastronomiche.

“La ricetta – afferma lo Chef – vuole racchiudere la mia visione di cucina contemporanea, tenendo fede alla materia prima che offre la nostra terra   e dare seguito ad un progetto, sposato qualche anno fa, per il recupero di questo grano antico “segale irmana” coltivata sull’Etna a 1200mt”. Non c’è che dire: Chapeau!

La ricetta del Tortello di segala Irmanu ripieno di cipollotto di Giarratana fermentati, bottargas limone e brodo di triglia

Ingredienti per 10 pax

Per la sfoglia

300 g di farina semola

200 g farina segale Irmanu

5 tuorli

2 uova intere

semola per lo spolvero

Per il ripieno

400 g di cipolla Giarratana Fermentata

Q.b. maggiorana

Q.b. Limone

Per il brodo

2 lt acqua

600 g Carcasse triglia dello Mar ionio

200 g di mirepoix

100 g Estratto pomodoro

q.b. di odori (alloro, maggiorana)

Per le guarnizioni

20 g di bottarga tonno

1 limone

Maggiorana fresca

Preparazione

Per il brodo. Laviamo accuratamente le carcasse di triglia dopo di che lo poniamo in una pentola capiente e copriamolo completamente con l’acqua. Inseriamo nella pentola anche la mirepoix, Estratto, sale e il pepe (meglio se in grani). Portiamo a bollore e quando inizierà a bollire abbassiamo leggermente il fuoco e lasciamo cuocere per un’oretta a fuoco medio senza far mai partire l’ebollizione, Spegniamo il fuoco, estraiamo le carcasse e di triglia e le verdure e lasciamo e raffreddare il brodo una notte in frigo. In questo modo tutto il grasso rilasciato in cottura salirà in superficie e si addenserà, potremmo così tranquillamente eliminarlo con l’aiuto di una schiumarola

Preparare la sfoglia, separare i tuorli, pesare la farina e impastare tutti gl’ingredienti assieme, appena ricaveremo un panetto uniforme, ponetelo in un sacchetto sottovuoto per una mezz’ora.

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Ripieno. Fermentiamo le cipolle di taglia piccola in un fermentatore o una camera a temperatura controllata a 60°, controllando di tanto in tanto (ma si possono accorciare i tempi reperendo in commercio cipollotti già fermentati). Una volta cotte si sbucciano e si passano al cutter aggiungendo un po’ di maggiorana e zest di limone. Riporre in frigo fino all’utilizzo.

Stendere la sfoglia molto sottile, se si stende con la macchinetta arrivare fino alla penultima tacca. Tagliare a quadrati, i miei sono 6×6 e disporre al centro una ciliegia di ripieno Ripiegare a triangolo e sigillarne i bordi schiacciandoli tra loro con le punte delle dita, se la sfoglia fosse troppo secca sarebbe meglio inumidirne leggermente i bordi con un goccio d’acqua

 Posizionare il ripieno su una metà della pasta, ripiegarne un lembo e girare sopra l’altro, quindi schiacciare leggermente il ripieno. Avvolgere il tortello intorno all’indice e sovrapporre le estremità, schiacciandole fino a sigillarle

Finitura del piatto

Cuocere i tortelli in abbondante acqua salata, disporli in un piatto fondo e versare sopra il brodo ben caldo, guarnire con bottarga, zeste di limone e foglie di maggiorana.

Grand Hotel San Pietro

Via Pirandello, 50 Taormina
+390942620711

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