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Export, ecco come si muovono le Pmi italiane

Imagoeconomica

Assocamerestero, l’associazione che riunisce le 78 Camere di commercio italiane all’estero (CCIE), soggetti imprenditoriali privati, esteri e di mercato, ed Unioncamere, ha presentato i risultati dell’indagine Doxa-Assocamerestero “Internazionalizzazione e servizi delle CCIE: la voce delle imprese”, in occasione della XXV convention delle Camere di commercio italiane all’estero che si è tenuta lunedì a Riva del Garda.

Lo studio, condotto su un campione totale di 2.028 Pmi italiane, di cui 1.107 che operano all’estero, fornisce una panoramica a 360 gradi sulle principali caratteristiche, i settori merceologici e le strategie di mercato delle imprese internazionalizzate, che vengono profilate ed analizzate anche in rapporto alle attività svolte dalle Camere di commercio italiane all’estero a sostegno dell’export e dell’internazionalizzazione di impresa. Secondo l’indagine, la metà delle aziende internazionalizzate che ricorre alle CCIE opera nel manifatturiero. Delle aziende che invece intendono affrontare l’estero nei prossimi tre anni e lo farebbero utilizzando le CCIE, il 44,4% appartiene al settore del commercio.

Volgendo lo sguardo all’organizzazione interna delle Pmi, quelle che si rivolgono alle CCIE appaiono più strutturate e organizzate e si caratterizzano per l’operare all’estero secondo la logica della multilateralità. Quasi la metà delle imprese (il 47,5%), infatti, è presente contemporaneamente in 3-5 Paesi, percentuale più alta per le aziende che fanno ricorso alle CCIE rispetto alla media (pari al 43,3%), cui si aggiunge un ulteriore 11,5% di imprese che si posizionano su 6-10 mercati.

Per quanto riguarda, invece, l’apertura verso i mercati esteri, nel 76,6% dei casi, le Pmi che ricorrono alle CCIE hanno un rapporto continuativo con i mercati internazionali e il 72,3% delle stesse svolge attività al di fuori dei confini nazionali da almeno quattro anni. Inoltre, con riferimento alle aree di interesse, a parità di altre condizioni, le imprese che utilizzano le CCIE considerano prioritari per lo sviluppo della loro attività i mercati extra-Ue (per il 72,0% delle aziende) sebbene l’UE a 28 resti l’area in cui operano prevalentemente (in più dell’80% dei casi).

Le motivazioni che inducono le imprese che si rivolgono alle CCIE ad internazionalizzarsi sono molteplici e rispondono, al tempo stesso, a fattori di tipo endogeno ed esogeno. Tra le cause esterne più rilevanti vi è l’individuazione di un contesto più favorevole rispetto al mercato interno per lo sviluppo della propria attività; ancora, la disponibilità di agevolazioni e finanziamenti (per il 45,0% delle aziende) presenti all’estero ed una regolamentazione più business friendly (38,0%). Tra i fattori di tipo endogeno che inducono le Pmi che ricorrono alle CCIE ad internazionalizzarsi risultano, invece, concause più strettamente legate alla crescita dell’azienda, quali l’identificazione di segmenti di mercato in cui la domanda di prodotti italiani è elevata (37,6%) e l’accesso ad un know-how specializzato e qualificato (37,0%).

Le problematiche interne che ostacolano lo sviluppo dell’attività internazionale delle aziende che ricorrono alle CCIE, oltre alla ridotta disponibilità delle risorse finanziarie necessarie, risultano la scarsa conoscenza delle opportunità offerte dai mercati esteri (per oltre la metà delle imprese, il 53,2%) e la mancanza di personale disposto ad andare all’estero (49,0%) o dotato delle conoscenze necessarie (48,8%).

Per quanto riguarda in generale la tipologia di servizi offerti, le Pmi richiedono alle CCIE cui si rivolgono principalmente: orientamento al mercato (72,3%); ricerca partner/fornitori (66,2%); consulenza in materia doganale (58,9%) e contrattualistica (57,9%). Inoltre, più è complessa l’operazione che le aziende effettuano all’estero, più vengono individuate le CCIE come interlocutore di fiducia e qualificato sui mercati esteri. Le aziende scelgono infatti di farsi affiancare dalle CCIE soprattutto per attivare partnership transnazionali sul tema della R&S/trasferimento tecnologico (36,5%) e per insediare all’estero parte del processo produttivo (un terzo delle imprese, il 33,7%); e svolgono la loro attività d’impresa attraverso una controllata (37,3%) oppure grazie alla presenza diretta con filiali e joint venture commerciali (37,2%).

Se si guarda all’utilizzo dei diversi enti della promotion, le imprese che scelgono le CCIE (quasi la metà delle aziende internazionalizzate che conosce la rete la sceglie), ricorrono in misura maggiore rispetto alla media anche ai servizi di altri soggetti, quali ad esempio l’ICE Agenzia (58,4% contro un valore medio del 41,5%) e il Sistema camerale italiano (addirittura al 68,5% contro il 50,2% delle imprese internazionalizzate), a testimonianza di come le Camere di commercio, in Italia e all’estero, rappresentino un sistema consolidato in grado di affiancare l’azienda decodificandone le esigenze e aiutandole a far sì che l’internazionalizzazione sia una scelta consapevole e produttiva.

“Questi dati devono far riflettere. È importante che un’impresa quando decide di puntare sull’export, definisca una strategia sul medio-lungo periodo che le consenta di operare in modo efficace sui mercati esteri – afferma Gian Domenico Auricchio, Presidente di Assocamerestero –. Per far ciò ha bisogno di avvalersi di partner qualificati ed affidabili che la accompagnino nel delicato e complesso processo di internazionalizzazione, indirizzandola con azioni ed interventi mirati. In tale contesto, l’essere una comunità di imprese al servizio di altre imprese, la capacità di lavorare a livello multilaterale su 54 mercati e di creare relazioni stabili e durature con controparti locali, rappresentano il valore aggiunto della nostra Rete, che offriamo a tutto vantaggio dell’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese”.

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