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Assonime: ridurre le società partecipate pubbliche e aprirle alla concorrenza

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Con l’attuazione della legge n. 124/2015 viene predisposta per la prima volta nel nostro ordinamento una disciplina organica (testo unico) delle società a partecipazione pubblica. Il riordino del quadro giuridico delle società partecipate era atteso da tempo; già nel 2008 Assonime aveva indicato alcune linee guida per un riassetto della normativa.

La delega contenuta nella legge n. 124/2015 fornisce l’opportunità di perseguire due obiettivi complementari. Il primo è un obiettivo di semplificazione normativa: l’inserimento delle disposizioni in un testo unico dovrebbe contribuire a una maggiore chiarezza e stabilità della disciplina. Occorre superare il fenomeno dei ripetuti aggiustamenti che ha caratterizzato la produzione normativa in questa materia dal 2007 e certamente non giova alla buona gestione delle società partecipate.

Il secondo è un obiettivo di natura sostanziale: vi è l’occasione di delineare un quadro normativo migliore rispetto al passato dai punti di vista (richiamati dall’articolo 1) dell’efficiente gestione delle partecipazioni pubbliche, della concorrenza e della razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica.

La riforma delle società partecipate è all’attenzione delle istituzioni europee, come indica il Country Report 2016 sull’Italia pubblicato dalla Commissione nello scorso febbraio. La razionalizzazione delle società partecipate, infatti, può avere un impatto benefico sulla finanza pubblica e sull’efficienza dell’economia, rilevante ai fini del rispetto del Patto di stabilità e crescita.

È importante, in questa prospettiva, che il testo unico sia in grado di favorire un netto ridimensionamento del numero delle partecipate (da 8000 a 1000), contenga regole idonee a prevenire gli sprechi di risorse pubbliche, sia ispirato ai principi della tutela e della promozione della concorrenza. Lo schema di decreto legislativo approvato il 20 gennaio dal Consiglio dei ministri è il risultato di un ampio lavoro di ricognizione e riordino della normativa. In questa nota ci soffermiamo sui principali aspetti della disciplina, suggerendo per qualche profilo possibili miglioramenti dell’attuale formulazione.

Idoneità della normativa a disciplinare realtà eterogenee

Una delle maggiori difficoltà poste dalla delega è quella di disegnare un testo unico in grado di disciplinare realtà tra loro profondamente eterogenee, che vanno dalle grandi società industriali quotate operanti a livello globale alle società in house dei piccoli comuni. Per raggiungere l’obiettivo e assicurare che il quadro normativo delle partecipate pubbliche contenga disposizioni calibrate alle diverse situazioni il testo unico prevede l’utilizzo di una serie di strumenti:

a. un’eccezione per le società quotate (art. 1, comma 5), in base alla quale le disposizioni del decreto si applicano alle società quotate solo se espressamente previsto. L’articolo 2, comma 1, lettera o, definisce con chiarezza cosa si intende in questo contesto per società quotate;

b. la salvaguardia delle disposizioni relative alle società di diritto singolare (art. 1, comma 4);

c. la possibilità di deliberare, mediante decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, l’esclusione totale o parziale dell’applicazione delle disposizioni del decreto a singole società a partecipazione pubblica (art. 1, comma 6). È cruciale, al riguardo, che questi dPCM debbano essere motivati “con riferimento alla misura e alla qualità della partecipazione pubblica, agli interessi pubblici ad essa connessi e all’attività svolta”. In questo modo, infatti, attraverso lo strumento del dPCM si consente di continuare ad applicare, anche a valle dell’adozione del testo unico, il criterio contenuto nella legge delega in base al quale per le società a partecipazione pubblica le deroghe all’applicazione delle disposizioni di diritto comune devono essere strettamente proporzionate a quanto necessario nell’interesse generale.

Questa architettura consente di conseguire la flessibilità necessaria per giungere a una disciplina adeguatamente differenziata.

Governance: ruolo dell’azionista pubblico e responsabilizzazione

Come ripetutamente sottolineato dall’OCSE, nelle società a partecipazione pubblica vi è il rischio da un lato di una eccessiva passività dell’azionista pubblico, dall’altro quello di una eccessiva interferenza nella gestione. È quindi cruciale precisare sia i poteri e le responsabilità dell’azionista pubblico, sia gli ambiti di autonomia e le responsabilità gestionali degli amministratori.

Nel rapporto Assonime del 2008 erano stati espressi, al riguardo, diversi auspici. Anzitutto, in conformità al diritto europeo, ogni obbligo imposto alle imprese per la soddisfazione di obiettivi di politica pubblica o sociale dovrebbe essere esplicitato e regolato espressamente; i costi derivanti dagli obblighi di servizio pubblico, inoltre, dovrebbero essere chiaramente identificati e coperti in modo trasparente (come richiesto dalle norme sugli aiuti di Stato).

In secondo luogo, nella sua veste di socio l’azionista pubblico dovrebbe avvalersi unicamente dei poteri riconosciuti agli azionisti dal codice civile. Il rapporto tra azionista e amministratori si dovrebbe basare sulla fissazione di chiari obiettivi di performance, sul riconoscimento dell’autonomia operativa dell’impresa e sulla valutazione degli amministratori, quali titolari esclusivi del potere di gestione, unicamente in relazione ai risultati ottenuti nel perseguimento degli obiettivi concordati.

Le linee guida dell’OCSE insistono sulla professionalizzazione dello Stato come azionista, suggerendo l’accentramento delle partecipazioni presso un’entità capace di svolgere questo ruolo, porre obiettivi chiari e monitorare la gestione delle società. Se guardiamo in questa prospettiva allo schema di testo unico, è apprezzabile la scelta di concentrare l’esercizio dei diritti dell’azionista per le partecipazioni pubbliche statali presso il MEF, sia pure di concerto con gli altri ministeri competenti per materia (articolo 9, comma 1).

Dovrà naturalmente essere assicurata all’interno del MEF, a livello organizzativo, la separazione tra gli uffici responsabili dell’esercizio dei diritti sociali e la struttura competente ad esercitare le funzioni di vigilanza sull’attuazione della disciplina, prevista dall’articolo 15 del testo unico.

Per quanto riguarda la governance, la disciplina prevede per l’azionista pubblico l’applicazione delle regole di diritto comune, con l’aggiunta di alcune disposizioni contenute nell’art. 6 (principi fondamentali sulla gestione delle società a controllo pubblico). In particolare, l’articolo 6 prevede per le società a controllo pubblico l’obbligo di predisporre specifici programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale, informandone l’assemblea, e di pubblicare annualmente, contestualmente al bilancio di esercizio, una relazione sul governo societario.

Viene inoltre richiesto alle società a controllo pubblico di valutare l’opportunità, in considerazione delle dimensioni, delle caratteristiche organizzative e dell’attività svolta, di integrare gli strumenti del governo societario con: regolamenti in tema di compliance; un ufficio di controllo interno; codici di condotta; programmi di responsabilità sociale di impresa. Qualora questi strumenti aggiuntivi non vengano adottati, la società deve dare conto delle ragioni nella relazione annuale sulla governance.

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