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Riforme istituzionali o riforme economiche? Il falso dilemma del “benaltrismo”

Se si fanno le riforme istituzionali s’alza sempre qualche solone a dire che sono solo una perdita di tempo perché la vera priorità del Paese è l’economia. Ma se si punta sulle riforme economiche succede la stessa cosa e non manca mai chi ricorda che senza uno Stato che funziona le riforme economiche sono del tutto inefficaci. E’ la sagra del benaltrismo italico, secondo cui il problema è sempre un altro, come lucidamente denunciava il compianto Luigi Spaventa che, a proposito di certi finti sapientoni, soleva dire che volano talmente in alto da cadere quasi sempre in basso. In effetti che cos’è il benaltrismo se non una forma stucchevole di immobilismo e di conservatorismo? “Un difetto congenito del nostro sistema politico” scriveva ieri sul ”Corriere della Sera” un intellettuale della finezza di Michele Salvati, economista e politologo, direttore della rivista “Il Mulino”. Salvati prende in considerazione le tre principali critiche incassate dalla prima approvazione della riforma del Senato per arrivare alla giusta conclusione che in realtà riforme economiche e riforme istituzionali non sono affatto alternative tra loro ma sono due facce della stessa medaglia e di un unico disegno riformatore e devono pertanto procedere parallelamente anche se in tempi non necessariamente coincidenti.

La prima obiezione che viene mossa alla riforma del Senato è che “la concezione di democrazia che il disegno di riforme elettorali e costituzionali rileva non è accettabile in via di principio o è inadatta al nostro Paese”. Commenta Salvati: “Può essere una critica seria, se non la spinge al punto di paventare poco credibili esiti cesaristico-autoritari” che appaiono a dir poco immaginari se si considera che non solo la riforma del Senato richiede ben quattro passaggi parlamentari ma che è alla fine la parola decisiva sarà in mano al popolo con il referendum confermativo. “In realtà – prosegue salvati – è assai più temibile, se le riforme dovessero fallire, una situazione di stallo e confusione e il nobile riferimento ai grandi principi nasconde spesso un atteggiamento conservatore o interessi elettorali di piccoli partiti”.

Seconda critica: “I cittadini, l’Europa, i mercati vogliono riforme che rimettano in sesto l’economia, che le consentano di tornare a crescere e a creare occupazione” mentre “le riforme costituzionali non sono una risposta a queste esigenze e occorre “ben altro””. Osserva Salvati: “Fare le riforme necessarie ad avviare una macchina ingrippata da tempo, della quale una grande quantità di pezzi va riparata e sostituita, non è facile e occorre una grande forza politica per opporsi alle resistenze che gli interessi minacciati frappongono”. Ecco perché oggi Matteo Renzi mette l’accento sulle riforme istituzionali. Immaginate che cosa succederebbe nel Pd e in Parlamento se oggi Renzi – domanda Salvati – decidesse di intervenire a muso sulla legislazione del lavoro caldeggiando ad esempio l’approvazione delle riforme proposte da Pietro Ichino? Il consenso non si inventa e bisogna costruirlo con pazienza.

Infine la terza critica sulla coalizione trasversale tra il Governo e l’opposizione di Silvio Berlusconi che dovrebbe appoggiare le riforme in Parlamento. “Critiche più che giustificate” commenta Salvati che però chiede: “Ma qual è l’alternativa? Anche coloro che oggi criticano maggiormente Renzi e il suo progetto non hanno sempre sostenuto che riforme di questa portata non possono e non debbono essere fatte contro l’opposizione”? Già, ma di fronte ad argomentazioni così logiche, non mancherà nemmeno stavolta chi dirà che il problema è “ben altro”. Pazienza, facciamocene una ragione e non regaliamo ai conservatori mascherati uno spazio che non meritano. La maggior parte degli italiani chiede di cambiare e chiede le riforme: è a loro che Renzi deve rispondere.

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