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Petrolio, Ko dalla City: oltre all’embargo, scatta il blocco delle assicurazioni. E partono le grandi manovre

Imagoeconomica

Altro che compromesso: la sfida sul petrolio a Putin sta cambiando radicalmente la geografia del greggio, con ricadute storiche sia per il mondo dell’energia che dell’industria. Per non parlare dell’intreccio tra alleanze ed inimicizie a livello globale. Con ricadute che segneranno l’andamento dei mercati almeno per tutto il 2022.

La prima partita riguarda il mondo assicurativo. Martedì mattina, poche ore dopo il faticoso compromesso sull’embargo al petrolio russo, l’attenzione dei broker non era tanto concentrata sulle misure prese a Bruxelles quanto sulla prospettiva, più che probabile, che l’Unione Europea si accinga a vietare alle compagnie assicurative europee, quasi monopolistiche nel settore, di coprire i rischi delle navi che trasportano greggio russo in qualsiasi parte del pianeta. E’ una mossa estrema, concordata con la City, destinata ad alzare ulteriormente i prezzi della materia prima, ma anche a complicare più di ogni altra i piani di Mosca, costretta a ricorrere a metodi da contrabbando per gestire il suo export petrolifero che, assieme al gas, fornisce il 42 per cento delle entrate del bilancio della Federazione Russa. Ovvero a prendersi a carico il rischio dei danni per eventuali incidenti e fuoruscite di petrolio, sinistri non infrequenti che non sarebbero più coperti dall’International Group of P&I Clubs con sede a Londra che si occupa del 95% della copertura della flotta globale di navi cisterna.

D’ora in poi, infatti, le navi che trasportano greggio in arrivo dalla Russia verrebbero trattate alla stregua di quelle che viaggiano con a bordo il petrolio di Teheran. Con effetti assai negativi per i traffici di Mosca che dallo scoppio della guerra è riuscita a compensare in buona parte le minori vendite il Europa (comunque 4 milioni di barili al giorno) con le vendite, seppure a sconto del 30% verso India e Cina. Con l’attiva collaborazione degli armatori greci che ad aprile hanno assicurato il 60% dell’export via mare del greggio russo. 

Salvo colpi di scena legati all’intervento di Atene, il mercato del greggio è destinato ad una nuova rivoluzione, in linea con la decisione europea di ridurre la dipendenza dal petrolio e suoi derivati russi. Molto è già cambiato sia nella geografia degli scambi sia nei modi con i quali questi avvengono. In particolare:

  • L’Europa ha aumentato l’import dall’Africa Occidentale: ad aprile sono arrivati 600 mila barili al giorno da Nigeria, Camerun ed Angola. Erano flussi diretti in passato verso l’India, oggi cliente (a sconto) della Russia.
  • Mosca ha anche aumentato le vendite in Cina (+50%), mentre l’Europa ha contato sulle maggiori forniture garantite dagli Usa.
  • In caso di blocco delle assicurazioni, si allargherà il mercato delle petroliere “fantasma”, quelle che hanno assicurato in questi anni la vendita del greggio del Venezuela o dell’Iran. E’ un mestiere rischioso ma redditizio: fino al 5% del valore della nave per un viaggio senza copertura in acque “calde”, quali possono essere quelle del Mar Baltico vigilato dalla Danimarca. Meglio la Turchia, almeno finché non aderirà alle sanzioni. E a Dubai potrebbero esserci compagnie disposte ad assicurare le petroliere senza subire il diktat della City.
  • Già oggi, a giudicare da quanto afferma la società Gerber, 400 mila barili al giorno di greggio russo destinati all’Asia sono trasferiti da petroliera a petroliera in mare aperto per dribblare i controlli. 

Questo è lo stato dell’arte del mercato del petrolio in uno dei suoi momenti più delicati, non solo sul fronte dei prezzi. L’industria dell’energia, ancor prima delle sanzioni e dell’embargo, doveva affrontare il risveglio dal “letargo” imposto dal Covid 19  e dalle politiche anti global warming che hanno fortemente impattato sugli investimenti nelle raffinerie, in caduta libera negli ultimi anni.

Nel 2021, scrive Reuters, la capacità di raffinazione a livello globale è scesa di 780 mila barili, come non succedeva da 30 anni. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (che raccomanda di evitare nuovi investimenti, semmai di dirottare le risorse sulle rinnovabili) la capacità complessiva è scesa a 78 milioni di barili (contro 82 circa prima della pandemia).

Il risultato? A fronte di un aumento del prezzo del petrolio nell’ordine del 50%, i prodotti raffinati sono saliti del 70% con un aumento concentrato in particolare nel diesel, che ancor oggi ha un ruolo chiave per l’auto europea. Ma non solo. È di lunedì l’allarme dei produttori agricoli brasiliani: in caso di interruzione dell’attività anche di una sola raffineria Usa, si rischia in estate di non avere carburante a sufficienza per i trattori. E l’estate, si sa, è stagione di uragani e black out nel golfo del Messico. 

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