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Per il futuro della moda: maggiore qualità e export verso i paesi emergenti

Quest’anno la moda italiana era partita bene: le stime di crescita del fatturato tra gennaio e agosto 2011 indicavano un aumento del 7,2% grazie soprattutto alle vendite all’estero. Ma gli ultimi mesi hanno costretto a ridurre l’ottimismo e accontentarsi di una previsione di crescita che a fine anno non dovrebbe essere superiore al 4%. Gregorio De Felice, però, chief economist di Intesa Sanpaolo, che oggi ha presentato lo scenario di “Moda e lusso nell’attuale contesto macroeconomico” in occasione del Convegno organizzato a Milano da Pambianco Strategie di impresa, mette subito le mani avanti. E aggiunge: “L’unica strada, dunque, è quella di puntare sempre di più sulla domanda estera, cercando anche di diversificare i mercati di sbocco”.

Oggi l’Europa occidentale rappresenta ancora più del 50% delle vendite italiane di moda all’estero, ma è nei Paesi dell’area Nafta (Nordamerica), Giappone e Cina che la domanda si sviluppa con tassi più elevati e dove l’Italia ha ancora molti spazi da riempire. Soprattutto per i prodotti di alta gamma, la cui domanda nei Paesi emergenti è quasi raddoppiata negli ultimi anni.

Nel settore dell’alta qualità la quota di mercato mondiale del made in Italy nel 2009 aveva raggiunto il 13,6%. Nel periodo tra gennaio e luglio di quest’anno le esportazioni sono aumentate con tassi compresi tra il 13 e il 14% non solo in Francia, Germania e Stati Uniti, ma anche in Russia (in netta ripresa dopo gli anni della crisi) e soprattutto nei mercati asiatici: Hong Kong +21,2% e Cina +28,3% sia per i prodotti destinati alle filiere produttive locali, cioè tessili e pelli, sia per i prodotti finiti.

E’ per questo, sottolinea De Felice, che “l’innalzamento della qualità dei prodotti e la via dell’export sui mercati emergenti saranno l’elemento trainante dei prossimi anni, la principale opzione per crescere e migliorare i livelli di redditività delle aziende”.

Sì, perché lo scenario che si prospetta nei mesi a venire non è certo molto brillante: In Italia la variazione del Pil, al momento prevista a +0,3% (+0,6% è la variazione prevista per tutta la zona euro) potrebbe risultare marginalmente negativa (il nostro Paese rischia cioè di ricadere in recessione nel 2012) e i consumi saranno penalizzati sia dal calo dell’occupazione sia dalla riduzione del reddito disponibile dovuta alla manovra di austerità. I consumatori, secondo l’analisi di Banca Intesa, “subiranno anche una perdita del potere di acquisto a causa dell’incremento delle imposte dirette e delle tariffe. Ma, aggiunge, il calo della propensione al risparmio limiterà la flessione dei consumi di circa mezzo punto”.

Più in generale, il quadro della crescita nelle diverse aree geografiche, che si prospetta molto disomogenea, sarà condizionato soprattutto dalla politica fiscale, cioè dai provvedimenti correttivi adottati e da quelli che prevedibilmente dovranno essere ancora adottati nel prossimo biennio. A ciò si aggiungono le tensioni finanziarie sull’economia reale, l’aumento dei tassi di interesse, la crisi di fiducia e il difficile accesso ai mercati finanziari: una situazione che sarà mitigata soltanto dall’abbondante provvista di liquidità garantita dalla Bce. Sta di fatto, comunque, che questa perdurante incertezza indurrà famiglie e imprese a rimandare i piani di spesa.

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