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Bernabè (Telecom Italia): “Ecco come avverrà lo scorporo della rete”

Non c’è dubbio che il caso più drammatico nell’agenda dell’industria e della finanza italiana sia oggi quello dell’Ilva, sospesa com’è tra liquidazione, commissariamento, nazionalizzazione e vendita a pezzi a gruppi stranieri.  Sono in gioco  migliaia di posti di lavoro ma anche la salute dei tarantini e il futuro stesso dell’industria siderurgica italiana. Ma l’Ilva non sarà il solo caso a scaldare l’imminente estate dell’industria e della finanza italiana.  Che dire della Fiat? La partita che sta per portare il Lingotto alla definitiva conquista del 100% della Chrysler e poi alla fusione e alla quotazione a Wall Street è ancora lunga e non priva di insidie. Ma, con buona pace di chi aveva già emesso sentenze di condanna a carico di Sergio Marchionne, l’onestà e l’indipendenza intellettuale vorrebbero che si riconoscesse che, per ora, il manager italo-canadese ha vinto la scommessa americana e ha salvato tutti i posti di lavoro della Fiat in Italia, come è emerso anche dal recente incontro della Fiat con il nuovo ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato, che sembra voler improntare la propria azione di governo a un lodevole pragmatismo.

Poi ci sono Rcs, Camfin e Finmeccanica: il piano di rilancio del gruppo che edita il Corriere della sera sarà riscritto ma il via libera dell’assemblea alla ricapitalizzazione è un passo importante. Per Camfin, da cui dipende il controllo di uno dei pochi grandi gruppi industriali come Pirelli, la battaglia tra Tronchetti Provera e Malacalza, con il possibile lancio di un’Opa che scalda la Borsa e che vede il fondo Clessidra come protagonista, resta aperta a tutte le soluzioni. Importanti saranno infine le nomine ai vertici e soprattutto alla presidenza della Finmeccanica che dovrebbero finalmente chiudere gli effetti della triste stagione delle indagini giudiziarie e permettere al campione nazionale dell’aerospazio e della difesa di tornare a concentrarsi sulle strategie industriali.

La soluzione di tutti questi casi aperti, quand’anche fosse positiva, non basterà da sola a far recuperare i 25 anni perduti dall’Italia come ha denunciato il Governatore Ignazio Visco nelle sue Considerazioni finali all’assemblea di venerdì della Banca d’Italia, ma certamente dimostrerebbe che, al di là del puro ambito industriale o finanziario, il nostro resta un Paese vitale e in grado di affrontare i nodi da cui dipende in parte il suo futuro. Non c’è dubbio però che, insieme all’emergenza Ilva, il caso che ha maggior spessore strategico è quello aperto nei giorni scorsi dal presidente della Telecom Italia, Franco Bernabè, con l’avvio dello spin off della rete, caso unico al mondo se si eccettua il precedente della Nuova Zelanda.  Da questa operazione può derivare un rilancio del maggior gruppo telefonico italiano ma può discendere soprattutto un assetto più concorrenziale e più trasparente del mercato e  una spinta all’innovazione, al rafforzamento a alla modernizzazione di un settore come quello delle tlc che ha accusato il colpo, non sempre leale, dei giganti senza regole di Internet come Google, Apple, Amazon, Microsoft , Facebook.

Ma che significa esattamente lo scorporo della rete Telecom e come avverrà? Proprio perché si tratta  di un caso senza precedenti in Europa è evidente che ci muoviamo su un terreno inesplorato e che essenziale per l’esito di tutta l’operazione sarà  il giudizio del  regolatore (Agcom). Tuttavia, in un’intervista rilasciata ieri al Sole 24 Ore, Bernabè ha cominciato a chiarire quattro punti fondamentali.

Primo: lo scorporo non riguarderà tutta la rete Telecom  ma quella parte che riguarda “strutture essenziali non replicabili” e “non invece la parte di rete intelligente che fa innovazione , di cui dispongono anche i concorrenti, che Telecom si terrà”. Secondo: “La società della rete d’accesso deve essere – è sempre Bernabè che parla – una utility come Snam o Terna, che attinge le proprie risorse da un assetto regolatorio stabile nel lungo periodo con prevedibilità di ricavi e margini che consentano di programmare gli investimenti” facendone realmente un’entità separata e trasparente. Terzo:  Telecom Italia, che – non dimentichiamolo – è da oltre 15 anni una società privata, nel momento in cui scorpora la rete raccogliendola in un’apposita società, intende mantenere la maggioranza della società della rete. Quarto:  sulla governance della nuova società della rete, nella quale dovrebbe entrare la Cassa depositi e prestiti (Cdp) attraverso il Fondo Strategico Italiano, Telecom è tuttavia aperta a ricercare le migliori soluzioni “purché ragionevoli e coerenti con le finalità dell’azienda” .

E’ evidente che la piattaforma delineata da Bernabè è una prima base di confronto con il regolatore, con l’Europa, con il Governo e con i nuovi possibili azionisti della società della rete, con il mercato.  Ci sono molti punti e valori ancora da definite. Tuttavia, i primi apprezzamenti dei vertici della Cassa lasciano ben sperare. Non si può però non concordare con il presidente della stessa Cdp, Franco Bassanini, quando osserva che ovviamente i tempi di tutta l’operazione, come il perimetro dello scorporo, li detta chi ha in mano la rete, e cioè la stessa Telecom, ma “nell’interesse del Paese sarebbe bene che fossero tempi rapidi”. Non sarà però questione né di giorni né di settimane ma di sicuro occorreranno mesi e mesi. L’importante che si arrivi al traguardo.

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