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Tria resiste alle pressioni, ma deve battersi di più per la vera “crescita”

Imagoeconomica

Il ministro dell’ economia Giovanni Tria ha sicuramente nervi d’acciaio. Non si scompone di fronte agli attacchi diretti o indiretti che quotidianamente gli arrivano dai due dioscuri della maggioranza o dai loro portaborse parlamentari. Rimane convinto che alla fine riuscirà a contenere il deficit entro limiti accettabili e comunque tali da dare un segnale chiaro ai mercati sul proseguimento della traettoria di discesa del debito.

Come sempre quando si deve varare la legge di bilancio la polemica politica si fa infocata. Ma quest’anno si raggiungono toni parossistici e soprattutto si ingolfano le discussioni sui temi caldi ( pensioni, sostegno al reddito dei più poveri, riduzione delle tasse) con proposte irrealistiche e tra loro in profonda contraddizione. Alla fine l’incertezza aumenta e, a dispetto della tranquillità olimpica di Tria, gli investitori sia finanziari che industriali si mantengono prudenti. Gli spread sui tassi d’interesse sembrano stabilizzarsi intorno ai 230-240 punti base rispetto alla Germania, ma non sembrano tendere a recuperare i livelli anteriori alla nascita di questo governo, quando erano intorno ai 120 punti.

Per trovare il bandolo della matassa di tutto questo confuso chiacchiericcio (che come ha detto Mario Draghi costa ai cittadini italiani) bisognerebbe mettere un punto fermo partendo dal quale sviluppare tutti i ragionamenti sulle varie misure: bisogna cioè partire dalla crescita e da cosa si può fare per accelerarla. In una economia stagnante non c’è lavoro, la povertà è destinata ad aumentare (e non c’è sussidio che possa bastare), i giovani che non fanno nulla, non studiano e non lavorano che sono già quasi in 40% in molte regioni del Sud, sono destinati ad aumentare anche in altre regioni.

Il ministro Tria sa benissimo che partiamo da una situazione di rallentamento congiunturale molto pericolosa tanto che la nostra crescita quest’anno potrebbe essere vicina all’ 1% contro l’1,5% stimato in precedenza. La produzione industriale è in calo e gli ordini anche dall’estero sono in diminuzione. Gli investimenti privati si sono fermati perché gli imprenditori non capiscono in quale direzione intende muoversi questo governo.

Quali sono le misure adatte a far ripartire la crescita? Secondo Tria sono gli investimenti pubblici. E su questo, a chiacchiere, sono tutti d’accordo. Ma poi Di Maio insiste per avere il reddito e la pensione di cittadinanza, mentre Salvini insiste per ripristinare di fatto le famigerate pensioni di anzianità che hanno portato in passato il nostro sistema pensionistico sull’orlo del crack. E per di più si pretende che questi interventi siano fatti in deficit, cioè aumentando il nostro debito pubblico, con l’idea da orecchiante keynesiano che entro due o tre anni il maggiore sviluppo potrebbe ripagare il debito. Cosa questa mai avvenuta in passato. E del resto con il debito che abbiamo accumulato saremmo dovuti crescere a ritmi vertiginosi, mentre sono oltre vent’anni che siamo quasi fermi!!

In una intervista del 7 luglio all’economista Giampaolo Galli , pubblicata da questo giornale, si sosteneva che la cosa più rivoluzionaria che questo governo poteva fare era quella di portare lo spread ai livelli della Spagna, cioè sotto i 100 punti o addirittura puntare ai 40 punti della Francia che non è certo molto meglio di noi dal punto di vista dei fondamentali economici (a parte il debito) . Forse non molti lettori hanno considerato che due punti in meno di spread (cioè ai livelli della Francia) significherebbe un risparmio per il nostro bilancio dello Stato di ben 8 miliardi il primo anno che raddoppierebbero il secondo e triplicherebbero il terzo. Ed allora sì che avremmo le risorse per gestire la disoccupazione e per incentivare gli investimenti! E questo senza considerare il beneficio del ribasso dei tassi che si trasferirebbe sul sistema produttivo e sul credito al consumo.

Ma la demagogia infuria. Sulle pensioni, da un lato si propone di penalizzare le cosiddette “pensioni d’oro” , quelle superiori a 4.550 euro, sulla base del momento del pensionamento rispetto a quello normale di vecchiaia che al di là di altre assurdità, penalizzerebbe soprattutto i pensionati del Nord che spesso sono stati spinti dalle aziende ad andare in pensione anticipata per motivi di ristrutturazione. E questo mentre lo stesso Salvini propone quota 100 con il limite d’età a 62 anni. I vecchi pensionati verrebbero penalizzati se si sono ritirati prima dei 65 o 66 anni, mentre quelli nuovi potrebbero andare a 62. Che logica è mai questa? 

Di Maio, per non essere da meno quanto a contraddizioni, da un lato propone il reddito di cittadinanza concepito però come introduzione al lavoro, mentre dall’altro ripristina la cassa integrazione straordinaria per le aziende fallite facendo saltare il concetto di mobilità che già esiste e che il reddito di cittadinanza vorrebbe rendere universale.

Ci sono poi tante altre dichiarazioni che se tradotte in provvedimenti sarebbero non di stimolo ma di freno alla crescita. La sfiducia verso il mercato ed i privati (ritenuti corrotti o corruttori), la voglia di nazionalizzare Autostrade, Alitalia ecc. e di ripristinare un più stringente controllo pubblico anche sulle aziende che gli anni scorsi sono andate sul mercato ed hanno attirato migliaia di investitori italiani ed esteri.

Infine gli investimenti pubblici. Il ministro Tria ha scoperto che esiste un fondo già finanziato per almeno 15 miliardi l’anno che potrebbe essere speso subito. Se questo non avviene è colpa della legislazione sugli appalti e degli intoppi burocratici in genere. Ma anche a causa degli ostacoli politici dato che, ad esempio, su molte grandi opere sono proprio i 5 Stelle ad opporsi con i motivi più vari. Così come avvenuto per le Olimpiadi di Roma ed ora per Torino che non farà più parte del tridente con Milano e Cortina. Il ministro Toninelli ne è consapevole ?

Quello che i partiti di Governo chiamano “riforme” non sono altro che aumento della spesa corrente per pensioni o sussidi e nella migliore delle ipotesi sgravi fiscali. Il termine riforme è quindi abusato in quanto si tratta di proseguire sulla solita strada dei regali a pioggia, anzi, almeno nelle intenzioni, aumentandone l’intensità. Ma questo tipo di spesa come abbiamo visto in passato, non fa sviluppo. Se la nostra competitività non cresce la gente potrà comprare tranquillamente prodotti esteri, magari cinesi.

Quello che si chiede a Tria è uno sforzo enorme. Non si tratta solo di resistere alle pressioni, ma anche si svolgere un’opera educativa per spiegare che la priorità deve essere la crescita. Che per ottenerla bisogna concentrare le risorse sugli investimenti e fare riforme veramente incisive per migliorare l’efficienza dei mercati e del settore pubblico, a cominciare dalla Giustizia. Ma di questo non si parla. Preliminare è abbassare spread e tassi d’interesse. Tria lo ha detto, ma forse bisogna gridarlo con maggiore forza.

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