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Lockdown e mobilità: troppa gente in giro? La realtà della Lombardia

Imagoeconomica

I milanesi sono davvero in giro, non rispettando la quarantena e contribuendo così all’aumento di contagi da coronavirus registrato recentemente nel capoluogo lombardo? “No, non è così. Gli spostamenti sono una frazione minuscola di quelli “normali”: basta leggere correttamente i vari dati a disposizione”. Dopo l’allarme lanciato da Regione Lombardia sui troppi spostamenti (in più occasioni il vicepresidente Fabrizio Sala ha parlato di “40% di spostamenti in Lombardia”, un dato ritenuto inaccettabile e possibile causa del dilagare dei contagi), e con l’avvicinarsi della Fase 2 che farà della mappatura dei movimenti degli italiani il dato cruciale, FIRSTonline ha chiesto lumi all’esperto del Politecnico di Milano Paolo Beria, docente di Transport Economics e direttore di Traspol, il laboratorio di politica dei trasporti.

In un lungo thread pubblicato sul suo account Twitter, Beria ha incrociato una serie di dati da fonti attendibili, in particolare quelli del Google Mobility Report, il servizio di Google che tramite il Gps ricostruisce la cronologia degli spostamenti visibile sul proprio Maps, ed è in grado di fornire indicazioni con un margine di errore bassissimo: “Intanto è fisiologico che il 40% dei lombardi non stia a casa, visto che c’è chi lavora e ci sono come sappiamo una serie di uscite consentite. Significa solo che sulla totalità dei cellulari, in 4 su 10 registrano anche solo un cambio di cella al giorno, che potrebbe equivalere ad uno spostamento perfino di poche centinaia di metri”.

Professore, come vanno letti dunque i dati, anche nell’ottica della Fase 2 e della convivenza col virus?

“Intanto la Regione Lombardia fa solo comunicati stampa. Ho chiesto loro ulteriori informazioni e se me le manderanno sarò in grado di valutare con più precisione. Ci sono però tanti altri dati a disposizione: quelli del Comune di Milano ad esempio, che ci dicono che il 95% dei cittadini controllati è in regola, e che viaggia in metropolitana solo il 7% degli utenti abituali (con frequenza al 75%), e ancora che gli ingressi in Area C sono calati del 69% e quelli in città (AreaB) del 66%. Poi ci sono quelli del sito Enel X Yourban e di Apple, ma il più ricco rimane il Google Mobility Report”.

Che cosa ci rivela?

“E’ interessante perché ci dà la frequentazione dei luoghi, dividendoli in 6 categorie: svago, lavoro, spesa, etc. L’analisi è regionale e ci indica che in Lombardia durante il lockdown le uscite per così dire leisure sono diminuite ben del 96%. La permanenza nei luoghi di lavoro invece è scesa solo del 65%, ma questo è coerente col fatto che molte categorie ancora lavorano: in prima approssimazione dunque il 35% esce di casa per andare a lavorare, un dato normale. Google ci dice anche che a Milano e in Lombardia stiamo passando il 24% del tempo in più in casa, un dato altissimo se si pensa che già di regola ne passiamo tanto, anche solo per dormire e che alcune categorie, come gli anziani, già prima passavano gran parte del tempo a casa”.

Eppure la Regione continua ad essere allarmista, parlando di 40% di lombardi in giro.

“Il dato non è sbagliato in sé, ma se non letto in maniera corretta può far passare un messaggio sbagliato e generare panico e sensi di colpa, soprattutto se lo si associa all’aumento dei contagi. Immaginiamo 10 persone in un condominio. Prima ciascuno di loro faceva 10 cambi di cella al giorno, nella vita normale. Oggi, ad esempio, due portano giù il cane, una lavora in ospedale e tutti fanno la spesa una volta a settimana. Dunque prima dal nostro palazzo 10/10 uscivano di casa, facendo ben 100 cambi cella al giorno. Oggi solo 2+1+10/7, cioè 4,42 persone escono (il 44%), ma fanno solo 5,42 spostamenti (4,42 più il ritorno a casa del lavoratore), quasi tutti molto brevi (5,4%)”.

Dunque Milano non si sta riscoprendo indisciplinata.

“No, anzi. In questo ci aiutano i dati di Enel X, che evidenziano tra l’altro che Milano è quella che si muove meno in Lombardia, con il -93% dei movimenti e il -95% dei km percorsi. Un dato analogo a quello di Napoli (-95% e -96%) e migliore di quello ad esempio di Varese, -76%. Nei centri più piccoli è però normale che si cambi cella più spesso, dovendosi magari spostare per diversi km per raggiungere le destinazioni consentite”.

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Che situazione prevede per la Fase 2? E’ in arrivo una App, “Immuni”, che sarà in grado sia di tracciare gli spostamenti che di registrare (in forma anonima) tutti gli altri dispositivi che incrociamo.

“Non sarà semplice. Da un punto di vista della mobilità, prevedo una Fase 2 con ancora pochi spostamenti: riaprono alcune attività, ma ci sarà ancora l’effetto paura che limiterà gli spostamenti. Ci si muoverà per lo più in macchina, quindi in relativa sicurezza rispetto al trasporto pubblico. Sui mezzi pubblici vedremo ancora poca gente quindi il distanziamento non dovrebbe essere un problema. Diversa sarà la Fase 3, il ritorno alla normalità, magari in autunno con la riapertura delle scuole. E’ difficile immaginare che si riescano a triplicare le corse di bus e metro, il che significherebbe più personale e molti più costi. Questi costi non ricadranno sugli utenti, ma sulle casse dello Stato e delle municipalizzate sicuramente sì”.

L’alternativa quale sarebbe?

“Il distanziamento sociale sarà difficile. Non sono un medico e non vorrei sbilanciarmi, ma forse dal punto di vista della mobilità sarebbe meglio puntare più sulle protezioni (guanti, mascherine) che sul distanziamento”.

Che ruolo ha avuto la mobilità nel contagio?

“Ho preso in analisi 4 dei primissimi focolai: Codogno, Vo’ Euganeo, la Val Seriana e Pesaro. Ne è venuto fuori che in un centro piccolo come Codogno la mobilità è stata decisiva intanto perché intorno ci sono dieci Comuni molto collegati tra loro, che formano un’area da 50.000 abitanti, e poi per la vicinanza a Milano e dunque il pendolarismo. Vo’ è un paese piccolo e a sé stante, le persone vivono e lavorano più in prossimità, e questo spiega il maggior contenimento del contagio. La Val Seriana è praticamente periferia di Bergamo, che essendo capoluogo offre tutti i servizi essenziali. I dati sugli spostamenti in quelle zone erano molto indicativi sin dall’inizio, non c’è dubbio che la zona rossa andasse istituita”.

Come cambierà la mobilità in tempi di coronavirus?

“Dipende dal vaccino. Se arriva entro pochi anni, tutto tornerà come prima. In caso di virus permanente invece potrebbero cambiare i paradigmi ai quali ci stavamo abituando, e cioè in particolare il car sharing e gli altri mezzi in condivisione. Se non dovesse arrivare il vaccino cambierà proprio la fisionomia delle città: l’economia oggi è basata sulle grandi agglomerazioni, sull’accentramento delle attività produttive e dei servizi intorno alle grandi città. Una duratura convivenza col virus potrebbe portarci a rivedere questi modelli e a delocalizzare e disperdere diverse attività”.

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