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Guida Michelin: Napoli città più stellata d’Italia. Sono qui i grandi chef

Ristorante Don Alfonso

C’era una volta il Regno di Napoli…e c’è ancora. Solo che a differenza di quello storico, quello attuale è fatto di gusto, sapori, colori, aromi, profumi. E impera sulla cucina. Perché Napoli ha conquistato quest’anno un primato assoluto: la Guida Michelin, le ha assegnato il più alto numero di stelle di qualsiasi altra città italiana premiando 5 grandi Chef con due stelle e 15 con una stella. Ma non è solo Napoli a primeggiare. Se si considera il triangolo d’oro gastronomico che comprende Napoli, le isole da un lato e la costiera sorrentina-amalfitana dall’altro, abbiamo la più alta concentrazione di cuochi stellati non solo italiana ma europea.

E comunque sia, grazie alle stelle conquistate quest’anno, la Campania con 37 ristoranti stellati si colloca in seconda posizione a livello nazionale, dopo la Lombardia, superando regioni italiane di lunghissima e antica tradizione culinaria, come il Piemonte  e il Veneto.

Ma non è stata soltanto la Guida Michelin quest’anno a tributare onori alla grande scuola di cucina napoletana. Alla Leopolda di Firenze il mese scorso in occasione della presentazione della Guida dei ristoranti de L’Espresso, Alfonso Iaccarino, il Gran Maestro della rinascita della cucina di eccellenza partenopea, alla guida del mitico ristorante “Don Alfonso” a Sant’Agata sui due golfi, ha ricevuto il premio speciale alla carriera come riconoscimento al grande contributo offerto in anni di assoluta dedizione alla riscoperta e alla promozione dei sapori di una cucina di qualità mediterranea. E quando è salito sul palco per ritirare il premio è stato oggetto di una standing ovation da parte di tutti i più grandi chef stellati italiani in piedi a rendergli onore.  

I protagonisti


Se Parigi val bene una messa, i cinque grandi chef collocati dalla Guida Michelin sul podio più alto della ristorazione napoletana valgono ben un viaggio. A cominciare da Don Alfonso a Sant’Agata dove la dinastia degli Iaccarino non conosce pause di eccellenza. Di cui l’autorevole guida del Touring Club diretta da luigi Cremona scrive “in questo lussuoso locale è racchiusa tutta la storia di una famiglia divenuta il simbolo della ristorazione italiana”, e scusate se è poco! E il Gambero Rosso parla di “un paradiso creato in anni di lavoro appassionato”. Dove alle “Zeppole di astice in agrodolce”, ai “Cappelli di pasta con stracotto di pollo e tartufo nero”, piatti storici del locale, oggi si affiancano nuove interpretazioni come la “Salsiccia di pezzogna, pistacchi, mozzarella, asparagi e tartufo nero con salsa candita”, interpretazione di un antico condimento borbonico. Il tutto accompagnato da una cantina di vini, ricavata da un antico cunicolo di epoca preromana, che propone vere e proprie rarità.

Con due stelle, Gennarino Esposito che impera da 25 anni nel ristorante “La  Torre del Saracino” a Seiano, borgo di Vico Equense, e che può essere considerato il diretto erede di Alfonso Iaccarino, conferma una fama che oramai si è estesa ai cinque continenti. La sua Torre è oggi un luogo di pellegrinaggio e culto per i gourmet di tutto il mondo. Per Luigi Cremona è un ristorante da visitare assolutamente per capire come si evolve la cucina mediterranea. Per il Gambero Rosso qui si gusta “una cucina straordinaria che cita tradizione e cultura usi e costumi popolari realizzata con una eccezionale materia prima”. Ma per il bonario e sempre sorridente Gennarino – e questo sorriso lo si ritrova nei suoi piatti che inducono sempre a un buon umore dello spirito – le parole sono insufficienti a descrivere quali sensazioni diano i suoi capolavori, come la “zuppetta di olive nocellara, purea di finocchi e pesce bandiera a cotoletta”, rilettura di un piatto della sua gioventù o il “risotto al limone con ricciola marinata e aglio giovane” che fa esclamare a Enzo Vizzari, direttore della Guida de l’Espresso: “è un insieme di accostamenti di profumi, aromi, sapori equilibrati, in una apoteosi del gusto di mare di profonda armonia”. 

E poiché Gennarino, al pari di Re Mida, quel che tocca trasforma in oro non fa in tempo ad aprire un ristorante, dedicato a “Mamma’” a due passi dalla piazzetta che subito arriva una stella, la terza in aggiunta alle due della “Torre”, a premiare un locale in cui la tradizione della cucina regionale, quella delle nonne, tramandata di madre in figlia, viene reinterpretata con rispetto, devozione, amore, fantasia e gusto emozionanti.

Restando a Capri, ecco altre due stelle a “L’Olivo”, regno di Andrea Migliaccio, collocato nel lussuoso Capri Palace con una terrazza scenografica. Ma il lusso del ristorante e quello dell’albergo non traggano in inganno. Migliaccio, che la guida del Gambero Rosso definisce “talentuoso, concentrato, riflessivo, che non si siede sugli allori ma continua a potenziare il suo pensiero sul pasto con focus sulle materie prime”, pur nelle moderne interpretazioni non perde mai d’occhio i ricordi della tradizione e i principi salutistici. La sua “passata di filetto di San Marzano con ricotta di bufala e basilico”, così come i tagliolini al limone con burrata e asparagi di mare” o il “carpaccio e tartare di Fassona, lampone, salsa all’uovo e polvere di caffè” sono di una leggerezza stupefacente. Enzo Vizzari suggerisce di non mancare i “fuochi d’artificio con la caprese tanto irriconoscibile all’occhio quanto esplosiva nell’essenza del cioccolato”.

Ci si sposta a Nerano che si affaccia sull’incantevole baia di Marina del Cantone celebrata per i suoi segretissimi “spaghetti con le zucchine” di cui ogni locanda custodisce una propria originale ricetta per trovare le altre due stelle depositate dalla Michelin sul ristorante “Quattro Passi” di Antonio e Rita Mellino. Qui il pesce regna sovrano, in molte declinazioni spesso coniugato con i sapori della terra e dell’orto. Come si usa da queste parti. Ed ecco le “linguine di Gragnano alla Nerano”, i “calzoncelli ripieni di ricotta”, ma anche qualche volo pindarico come “gnocchi di patate con farcia di astice, banana e timo” o l’”intreccio di seppie su crema di fave con insalata di mare tiepida”. “Cotture esatte, tecnica e creatività ben dosata” sono per il Gambero Rosso le parole d’ordine dei Mellino che oggi si dividono fra Nerano e Londra dove hanno aperto un loro ristorante.

Due stelle ancora per la “Taverna Estia” di Brusciano, un paesino dell’hinterland a 20 km da Napoli fra Nola ed Acerra. Un po’ fuori mano a dire il vero e in una zona non proprio attraente ma i fratelli Francesco a Mario Sposito sono riusciti in un miracolo: farlo diventare meta di viaggi gastronomi. Qui ci si vede proporre il “bignè al nero di seppia farcito con spuma di burrata, gamberi viola e olio al dragoncello”, il “ Dentice imperiale in cottura poché con salsa di ricci di mare, scalogno confit e ortaggi” o gli spaghettoni, acqua di pomodoro, anguilla laccata e semi di lino”. E poi quelli che Vizzari definisce “capolavori di concentrazione del gusto” come i “carciofi affumicati con emulsione al pecorino, guanciale e tartufo nero”. Insomma ci si immerge in un “percorso di degustazione che interpreta, come afferma Luigi Cremona, la gastronomia campana in maniera contemporanea”. E per chiudere, mentre il simpatico Mario in sala intrattiene i clienti con grande affabilità, dalla cucina Francesco, che è anche pasticciere, potrà far arrivare in tavola un Babà da ricordare per il tempo a venire. 

Fra le 32 stelle che hanno premiato gli chef napoletan-campani val la pena di citare ancora il ristorante “Palazzo Petrucci” collocato in una delle piazze più gettonate di Napoli, San Domenico Maggiore, con la chiesa che i sovrani aragonesi scelsero per custodire le spoglie reali, passaggio obbligato per visitare la cappella dell’inquietante principe di Sansevero che custodisce la statua del Cristo velato con i suoi misteri. Qui in un palazzo quattrocentesco Lino Scarallo, propone in uno stile raffinato ed eclettico una poetica “lasagnetta di gamberi e mozzarella di bufala” o impalpabili “fidelini con triglia, salsa di porro e lime”. Da non trascurare anche la zuppa di ceci, scampi, caffè e profumo di rosmarino” e le “maruzze con cozze ripiene di zucchine, cacio, pepe e limone”. Insomma una tradizione rivista con molta intelligenza che lascia intravedere, prima o poi, una probabile seconda stella. E non a caso la Guida del TCI lo ritiene ”uno degli indirizzi migliori della città”.

Ci si sposta sul mare per salire all’ultimo piano del Romeo Hotel, un tempo quartier generale del comandante Achille Lauro, il discusso armatore, politico, editore, sindaco-patron di Napoli e del Napoli, che da questa terrazza poteva osservare l’arrivo in porto della sua flotta. E “Comandante” si chiama questo ristorante guidato da Salvatore Bianco, il quale, forse ispirato dalla storia dell’edificio, guarda molto lontano con la sua cucina aprendosi a lidi e accostamenti inesplorati. Per cui accanto a una “Mescafrancesca” (pasta mista con broccoletti, limone e cozze) o ai “cannelloni di ricotta con maionese di acciughe e crema di broccoletti”, di ispirazione territoriale, figura un “Piccione marinato all’anice con salsa di ibisco, pera e fegato grasso” o la “seppia con emulsione di cardamomo agli agrumi e latte di soia”. Come a dire che si veleggia per il mondo pur rimanendo ancorati a Napoli. 

E già che parliamo di panorami come non citare il ristorante “Rossellinis” a Ravello con una vista mozzafiato, inserito in uno dei più begli alberghi italiani, Palazzo Avino, in cui lo chef Michele Di Leo che ha ereditato le cucine dal grande Donato Marzolla volato al Baglioni di Londra, riesce a coniugare le sue origini di Torre del Greco con le esigenze di modernità di una clientela internazionale. Ed ecco vedere la luce un “vecchio cappellaccio” ovvero un raviolo farcito con coniglio confit e servito con fondente di pecorino dolce, spuma di patata acciugata, olio e tartufo nero estivo (piatto che parte dalla tradizione mediterranea  e partenopea – osserva il Gambero Rosso – per virare su percorsi e accostamenti creativi espressione di sensibilità e tecnica”. E Enzo Vizzari conferma sottolineando che ”in costante gioco di alternanza e di equilibrio fra tradizione e creatività i suoi piatti propongono spesso abbinamenti a prima vista azzardati che si rivelano poi sorprendentemente armoniosi”. 

Insomma ogni ristorante di quest’area d’Italia rivela una sorpresa per i gourmand. Sono lontani i tempi in cui il mezzogiorno era la Cenerentola della cucina italiana. E non è solo Napoli a essersi posta sotto i riflettori della ribalta gastronomica nazionale e internazionale. C’è l’Abruzzo con il tristellato Niko Romito del ristorante Reale di Castel di Sangro, esploso in questi anni come un’atomica di invenzioni spaziali. C’è la Sicilia con personalità del calibro di Pino Cuttaia, due stelle Michelin, che da Licata è partito alla conquista dei più esigenti palati internazionali, di Ciccio Sultano del “Duomo” di Ragusa, di Vincenzo Candiano della Locanda San Serafino a Ragusa Ibla, di Massimo Mantarro del Principe Cerami al San Domenico Hotel di Taormina, tutti bistellati. E si può star sicuri che dal Mezzogiorno arriveranno le prossime novità degli anni futuri.

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